Giustizia
YOUTUBE e PRIVACY: se dietro Peppapig c’è il lupo cattivo
La tutela dei dati personali e della privacy dei minori è divenuta un problema rilevante con l’avvento dei social network.
Prima del regolamento europeo i principali social network prevedevano una età minima per iscriversi fissata a 13 anni. Questo perché le principali piattaforme online sono americane, e quindi applicavano il limite fissato dalla legge federale Usa: il Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA).
Tale legge prescrive che nessuna persona giuridica può raccogliere dati relativi a minori di 13 anni.
La normativa europea precedente, invece, non prevedeva un vero e proprio limite che, però, si poteva ricavare dal quadro normativo generale.
In Italia, la capacità di agire, ossia l’attitudine del soggetto a compiere atti che incidono nella propria sfera giuridica, si acquista con la maggiore età, quindi a 18 anni.
Il minore con età compresa tra 14 e 18 ha una capacità giuridica attenuata, il minore dei 14 anni non è imputabile e non ha capacità giuridica.
L’adolescente (minore tra i 16 e i 18 anni non soggetto ad obbligo scolastico) ha una capacità giuridica attenuata, può sottoscrivere un contratto (come quello di iscrizione ad un social), ma non dovrebbe poter acconsentire ad atti che richiedono un consenso libero, specifico ed informato, come accade per la profilazione.
L’iscrizione ad un servizio online come, ad esempio, Facebook, non è solo l’iscrizione al social ma un vero e proprio contratto con quale l’utente consente ad una profilazione.
L’iscrizione ad un social network , è assoggettata quindi, alle regole per la conclusione dei contratti, per i quali occorre che il soggetto sia in grado di apprezzare la natura e le conseguenze del suo consenso.
Il soggetto che offre servizi diretti ai minori ha l’onere di accertarsi che l’interessato sia in grado di prestare validamente il suo consenso.
Il nuovo Regolamento europeo (GDPR) ha fissato, con l’articolo 8, una regolamentazione specifica, che però non tocca la capacità di agire del minore, la quale rimane fissata dall’ordinamento civile nazionale.
La norma non riguarda genericamente tutti i trattamenti di dati di minori, ma per la sua applicabilità richiede due requisiti:
– che vi sia un’offerta diretta di servizi della società dell’informazione a soggetti minori di 16 anni;
– che il trattamento dei dati dei minori sia basato sul consenso.
Se, invece, il trattamento ha altra base giuridica, come ad esempio il rispetto di un obbligo di legge, i legittimi interessi, ecc…, non si applica la norma.
In presenza di questi due requisiti, l’articolo 8 prevede il divieto di offerta diretta di servizi digitali (quindi iscrizione ai social network e ai servizi di messagistica), ai minori di 16 anni, a meno che non sia raccolto il consenso dei genitori (occorre accertare che il consenso sia dato dall’esercente la patria potestà) o di chi ne fa le veci.
In sostanza il GDPR introduce una deroga per i casi specifici indicati,una sorta di maggiore età digitale raggiunta, per la quale è ammesso il consenso al trattamento dei propri dati personali, anche con riferimento a profilazione.
L’Italia s’è avvalsa della facoltà di stabilire un età inferiore a quella prevista “by default” dal GDPR. Il comma 1 dell’art. 2-quinquies del novellato Codice Privacy ed introdotto dal D.Lgs. 101/2018 dispone: In attuazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del Regolamento, il minore che ha compiuto i quattordici, anni puo’ esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali, in relazione all’offerta diretta, di servizi della societa’ dell’informazione.
L’Italia fissa a 14 l’età minima per poter prestare validamente consenso ai servizi della società dell’informazione. Con il D.Lgs. 101/2018, il nostro ordinamento ha dunque mutato l’orientamento rispetto alla soglia minima dei 16 anni per accedere ai servizi web già prevista dal GDPR.
Chiaramente la norma riguarda soltanto la legittimità del consenso al trattamenti di dati personali, ma non incide sulla validità del contratto sottostante, il cui regime giuridico rimane disciplinato dalla legislazione nazionale, o da quella del foro competente a decidere eventuali controversie relative al servizio.
Attualmente la regolamentazione dei vari servizi online prevede questi limiti di età:
- Facebook: i minori di 13 anni non possono iscriversi, i minori di 16 potranno iscriversi solo col consenso del genitore;
- Whatsapp: i minori di 13 anni non possono iscriversi, per i minori di 16 occorre il consenso del genitore;
- Twitter: i minori di 16 anni non possono usare Periscope.
