Giustizia

Un giudice che non si infiamma per la vita politica del suo paese? Che paura!

9 Maggio 2016

Rileggiamo la parte fondamentale dell’art. 21 della nostra Carta: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di discussione». Se la lingua italiana non tradisce, dunque, in questo “tutti” rientrano agevolmente anche i magistrati. Ai vecchi padri che furono così diretti, chiari, concisi, figli e nipotini del 2016 rispondono con l’arzigogolo maligno. Meno diretti, meno chiari, meno concisi di quei  costituenti, questi moderni ri-costituenti ci dicono che sì, vero, i giudici possono dire la loro, esprimere un pensiero, prendere parte, schierarsi persino. Ma evitando i comitati promotori (o i partiti, o fors’anche le bocciofile e i bar cooperativa). Perché altrimenti entrano in un territorio contaminatissimo, dove tutto si equivoca, anche bere uno spritz con gli amici. Portabandiera del pensiero non proprio fortissimo è tal Legnini, che dalla politica è stato paracadutato allo scranno più prestigioso del Consiglio Superiore della Magistratura (non conteggiando il capo dello Stato che sarebbe fuori concorso). I meriti per cui Giovanni Legnini è lì sarebbero pari ad altri millanta e millanta che l’avrebbero meritato, per cui non stiamo parlando dell’avvocato Siniscalchi.
Qual è il motivo di questa avversione per la partecipazione politica del magistrato? L’idea (malsana, molto malsana) che la “partecipazione” – cioè a dire la passione interiore, ciò che sarebbe il sale di una buona società – possa inquinare i gesti, gli atti, le deliberazioni del medesimo. Ch’egli dunque non sia sereno nell’esercizio della professione, che tragga alimento per le sue conclusioni giudiziarie non tanto dalle carte processuali, entro i confini esatti della legge, ma da personalissime visioni politiche che lo porterebbero a favorire o a danneggiare volutamente un soggetto terzo. È del tutto chiaro che questa prospettiva, questa visione, sono in grado di minare alla radice qualunque rapporto di fiducia, introducendo l’elemento del sospetto all’interno della complessa macchina giudiziaria.
Mettiamo che giudici così esistano (ed esistono). Giudici che ragionano per via complottarda  o persecutoria, e che utilizzano il loro “far politica” per scardinare processi politici, per combattere leader politici, per creare le condizioni per un rovesciamento “esterno” alle urne. Bene, ma quale mente poco allenata alla logica e al buon senso può solo pensare che vietare la “partecipazione”, l’associazionismo, l’essere parte di un comitato, persino avere la tessera di un partito, sia un deterrente a questa aberrazione? Un giudice così va neutralizzato diversamente e il Csm è lì per quello, vicepresidente Legnini. Ma non è che il Csm è una rappresentazione piuttosto fedele delle distorsioni che Lei denuncia? Lei è paracadutato dalla politica a Palazzo dei Marescialli e da lì racconta che i giudici non dovrebbero far politica. Capisce che c’è qualcosa di perverso in tutto questo?
Il ragionamento, tagliato con l’accetta, sarebbe questo: se fai politica, allora sarai un giudice infedele. Tradirai i sacri principi, ti accanirai, metterai sotto torchio le persone, le depaupererai dei loro diritti primari. Ma la neutralità del magistrato, la sua serenità, il suo equilibrio, derivano esattamente dalla partecipazione! Dal suo sapere le cose, informarsi, dal suo appassionarsi alle cose, dell’essere parte, di valutare gli stili, dal suo indignarsi in famiglia, dall’infervorarsi con gli amici a cena. Tutto questo forma una coscienza, che unita alle conoscenze tecniche, porta il professionista in un segmento di estrema responsabilità, in cui ogni decisione, anche la più piccola, sarà frutto di grande attenzione, di disciplina, di costruzione meticolosa del pensiero. Vorremo mica credere che a quell’idea becera secondo cui se la riforma costituzionale di Renzi non ti piace, basterà questo per toglierti serenità nel lavoro? Ma allora tu non sei un magistrato, tu sei un coglione col botto!
E poi certo, gentile Legnini, più che la battaglia sulla partecipazione politica dei magistrati forse sarebbe più utile aprire una sessione sugli incapaci, su quelli che stanno fuori dal mondo, che ricacciano in galera le persone solo perchè si sono messe in bikini e sorridenti su Facebook (un esempio tra i tantissimi). Ecco, a noi cittadini   piacerebbero meno pipponi politici e più “licenziamenti”, se solo questa magica parola che anima il mondo del lavoro potesse essere applicata anche a questa categoria. Buoni giorni e buon lavoro, vicepresidente Legnini.

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