Giustizia

Tragedia del tribunale, anche questa volta non sarà colpa di nessuno?

9 Aprile 2015

Un pazzo. Un criminale. Un paranoico. Le definizioni e i profili psicologici di Claudio Giardiello, in questi giorni, si sprecheranno. Leggeremo un quarto grado su questo imputato difficile, su questo cliente che gli avvocati non volevano più difendere perché, invece di cercare una difesa lineare nel processo, costruiva auto-narrazioni assolutorie che vedevano il mondo – ex soci, giudici, avvocati, periti, ecc – in perenne complotto contro di lui, e lui nei panni della vittima incompresa. Cose che purtroppo capitano spesso, e che solo in una minoranza dei casi sbocciano nella furia omicida che si è scatenata quest’oggi al Tribunale di Milano, portandosi dietro le vite dell’avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani, del giudice Fernando Ciampi e del coimputato Giorgio Erba, deceduto durante l’operazione nel disperato tentativo di salvargli la vita. Tre vittime incolpevoli, più un quarto morto sul quale ancora non ci sono informazioni complete e precise.

Quel che non può restare impunito, tuttavia, è un sistema che ha permesso a questa pazzia criminale di diventare tragedia. Che molte cose non hanno funzionato è auto-evidente: che molte cose nel Tribunale di Milano (e non solo) lo raccontano gli avvocati e i giornalisti che con regolarità lo frequentano per fare il proprio lavoro. Giardiello è entrato con una pistola: l’imputato è entrato con la pistola, a meno che non se la sia procurata una volta entrato. In un caso e nell’altro è successa una cosa che NON doveva succedere in nessun caso. Nel tribunale di Milano girava, armato, qualcuno che non era legittimato ad essere armato, perché non era un poliziotto o una guardia giurata. Com’è stato possibile? Il racconto viene da chi frequenta abitualmente il tribunale e spiega che, spesso, nell’ingresso riservato agli avvocati è consentito anche agli imputati di “saltare” i controlli, a patto che i loro difensori “garantiscano” per loro. Una prassi all’italiana, frutto della prevalenza della conoscenza interpersonale – magari solo facciale – tra chi fa l’avvocato e chi fa la guardia al metal detector.

E le regole? Eh, le regole diranno sicuramente un’altra cosa, imporranno sicuramente un controllo al metal detector di tutti i visitatori esterni, compresi ovviamente gli imputati e i giornalisti: ma poi la prassi all’italiana, si sa, è fatta di fiducia e sorrisoni. Qualcuno ha permesso a questa prassi di consolidarsi, qualcuno ha tollerato, qualcuno ha chiuso gli occhi, qualcuno se n’è fregato. Chi sono i responsabili della sicurezza del Tribunale di Milano? Una semplice ricerca non consente di risalire al nome e agli organi competenti mentre dovrebbe essere intuitivo e chiaro, anche al fine di poter sapere chi è responsabile, quale corpo, quale comando, quali persone.

La falla, la stessa subito indicata dal ministro Andrea Orlando, non è solo nei controlli in entrata, ma nei sistemi di sicurezza in uscita. Perché Giardiello, dopo aver sparato molte volte, e per di più non tutte nella stessa aula e sullo stesso piano del Tribunale, è riuscito a uscire e andarsene sulla sua moto, prima di essere catturato a Vimercate, alle porte di Milano. Evidentemente, oltre a non essere solide nella prevenzione, non funzionano affatto le procedure di emergenza. Anche qui: chi supervede? Chi garantisce? Quanti e quali aggiornamenti e corsi di sicurezza vengono fatti, in previsione che possa succedere quel che non deve succedere, come è stato oggi?

Tutte domande che devono trovare risposta, nella risposta si devono  trovare anche i nomi dei responsabili. Che devono evidentemente pagare le proprie colpe nella misura che le regole esistenti prevedono. Non di più, non di meno: perché in futuro questo non possa capitare più. Perché tutto questo è successo per assenza di rigore e legalità in quello che dovrebbe essere il tempio della legalità stessa. Questo è già chiaro oggi, e chiaramente inaccettabile in un paese e in una città che tanto amano definirsi “civili”.

 

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