Giustizia
Ungheria: il regime uccide l’ultima radio libera
Accadrà domenica prossima, a mezzanotte. Sulla frequenza 95.3 della modulazione di frequenza, dopo quasi un quarto di secolo di libertà, a Budapest calerà il silenzio. La Corte di Giustizia ungherese, accogliendo la denuncia dell’autorità di controllo sui media, ha ordinato la chiusura di Klubrádió, e con questo atto spegnerà l’ultima voce critica nei confronti del regime di Viktor Mihály Orbán[1]. Lo dico con dolore, perché ho fatto tanti anni di radio, anche in Germania, e ne sono orgoglioso. Soffro l’assassinio del progetto ungherese come una sconfitta personale: trent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino, il gelo dell’est Europeo torna ad essere insopportabile.
Uno dei motivi di quest’emozione lo spiega uno dei fondatori di Klubrádió, Oszkár Hegedűs,: “Quando vivi in una società in cui devi essere sempre prudente, perché non sai chi ascolta, e potresti essere tradito anche da qualcuno che ritieni amico, la radio è il simbolo della liberazione. Perché è un dialogo che protegge anche chi parla e dice cosa pensa veramente. È una cosa che, per antonomasia, fai per passione, non per professione, e nasce dal convergere dalla passione di tante persone che, come per miracolo, si ritrovano intorno ad un microfono e un’antenna, senza che ci sia stata una programmazione di alcun tipo, né economia, né pubblicista. La radio libera, se lo è, non ha una linea precisa, ma è un continuo ossimoro, cresce e fiorisce con la dialettica e le contraddizioni”[2].
Un’opinione simile la esprime anche ha detto Carsten Rose, uno dei fondatori dell’unica radio libera della DDR, Radio FREI Erfurt[3]: “Quando abbiamo cominciato volevamo semplicemente avere una voce. Non sapevamo nulla di radio, ma quando l’abbiamo scoperta, quella è divenuta la nostra voce. Una voce intima, che sei in cucina e ti sembra di avere l’interlocutore che siede nella stessa stanza. Fare radio in un’emittente libera, oltretutto, ti costringe ad uscire dal tuo guscio, ad imparare a confrontarti con gli altri e batterti per le tue idee, spesso ti costringe a chiarire cosa pensi prima di tutto a te stesso”[4]. Cancellare una radio libera, quindi, è cancellare una parte possibile di noi, aggiungo io.
Il lungo viaggio di Oszkár Hegedűs
Come spiega Carsten Rose, l’importante è la voce – e quindi la radio è un mezzo, non un fine. Lo steso vale per Klubrádió, nata per caso, nel 1998, quando l’emittente di Stato austriaca, dopo una decina d’anni, ha rinunciato a continuare a trasmettere in Ungheria, vista gli scarsissimi risultati di audience. A chiedere la licenza per la frequenza lasciata libera è HAC (l’Automobil Club Ungherese)[6]. Strano, certo, ma è solo una copertura per garantire l’ufficialità – si tratta di un gruppo di entusiasti, guidato dal direttore di HAC, Oszkár Hegedűs, un vulcano di idee che, poche ore dopo l’apertura delle frontiere, era uscito dall’Ungheria e si era recato, in treno, a Zurigo.
Pur senza permesso di soggiorno, fa il meccanico a Waltenschwil, un paesino di 2500 abitanti nella campagna argoviese, 10 km ad est della capitale finanziaria svizzera. Con i soldi guadagnati fonda la HSM Hungaro-Swiss Management[7] e, in nove anni, raggiunge il benessere con il commercio d’auto, torna a Budapest, fa carriera, diventa il capo di HAC, e poi, insieme agli amici di tutta una vita, fonda Klubrádió[8].
La radio diventa un successo impensabile, perché è l’unica voce libera dell’Ungheria, e diviene la palestra in cui si confrontano i cittadini della capitale con i politici della SZDSZ (Alleanza dei Liberi e Democratici), l’unico partito di opposizione durante gli ultimi anni del regime filo-sovietico, fondato dal filosofo János Kis[9], il carismatico figlio di una vittima di Auschwitz che, dopo la fine dell’Unione Sovietica, puntando su una campagna che verte sulla libertà e sulla rivincita degli intellettuali[10], sfiora il 20% dei suffragi alle prime libere elezioni ungheresi[11].
