Giustizia

«Un paese che vive nella menzogna è un paese che non ha futuro»

17 Luglio 2021

Così esordisce Fiammetta Borsellino intervistata da Rita Pedditzi per il programma “Inviato Speciale”, l’approfondimento del Gr1 di Rai Radio 1

Sono passati 29 anni da quel terribile 19 luglio 1992 in cui persoro la vita Paolo Borsellino e cinque dei sei agenti di scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. Si salvò solo Antonio Vullo, sesto agente del servizio di tutela che quel giorno accompagnò Paolo Borsellino dalla casa al mare a Villagrazia di Carini a via d’Amelio, luogo in cui abitava la madre.

Ventinove anni in cui raggiungere una, seppur parziale, verità giudiziaria è stato percorso un cammino impervio e denso di falsi pentiti, indagini fuorvianti, sentenze sbagliate. I procedimenti denominati “Borsellino” segnano il faticoso compito di raggiungere la verità e, purtroppo, anche il più grave depistaggio della storia dell’Italia repubblicana.

Le vicende processuali sono state avvelenate dal falso collaboratore di giustizia Scarantino le cui dichiarazioni, ritenute affidabili, hanno portato alla condanna ingiusta di undici persone e a una ricostruzione inesatta, frettolosa, più densa della voglia, o necessità, di dare un colpevole a tutti i costi per la strage che non di quella di fare luce sulla vicenda e consegnare al popolo italiano i veri responsabili. Di fatto, solo nel 2008, grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza prima e Fabio Tranchina poi, dichiarazioni riscontrate, è stato possibile ricostruire dinamiche e responsabilità. La dottoressa Lia Sava, Procuratore Capo della Procura Generale della Repubblica di Caltanissetta, non ha dubbi: «L’Italia ha estremo bisogno di conoscere ogni frammento del contesti, delle causali, degli autori delle stragi e ciò non solo al fine di meglio comprendere cosa accadde davvero in quegli anni, allorché venne sferrato il più violento degli attacchi alla nostra democrazia» dichiarò il 17 settembre 2019 nel corso della sua requisitoria nel processo di appello “Borsellino quater” e, al microfono di Rita Pedditzi, dichiara oggi: «Andando a rileggere la sentenza di primo grado e dell’appello del “Borsellino quater” ci sono importanti dichiarazioni di Antonino Giuffrè, collaboratore di giustizia, c’è un passaggio, nelle dichiarazioni di Giuffrè dove lui fa riferimento alle causali delle stragi. Cosa dice Giuffrè di fondamentale? Dice “guardate che per realizzare le stragi Cosa Nostra fece prima dei sondaggi” cioè Cosa Nostra non ha mandanti, Cosa Nostra è automa e indipendente però fece dei sondaggi per vedere che tipo di appoggi aveva per realizzare le stragi e questi sondaggi, dice Giuffrè, li fa nell’ambiente imprenditoriale quindi in collegamento con il discorso “mafia-appalti”, lo fa nel mondo della Massoneria, lo fa nel mondo dei servizi segreti deviati, lo fa nel pantano di certi ambienti quindi imprenditoria collosa, Massoneria deviata e servizi deviati, anche mafie straniere, ad esempio Cosa Nostra americana  proprio in questo pantano che si deve continuare a indagare per capire quali sono stati i concorrenti esterni che in questo pantano hanno sguazzato e hanno rafforzato il proposito di Cosa Nostra di ammazzare Falcone e Borsellino. Quindi non bisogna parlare di mandanti esterni, Cosa Nostra non ne ha mandanti, semmai concorrenti esterni cioè quelle persone che hanno rafforzato in maniera anche subdola, in maniera opaca il proposito delle stragi e questo Giuffrè lo dice con assoluta chiarezza. Quando fanno questi sondaggi capiscono che il vento era favorevole, che c’erano più ambienti favorevoli all’eliminazione di questi due straordinari eroi, lasciati soli molto spesso anche all’interno degli ambienti che avrebbero stargli più vicino».

