Partiti e politici
Gli anti-renziani, coraggiosissimi sui giornali, mansueti con Matteo
ROMA – Montecitorio, ore nove di martedì sera. In una saletta dei gruppi parlamentari si consuma l’inverosimile. Matteo Renzi riunisce la delegazione di Camera e Senato per fare il punto sul crono programma. In sostanza spazia dalle riforme che strilla un giorno a Ballarò e l’altra ancora con gli industriali a Brescia, al Jobs Act che attanaglia i pensieri della corrente cgiliellina, alla legge stabilità che scuote gli animi di Bruxelles. Tutto scorre tranquillamente, salvo scoprire che per circa un’ora il premier-segretario allieta una platea disinteressata e a tratti dormiente. C’è chi come un giovane parlamentare romagnolo guarda Juventus-Olympiakos, chi sfoglia una rivista, chi, invece, sghignazza con il vicino di sedia.
Finisce la relazione. E l’inquilino di P.Chigi volge lo sguardo verso Roberto Speranza, capogruppo a Montecitorio, ormai convertitosi al verbo renziano. “Matteo” si aspetta che si apra il dibattito, che la minoranza lo attacchi ferocemente. Che uno come Alfredo D’Attorre si alzi e minacci di lasciare il partito, e di fondare un nuovo partito. Invece? Silenzio assordante. Il “collaborazionista” Bob Hope (chiama così Renzi il capogruppo Roberto Speranza) chiude la riunione, e manda tutti a casa. Perché lo scontro, sussurrano agli StatiGenerali, “si fa sui giornali, nei talk”. Nelle riunioni vere, quelle porte chiuse, meglio cucire le bocche. Altrimenti, continua la fonte, “Matteo ci riporta alle urne, e sono c….”.
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