L’attuale normativa prevede in generale, un interesse superiore sul minore, che comporta delle limitazioni nel trattamento dei dati personali anche da parte dei giornalisti, il cui trattamento normalmente è svincolato da limiti.
La pubblicazione di una fotografia online, si inquadra nel trattamento di dati personali e sensibili, e costituisce interferenza nella vita privata del minore. In tal senso, occorre fare particolare attenzione nel pubblicare immagini di minori, anche se si tratta dei propri figli.
Nella primavera 2018, oltre 20 associazioni per la difesa dei diritti dell’infanzia, dei consumatori e della privacy avevano chiesto alla Federal Trade Commission di indagare sui servizi di YouTube, con riguardo all’utilizzo dei dati personali dei minori, in relazione alle attività di tracking and targeted advertising (tracciatura e profilazione).
L’accusa contestava a YouTube la violazione del Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) in ragione del fatto che la piattaforma di video-sharing, non informa con trasparenza e non richiede consenso preventivo ai genitori dei minori di 13 anni di età per:
- il trattamento dei loro dati identificativi (nome, localizzazione, dispositivo utilizzato, numero di telefono) e delle loro scelte online;
- l’invio di pubblicità personalizzate basate sull’analisi delle summenzionate informazioni individuali.
YouTube non è presentato come una piattaforma per bambini, ma di fatto agisce in maniera mirata nei loro confronti, tant’è che Google – a cui YouTube appartiene – avrebbe sostanziosi introiti pubblicitari, grazie alla profilazione degli infanti.
Per anni, Google ha declinato responsabilità nei confronti di bambini e famiglie, sostenendo, forse in malafede, che YouTube – un sito colmo di cartoni animati, filastrocche e pubblicità di giocattoli – non è adatto per bambini sotto i 13 anni.
Nel momento in cui è stata avviata la contestazione, i termini di servizio di YouTube sostengono che per effettuare il login alla piattaforma bisogna creare un Google account, ma per creare l’account bisogna avere almeno 13 anni.
Nessun genitore creerebbe mai un account per conto del proprio pargolo, su una piattaforma che si presenta come dedicata agli over 13, il problema è che per accedere ai video e ricevere di conseguenza pubblicità, non è necessario avere un account.
Nella maggioranza dei casi, un bimbo accede, con l’account del genitore o di un adulto, così finisce che i più piccoli sono utenza attiva di YouTube e, quindi, del suo business.
Quando chiunque, anche un bambino, inizia a vedere un video su YOUTUBE, l’algoritmo a quel punto propone di continuo video similari, che spesso iniziano con pubblicità di prodotti.
Se i video sono per bimbi, la pubblicità sarà per bimbi (sempre che il video in sé non contenga pubblicità più o meno occulte), basta che accedano al primo file, ed entrano in un loop che porta ad uno di stato di assuefazione da video, concatenati, il cui flusso in streaming potrebbe durare all’infinito, fino all’esaurimento della batteria del dispositivo.
In un mondo interattivo ed interconnesso, i minori rilasciano dati come i grandi e su questi dati è possibile generare business, guidando i loro gusti e le loro scelte, profilati da YouTube, da app di successo come TikTok, e giocano con smartphone che inquadrano e monitorano la loro individualità e i loro comportamenti, sicuramente per finalità di marketing.
Nel frattempo Google è stato multato per 170 milioni di dollari, per aver violato la privacy dei bambini attraverso la sua popolare controllata YouTube, la multa è in effetti, parte di un accordo sottoscritto da Google.
La sanzione più significativa, finora comminata, per violazione della privacy dei bambini, era scattata sempre quest’anno contro la società di videosharing TikTok, per soli 5,7 milioni.
Google, ha accettato, in questo accordo, di riformare le proprie politiche di consenso al servizio, attraverso identificazione del contenuto destinato ai bambini, per evitare che pubblicità mirate, possano essere inserite opportunamente.
YouTube sarà inoltre tenuta a ricevere il consenso dei genitori prima di raccogliere o condividere qualunque dato personale.
La multa è parte di un generale giro di vite sulla privacy da parte delle autorità statunitensi, ma rimane da verificare, se simili azioni saranno adesso sufficienti a correggere comportamenti e strategie dei leader del settore.
E’ probabile che il Garante Privacy italiano comminerà a sua volta una sanzione per le condotte da YouTube verso i minori del nostro paese.
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