Ed è proprio la dottoressa Sava che indica, tra i motivi che hanno portato all’accelerazione della decisione di compiere le stragi del 1992, il dossier “mafia-appalti”. Si tratta del dossier che scaturisce, con il deposito nel febbraio del 1991, dall’indagine da parte degli allora Ros Giuseppe De Donno e Mario Mori. Nel corso delle indagini Falcone era perennemente informato dai Ros, come risulta dalla sua audizione in Commissione Antimafia del 22 giugno 1990, da pochi giorno resa pubblica, nella quale consegna qualche anticipazione alla Commissione pur tenendo conto che  le indagini erano ancora in corso. E, proprio in quella audizione, Giovanni Falcone parla di “centrale unica degli appalti” dichiarando «Abbiamo la conferma di un sistema mafioso che, per quanto concerne i grandi appalti, ed anche nei piccoli centri per tutti gli appalti, ne gestisce in pieno l’esecuzione». Si tratta dello stesso dossier di cui fu chiesta l’archiviazione dai sostituti procuratori Scarpinato e Lo Forte, a quel tempo applicati alla procura a Palermo, che firmarono la richiesta il 13 luglio 1992.

A questo proposito Fiammetta Borsellino, sempre al microfono di Rita Pedditzi, pone in evidenza quanto è successo in quei giorni: «(Mio padre) è stato ucciso per tantissimi motivi. Ricordiamoci che nel 1992 stavano per diventare definitive (lo diventeranno il 30 gennaio 1992 con la sentenza definitiva della Corte di Cassazione, ndr), c’era Tangentopoli e nel 1991 era stato messo in piedi proprio dai Ros il dossier “mafia-appalti” che stava dando luogo a sviluppi importantissimi per quanto riguarda il sistema illecito degli appalti politico-mafiosi. Io ritengo che sia stato proprio il dossier “mafia-appalti” l’elemento acceleratore perché lo dice già la sentenza del “Borsellino ter” e poi lo conferma la sentenza del “Borsellino quater”. Mi chiedo coma mai nella recente sentenza sulla trattativa (si tratta della sentenza di primo grado, essendo tutt’ora in corso l’appello del procedimento “Bagarella e altri – presunta trattativa Stato – mafia”, ndr) addirittura viene negato l’interessamento di mio padre a questo dossier e addirittura viene messo in discussione che lui lo conoscesse e questo non è vero. Addirittura mio padre era così interessato al dossier che il 14 luglio indice proprio una riunione in procura, proprio per chiedere conto e ragione sul fatto che il dossier non avesse avuto quel respiro che meritava. In quella stessa riunione dichiara di star sentendo un nuovo collaboratore, si trattava di Leonardo Messina, una collaborazione che appunto avrebbe potuto portare a nuovi sviluppi. C’è un fatto molto strano, che questo dossier porta una data di richiesta di archiviazione del 13 luglio, cioè del giorno prima e il 14 luglio, di questa volontà di archiviare, non viene fatto alcun cenno. Nel tempo di pochissime settimane la richiesta di archiviazione viene accolta. Io mi chiedo il perché di questa scelta, io mi chiedo il perché, soprattutto, di questa reticenza».

L’interesse del dottor Paolo Borsellino per il dossier “mafia-appalti” è già stato confermato, in diverse occasione. Audito dalla Commissione Antimafia Siciliana, lo scorso mese di maggio, il dottor Antonio Ingroia, ha dichiarato «Borsellino aveva l’impressione che alla Procura di Palermo stessero insabbiando il dossier “mafia-appalti”». Ferdinando Imposimato, a metà anni ’90 ebbe il coraggio di firmare una “storica” relazione di minoranza all’interno della Commissione Antimafia per puntare l’indice su quell’esplosivo dossier che era sulla scrivania di Giovanni Falcone alcuni mesi prima di essere trucidato. Ne parla all’audizione, sempre in Commissione Antimafia, il procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci che fa riferimento all’epoca in cui Borsellino era procuratore capo a Marsala: «Di quel rapporto “mafia-appalti” Borsellino chiese copia quando si trova ancora a Marsala. Altro dato che emerge inquietante è che spesso ci siamo soffermati a pensare a quest’aspetto, già nel 1991 Cosa nostra vuole organizzare un attentato a Paolo Borsellino a Marsala. Per quest’attentato che non va in porto, muoiono due mafiosi, i fratelli D’Amico capi della famiglia di Marsala. Muoiono perché si oppongono all’eliminazione di Borsellino a Marsala». Non solo interesse di quel dossier da parte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, chiave di volta per altri omicidi eccellenti di quel maledetto 1992, come quello di Salvo Lima prima e del maresciallo Guazzelli poi , perché Falcone e Borsellino avevano capito che l’omicidio di Salvo Lima, e non solo quello, era strettamente collegato al dossier “mafia-appalti” a partire da quanto dichiara l’allora pm Vittorio Teresi in un verbale di assunzione di informazione del 7 dicembre 1992, acquisito per il processo “Bagarella e altri” oramai alle battute finali. Sia Lima sia Guazzelli sarebbero quindi stati uccisi perché avrebbero rifiutato di far attenuare le posizioni di alcuni indagati il cui nome era nel dossier dei Ros. Di recente, nel corso di una sua partecipazione ad un programma sull’emittente La7, il dottor Antonio Di Pietro ha raccontato che da un lato era stato contattato da Borsellino perché, proprio dal rapporto “mafia-appalti”, sviluppasse le indagini su alcuni imprenditori del Nord, dall’altro lato era stato contattato dall’allora capitano De Donno il quale lo pregò di occuparsi appunto della questione “mafia-appalti” perché a Palermo il Ros non trovava ascolto da parte della procura.

