Giustizia
Un Paese passionale dalle strutture fragili
Il racconto di un’esperienza vissuta all’interno delle istituzioni ma con occhio attento alle grandi trasformazioni socio-economiche del nostro Paese, fragile e passionale, secondo la definizione di Aldo Moro, che hanno segnato la cosiddetta Repubblica dei partiti o, più giornalisticamente, “prima Repubblica”.
E’ quanto ci offre la lettura di “La Caduta. Eventi e protagonisti in Sicilia 1972-1994”, il volume di Calogero Pumilia, già deputato siciliano di lungo corso, edito da Rubbettino.
Un libro che, partendo dalla sua storia politica personale, ripercorre le vicende storiche – soprattutto siciliane – di quegli anni con la pretesa, direi più che giustificata, di raccontare i fatti per quello che sono stati, cioè senza le frequenti manipolazioni o ridisegno a cui sono stati sottoposti dalle narrazioni ad usum delphini comunemente accettate.
Proprio quelle narrazioni sono purtroppo piaciute, e continuano a piacere, a chi dello scandalismo ha fatto mestiere e a chi, con perfidia luciferina, è riuscito ad accreditarle magari sfruttando proprio quei moti passionali – vizio italiano – di cui Moro parlava.
D’altra parte, il gioco del cambiare le carte in tavola, del mutare i carnefici in vittime è stato facile a fronte dell’arrendevolezza di molti protagonisti di queste vicende che, spesso, come nel caso di Mino Martinazzoli – ultimo segretario della Democrazia cristiana che si assunse il ruolo di notaio certificatore della sua morte – sono stati oppressi da “tormenti crepuscolari”.
La caduta è, in poche parole, un libro che racconta con un occhio particolare alla Sicilia, le vicende della “balena bianca”, dei suoi uomini, di quelli che Giorgio Bocca, con velenosa falsificazione della realtà, definiva “gente di scarse letture” ma, anche, il racconto dei travagli che ne hanno segnato i passaggi fondamentali oltre che di quel certo cinismo che in qualche caso l’hanno contraddistinta.
Vicende scandite dalle lotte interne che ne hanno, in molte occasioni e in modo schizofrenico, mutato la natura; il racconto dei fatti di corruzione che in qualche momento l’hanno fatta da padrone come anche di certi poco nobili rapporti con ambienti che una maggiore saggezza avrebbe consigliato di non praticare.
Ma anche la storia di chi, e ritorniamo a Moro che ci aiuta con le sue puntuali definizioni, non ha avuto “l’intelligenza degli avvenimenti” lasciandosi soffocare dalla quotidiana gestione del potere e dall’idea che le spinte al cambiamento, di cui pur si avvertiva la presenza, avrebbero finito in ogni caso per asseverare il gattopardismo “del tutto cambi per non cambiare niente”.
Un libro verità, ma anche un’appassionata e tormentata voglia di far conoscere – da testimone informato – come siano realmente andate le cose in Sicilia in quegli anni a cominciare dal rapporto fra mafia e politica. E proprio a questo rapporto, e ai devastanti effetti che ha avuto sulla leadership democristiana, l’autore dedica molte pagine, intanto per smentire la pretesa, e presuntuosa, riscrittura della storia basata sull’equazione DC=Mafia e poi per disvelare le contraddizioni di una narrazione corrente, intrisa di fanatismo intellettualoide di stampo giacobino, che è riuscita a imporre verità parziali utilizzate strumentalmente per affibbiare patenti moralità e o di immoralità a destra e a manca.
Gli esempi, che Pumilia a questo proposito, riporta, sono tanti, ne scegliamo alcuni fra i più emblematici.
E’ il caso del presidente della Regione siciliana Mario D’Acquisto, dipinto come l’uomo che, ucciso il mai dimenticato Mattarella (per la cronaca anche lui democristiano), si sarebbe incaricato di procedere alla “normalizzazione” bloccando il processo di rinnovamento avviato dal suo predecessore.
Un falso storico, visto che proprio D’Acquisto, scrive Pumilia, non solo ha portato a compimento le iniziative messe in campo da Mattarella ma, sulla via del rinnovamento e della moralizzazione, vi ha aggiunto anche del suo.
Per non parlare poi della vicenda del generale Dalla Chiesa e dei famosi superpoteri, che avevano peraltro fatto storcere il naso al PCI da sempre contrario agli uomini forti.
Venne allora accreditata la narrazione che fossero stati ambienti DC a operare perché non gli si concedessero quei superpoteri. Ebbene, Pumilia, carte alla mano, testimonia che anche in questo caso si tratti di pura invenzione, non è infatti risultata traccia alcuna di interventi in tal senso da parte di dirigenti democristiani.
Ma anche la paradossale manipolazione sulla vicenda del più famoso magistrato antimafia, cioè di Giovanni Falcone.
Anche in questo caso una leggenda metropolitana ha consolidato l’idea di un ambiguo Andreotti e di un Falcone avversato dalla DC che gli impedisce di raggiungere il vertice di quella superprocura, alla quale aveva lavorato nonostante gli attacchi feroci dei suoi avversari.
Una menzogna macroscopica visto che, in quegli anni, furono proprio i mestieranti dell’antimafia e la sinistra, PCI compreso, ad avversare Giovanni Falcone con insinuazioni e sottili calunnie e, soprattutto, con l’accusa di essere troppo vicino al governo.
Insomma, falsi su falsi, che trovano nel processo Andreotti il proprio clou.
Una storia kafkiana, che si conclude con una sentenza assolutoria a coda di sorcio che non fa piena giustizia.
Quella sentenza appare, infatti, volutamente ambigua, forse per non smentire e screditare del tutto chi aveva voluto quel processo temerario, perché fondato praticamente sul nulla,.
Andreotti sarà stato un uomo di potere, qualche volta anche cinico, ma vederlo a disposizione dei mafiosi o, addirittura, lui stesso al vertice della Cupola mafiosa appare poco credibile come, correttamente e senza peli sulla lingua, aveva affermato il comunista Paolo Bufalini.
Così come, alla luce dei fatti, sono apparse risibili le accuse all’ex ministro Calogero Mannino, personaggio che può essere ascritto fra i grandi perseguitati della storia, visto che per decenni è stato imputato in processi nei quali alla fine è sempre stato assolto dalle accuse infamanti di mafia.
Insomma, un libro non solo da leggere ma anche da meditare, come diceva Sciascia, che di cose di Sicilia se ne intedeva, a futura memoria.
Devi fare login per commentare
Login