L’entusiasmo di Hegedűs e Kis si scontra subito con il problema di tutte le radio libere: i soldi. Spiega Carsten Rose: “Finché la Germania riunificata non ha stanziato dei fondi per il sostegno ai progetti associativi dei cittadini ed altri fondi per le radio libere, trasmettere era difficilissimo. Per fortuna in Germania, e specialmente nella Turingia, abbiamo imparato con gli anni a difendere i nostri progetti e ad esercitare pressione politica, sicché abbiamo ottenuto un altissimo livello di consapevolezza nella popolazione e nel Parlamento”[12]. Senza avere una licenza per una frequenza, con mezzi veramente amatoriali e raffazzonati, si è costretti a fare qualcosa d’altro per vivere e poi spendere ogni centesimo risparmiato per far funzionare la radio.
I ragazzi di Radio FREI, negli anni eroici dell’immediata post-riunificazione, trovano una serie di sistemi stupefacenti: ottengono un prezzo irrisorio ed una licenza per il restauro di un vecchio mulino abbandonato, e vanno a fare i contadini[13]. Di quando in quando tornano ad Erfurt per trasmettere, o per iniziative piene di allegra follia. Un esempio: Erfurt è attraversata dal fiume Gera che, dietro al Municipio, è profondo meno di un metro. I ragazzi di Radio FREI aggiustano una portantina e la usano per trasportare i turisti attraverso il fiume; in collaborazione con il sindacato, offrono corsi di formazione continua[14]; aprono un centro sociale per la musica e la letteratura[15]; si uniscono in una band di musica popolare che, per anni, gira la Germania e la Svizzera cantando le ballate politiche della DDR[16].
András Arató e la nascita del gruppo Obidos
In Italia abbiamo vissuto anni gloriosi dello sviluppo delle radio libere, ed abbiamo ancora con noi alcuni modelli che hanno sfidato, vincendo, il trascorrere degli anni e delle generazioni – Radio Radicale, Radio Popolare, Radio Onda Rossa, radio Aut, Radio Alice, solo per citare alcune delle più famose. Per noi è difficile immaginare cosa significasse battersi per una radio pirata alla fine dell’egemonia sovietica. Le vite di ciascuno entravano in crisi, improvvisamente tutto era rimesso in discussione, regnavano ovunque i sensi di colpa, il disorientamento, l’incertezza sul futuro, la paura di essere schiacciati da un Occidente sarcastico e paternalista.
Un mio carissimo amico, poco dopo la riunificazione, decise di partire da Berlino, dove ha lavorato sia prima che dopo la fine della DDR, per scrivere un reportage su Radio FREI. Negli anni della dittatura, come moltissimi giornalisti, era sceso a patti con il regime ed era stato spiato da alcuni amici. La sera che prese il treno per Erfurt, ebbe una spiegazione con la moglie. Si dissero ciò che, per quasi vent’anni e due figli, non avevano avuto il coraggio di dirsi. Quando tornò a casa, quattro giorni dopo, con un magnetofono pieno delle voci dei ragazzi di Radio FREI, trovò la casa vuota. La famiglia non aveva retto la verità, la moglie se ne era andata.
Nei primi anni di Klubrádió, a Budapest, la situazione era simile: la vita del progetto è piena di controversie, difficoltà, speranze e sofferenze di una generazione di ungheresi che, oltre 30 anni dopo l’invasione dei panzer russi, si trova padrona del proprio destino, senza sapere cosa farne[17]. Scrive Marty Rubin: “tutto ciò che la candela sa lo ha imparato nel buio”[18], ed anche per Klubrádió è andata così.
Non appena ottenuta la licenza per la frequenza, HAC ha deciso di liberarsi della radio, ed ha venduto i diritti ad una neonata società, la Monograf RT Budapest[19], fondata e controllata dall’ingegnere elettrotecnico András István Arató – uno che, durante gli anni del regime, aveva lavorato come elettricista nella città storica di Kőszeg, sul confine con l’Austria e che, a 45 anni, nel 1990, ha aperto il primo blog politico ungherese ed è divenuto ricco e famoso – per esempio lavorando come testimonial della campagna pubblicitaria della Coca-Cola o come DJ e moderatore nel canale ungherese del gruppo tedesco RTL[20].
Ed ora?
Dato che in Ungheria il potere politico non ha alcuna intenzione di aiutare la radio, Arató trasforma Klubrádió in una radio commerciale che trasmette a livello nazionale, pur garantendo l’indipendenza e la libertà di chi abbia in mano un microfono. Una cosa che Orbán non sopporta e, da anni, metro dopo metro, combatte: rendendo il trattamento fiscale più severo, revocando la licenza di trasmettere a livello nazionale, ed ora cancellando la licenza per la frequenza. Non c’è stato nulla da fare: nemmeno il fatto che il 25% del capitale del gruppo Obidos sia stato venduto ad un gruppo inglese, BritMedia[22], è servito a frenare la sua rabbia. Arató ha già annunciato che Klubrádió continuerà su internet, pur sapendo che l’audience sarà estremamente limitata.