Ne parla anche, nella medesima puntata di “Inviato Speciale”, anche Sergio Lari, ex-procuratore a Caltanissetta che si è occupato proprio del “Borsellino ter” e del “Borsellino quater”: «Sia i giudici di primo grado sia quelli di appello, ritengono che una delle accelerazioni della strategia di morte che portò all’eccidio del 19 luglio, sia stato l’interesse di Paolo Borsellino nei confronti del dossier “mafia-appalti”. C’è da dire che, in queste stesse sentenze, tra le cause della certa accelerazione di questa strategia di morte è anche inserito il fatto che Paolo Borsellino era stato indicato come il possibile nuovo Procuratore Nazionale Antimafia. Un dato è sicuro, che far seguire, a distanza di così pochi giorni, un’altra strage dopo quella di Capaci quando vi era in discussione la conversione in legge del decreto sul 41bis fu sicuramente una scelta dannosa per gli interessi di Cosa Nostra».

Durante il procedimento di primo grado del processo “Borsellino quater” il 20 maggio 2014, Massimo Russo, allora giovane magistrato, dicharò che un mese prima di morire Paolo Borsellino «appariva come trasfigurato, senza più sorrisi. Era provato, appesantito, piegato». Da poche settimane la mafia aveva ucciso il suo amico Giovanni Falcone e lui continuava a lavorare nel suo ufficio di procuratore aggiunto a Palermo, che però considerava «un nido di vipere». Questa dichiarazione si lega a quella di Alessandra Camassa altra ”allieva” di Borsellino presente all’incontro di giugno del 1992 nel quale Borsellino confidò di essere stato “tradito” da un amico: «Paolo si distese sul divano che c’era nella stanza e cominciò a lacrimare in modo evidente dicendo “Non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire”». Peraltro non è possibile dimenticare i sospetti che lo stesso Paolo Borsellino il giorno prima dell’attentato aveva confidato alla moglie Agnese, quando le disse «che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò accadesse».

Risulta evidente il percorso per raggiungere la verità è ancora lungo come racconta ancora a Rita Pedditzi Sergio Lari, ex procuratore di Caltanissetta: «Non è stato possibile andare oltre alle responsabilità degli esecutori materiali della strage, almeno fino ad oggi, pur essendoci elementi che fanno sospettare che ci possano essere stati degli input esterni che possono aver inciso sul processo decisionale di Cosa Nostra nel senso di dare un’accelerazione a questo stesso processo. Anche sulla fase esecutiva sono rimasti dei buchi neri sui quali ancora si dovrà investigare, come si sta investigando negli uffici giudiziari nisseni, sul possibile ruolo di soggetti appartenenti alle istituzioni».

«La ricerca della verità – aggiunge Lia Sava – non si ferma. Riusciremo ad essere una democrazia compiuta».

Il processo “Borsellino quater”, nel frattempo, arriva al vaglio della Cassazione. È stata fissata il prossimo 5 ottobre prossimo l’udienza davanti alla V sezione penale della Suprema Corte, chiamata a decidere se confermare o meno la sentenza emessa dai giudici d’appello di Caltanissetta nel novembre 2019.

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