Governo

A proposito di rave: il governo proibisce ciò che Berlino valorizza

3 Novembre 2022

Giorgia Meloni ha deciso di combattere la sua prima battaglia da Presidente del Consiglio non contro il caro bollette o contro l’inflazione galoppante, come ci saremmo aspettati: ha deciso di iniziare una crociata contro i rave party. Così, prendendo al volo l’occasione offerta da poche migliaia di ragazzi radunatisi in un capannone alla periferia di Modena, il governo ha estratto dal cilindro il nuovo reato di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Tralasciando i manifesti profili di incostituzionalità del nuovo articolo 434 bis e i dubbi sulle reali intenzioni del governo, il caso mediatico che è stato costruito intorno a questa vicenda mostra quanto scarsa sia la comprensione di un fenomeno da cui in Germania, ad esempio, è emersa un’industria culturale con ricadute economiche per miliardi di euro.

 

Nati tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, i rave sono feste organizzate in magazzini, fabbriche, club, spazi all’aperto e altri luoghi pubblici e privati in cui DJs si esibiscono suonando soprattutto musica elettronica. In origine eventi illegali, molti rave sono cresciuti fino a raggiungere dimensioni immense, trasformandosi anche in veri e propri festival. Il fenomeno, diffuso ovunque in Europa occidentale, ha acquisito un’importanza particolare in Germania e a Berlino, dove la sottocultura rave è diventata un movimento di massa che mobilita decine di migliaia di persone. Da allora, Technoparaden, club e festival all’aperto sono appuntamenti istituzionali seguiti dai media di tutto il mondo.

 

A Berlino questa sottocultura è diventata una parte essenziale della vita notturna della metropoli, capitale indiscussa della techno, contribuendo a un’industria che prima del COVID-19 era stimata in 1,5 miliardi di euro all’anno, come spiega uno studio commissionato nel 2018/19 dal Senato di Berlino e dalla Clubcommission, l’Associazione degli organizzatori di club, feste ed eventi culturali di Berlino. Nel dettaglio, l’indagine coordinata dal Dott. Steffen Damm e da Lukas Drevenstedt intervistando 280 organizzatori di eventi, ha calcolato che questa industria, nel 2017, ha generato un fatturato diretto di 168 milioni di euro, e altri 48 milioni di euro nell’indotto. “Di conseguenza – scrivono nello studio – la dimensione economica complessiva della scena dei club di Berlino è di circa 216 milioni di euro in termini di fatturato – di questo importo, circa 53 milioni di euro tornano al governo federale o alla città di Berlino sotto forma di tasse e contributi”.

Non solo. Lo stesso studio ha rilevato che oltre un terzo dei quasi 13 milioni di visitatori arrivati a Berlino nel 2017 ha scelto la capitale tedesca principalmente per partecipare a una particolare festa o per andare in uno specifico club. Oltre 3 milioni di “club tourists” che generano un giro d’affari stimato in 1,48 miliardi di euro, con le ricadute più positive sul settore dei viaggi e trasporti, sulla ristorazione e sul settore alberghiero.

Sarà anche per tener conto di questa importante dimensione economica che le istituzioni locali e quelle federali da tempo hanno deciso di supportare e tutelare la club industry. È del 2016 la sentenza del Tribunale fiscale di Berlino che riconosce al Berghain, uno dei più importanti club berlinesi, lo status di istituzione culturale alla pari, per esempio, dell’Opera. Da allora, tutti i principali gruppi politici, dalla Linke all’FDP,  non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno, fino al riconoscimento ufficiale, al Bundestag, del valore culturale della club industry.

I rave illegali che tanto allarmano il Governo sono un’altra cosa rispetto alla club industry di cui Berlino è diventata la capitale. Ma è da un mondo di occupazioni e sfratti che quella sottocultura s’è sviluppata fino a diventare un settore che produce cultura e fa girare milioni di euro all’anno. I rischi “per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica” si affrontano col dialogo e con regole scritte anche tenendo conto di quel mondo. La repressione voluta dal governo, invece, porterà solo altra illegalità.

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