Dice Carsten Rose: “Bisogna chiedersi se la radio, in senso classico, esista ancora, nel senso che la tecnologia si è trasformata completamente, la digitalizzazione ha reso obsoleto la trasmissione via etere, ora è tutto digitale. Ma resta il senso, la natura, l’anima della radio, ed è di questo che si ha bisogno, non importa come ed a quanti venga trasmessa: il futuro della radio è quello di un mezzo polimorfico ed integrato, fatto non solo di suoni, ma anche di contenuti visivi e di testi”[23].
In questo modo Klubrádió continuerà ad esistere fino a quando ci saranno ungheresi che ne sentano il bisogno. Come me, che scrivo queste note e canto a squarciagola i versi di Eugenio Finardi: “Se una radio è libera, ma libera veramente, mi piace anche di più, perché libera la mente”[24]. Scusate quindi, se ho raccontato di questa ennesima triste faccenda come se mi riguardasse personalmente, perché la vivo come una faccenda esistenziale, un fatto affettivo. Parafrasando il più grande poeta italiano, Giorgio Gaber, mettendo l’emittente ungherese, come fu Radio Aut di Peppino Impastato, sul piedistallo proprio di una storia d’amore: la libertà, Maria, la rivoluzione, Maria, il Vietnam e la Cambogia, Maria… la realtà.
[1] https://www.ilsecoloxix.it/mondo/2021/02/09/news/klubradio-spegne-i-segnali-l-ungheria-silenzia-l-ultima-voce-libera-1.39880997
[2] Conversazione telefonica del 10 febbraio 2021
[3] https://www.radio-frei.de/index.php?iid=chronik&pPAGE=2&ksubmit_show=Artikel&kartikel_id=3662
[4] Conversazione telefonica del 10 febbraio 2021
[5] https://www.huffingtonpost.it/entry/sara-spenta-klubradio-lultima-radio-indipendente-in-ungheria_it_6022a684c5b6173dd2f9abc1
[6] https://index.hu/belfold/hirek/241280/
[7] HSM Hungaro-Swiss Management AG Waltenschwil
[8] http://kreativ.hu/cikk/klubradio___ismert_uzletemberek_vettek_at/index.php
[9] https://www.nytimes.com/1990/03/25/world/upheaval-east-democratically-evolving-hungary-heads-into-unknown-polls-today.html?pagewanted=all
[10] https://www.youtube.com/watch?v=MYLFAvRBSDg
[11] https://www.youtube.com/watch?v=8ji7i_HZ3EY
[12] Conversazione telefonica del 10 febbraio 2021
[13] https://www.hofkaeserei-haina.de/ ; https://www.radio-frei.de/index.php?iid=chronik&pPAGE=2&ksubmit_show=Artikel&kartikel_id=3679
[14] https://www.radio-frei.de/index.php?iid=chronik&pPAGE=2
[15] https://www.radio-frei.de/index.php?iid=chronik&pPAGE=2&ksubmit_show=Artikel&kartikel_id=3678
[16] https://www.youtube.com/watch?v=ivBULy6VSB8 : da sinistra a destra: Steffen Müller, Carsten Rose, Paolo Fusi
[17] Laszlo Contler, “Ласло Контлер. История Венгрии. Тысячелетие в центре Европы” (A History of Hungary), Весь мир , Moscow 2002; Marcia A. Weigle, Jim Butterfield, “Civil Society in Reforming Communist Regimes: The Logic of Emergence”, in “Comparative Politics”, vol.25 No.1, City University of New York, New York 1992, pages 1-23
[18] https://aforisticamente.com/laforisma-negli-stati-uniti-marty-rubin/
[19] Obidos Group in Budapest
[20] https://www.vaol.hu/kozelet/koszegen-szuletett-memes-vilagsztar-lett-belole-hide-the-pain-harold-2584154/ ; https://www.independent.co.uk/arts-entertainment/interviews/hide-pain-harold-meme-gif-interview-model-real-name-arato-andras-thumbs-stock-photo-a7835076.html ; https://onbrands.hu/marka-es-trend/2019/09/reklam/a-coca-cola-hazai-reklamarca-lett-hide-the-pain-harold ; https://hvg.hu/kultura/20200308_Arato_Andras_azaz_Hide_The_Pain_Harold_volt_az_RTL_Klub_Szornyecskeje ; https://www.ted.com/talks/andras_arato_how_the_internet_made_me_into_a_meme/transcript
[21] https://www.france24.com/en/europe/20210210-hungary-s-leading-independent-radio-station-loses-broadcast-license
[22] 2016.05.20 BritMedia in Hungary
[23] Conversazione telefonica del 10 febbraio 2021
[24] https://www.youtube.com/watch?v=BYxqLde3Rno
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