Giustizia
Tradimento coniugale e violazione privacy: come sarà interpretata la norma GDPR
E’ sempre più frequente che la domanda di addebito della separazione provenga dalla scoperta di chiamate o di sms reperiti sul cellulare del coniuge, o ancora dalla lettura di e-mail archiviate nel suo computer, o dalla visione di fotografie pubblicate su Facebook o su altre piattaforme social.
Dall’altra parte abbiamo una legislazione in termini di diritto alla riservatezza o privacy che diventa sempre più restrittiva in termini di violazione dei cosi detti dati sensibili.
È lecito adoperare tali prove nel giudizio di separazione?
Il coniuge tradito o comunque offeso rischia, di ricevere una denuncia e di dover subire un processo penale, a causa delle azioni svolte in violazione alla privacy nel tentativo di individuare ed evidenziare gli elementi della crisi coniugale, dovuti all’altro.
La sede penale deve essere sicuramente separata da quella civile.
Una prova assunta illegittimamente (cioè in violazione di una norma di legge o di un diritto fondamentale) non è ammissibile; nella seconda, invece, la valutazione circa l’utilizzabilità della prova è rimessa alla discrezionalità del Giudice.
In ambito penale, senza il consenso espresso o tacito della visione della corrispondenza diretta al coniuge, di qualsiasi genere, configura il reato di sottrazione di corrispondenza (art. 616 comma 1 cod. pen.).
Lo stesso principio vale per tutti gli altri tipi di messaggi (posta elettronica, Messenger, Skype, WhatsApp,Facebook e anche per gli sms), la violazione della riservatezza che copre questo genere di comunicazioni private integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico (art. 615 ter cod. pen.).
In particolare riguardo a Facebook, vi è già un’indicazione da parte della Corte di Cassazione, che ha chiarito che i “post”, le condivisioni e le foto pubblicate non sono coperte dal diritto alla riservatezza perché costituiscono informazioni rese volontariamente pubbliche ed accessibili a tutti (se il profilo è pubblico) o quanto meno ad un certo gruppo di conoscenti (se il profilo è impostato con alcune restrizioni).
Ma molte volte, l’avvocato nella causa di separazione, allega comunque tali prove. Com’è possibile? E perché mai correre il rischio di ricevere una denuncia penale?
Nel nostro ordinamento è la valutazione del Giudice a decidere sull’ammissibilità e l’utilizzabilità delle prove prodotte dalle parti in un giudizio civile.
Nell’ambito del procedimento di separazione, anche se le prove sono state assunte con modalità illecite, il Giudice può ammetterle se viene fatto per esercitare il diritto di difesa e, cioè, per sostenere la domanda di addebito della separazione a carico dell’altro.
Occorre ricordare che vi sono mezzi a disposizione delle parti per contestare le pretese avversarie o per provare una determinata circostanza, ad esempio:
– l’ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ.
– il sequestro ex art. 669 bis e seguenti cod. proc. Civ.
Ricorrere a mezzi che violano i diritti è un rimedio estremo da utilizzare con cautela.
Per le prove recuperate attraverso l’accesso ad un cellulare o terminali portatili (tablet/pc portatili/smartwatch) del coniuge vi è una situazione particolare.
Se per spiare tra gli sms e le chat di Whatsapp, allo scopo di cercare le tracce di un eventuale tradimento, si accede al telefono o altro terminale portatile del coniuge, tale azione può essere lecita se l’apparecchio è stato lasciato incustodito in casa.
Anche in questo caso vi è un precedente giurisprudenziale relativo ad una sentenza del tribunale di Roma, dove il marito, esibita la prova dell’infedeltà coniugale della moglie attraverso messaggi reperiti sul suo telefono cellulare, ha avuto la separazione con addebito al coniuge fedifrago.
Secondo il giudice romano, quando si tratta di marito e moglie, la privacy subisce un affievolimento proprio per via del fatto che la coppia coabita sotto lo stesso tetto ed è quindi naturale che gli oggetti, come il cellulare, siano esposti alla possibile condivisione, apertura o lettura, sebbene non espressamente autorizzata. Insomma, la convivenza determina una sorta di manifestazione tacita di consenso alla conoscenza sia dei dati che delle comunicazioni del coniuge, anche se di natura personale.
Chi ha qualcosa da nascondere nei propri device deve fare attenzione a richiamare la violazione della propria privacy. Anche il tribunale di Torino aveva sostenuto che non si può parlare di violazione della riservatezza quando il marito o la moglie rovista, di nascosto, all’interno dello smartphone del coniuge per cercare prove di infedeltà. Benché la legge vieti l’utilizzo in processo di prove acquisite in modo illecito, in questi casi nulla di illecito viene posto, secondo il tribunale di Roma tutto questo è consentito perché è proprio la convivenza a far scemare la privacy.
Si legge nella sentenza che, in un contesto di coabitazione e di condivisione di spazi e strumenti di uso comune quale quello familiare, la possibilità di entrare in contatto con dati personali del codice è del tutto probabile e non si traduce necessariamente in una illecita violazione di dati personali. È la stessa natura del matrimonio che implica un affievolimento della sfera di riservatezza, in tale contesto non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto dei messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefonino lasciato incustodito in uno spazio comune della abitazione familiare.
La separazione con addebito interviene quando uno dei due coniugi si è reso direttamente responsabile della separazione, ad esempio nel caso di un tradimento, la possibilità di ottenere una pronuncia di addebito è tutt’altro che scontata.
Perché il giudice possa addebitare la separazione a carico del coniuge infedele è necessario dimostrare che il tradimento è stato la causa della crisi matrimoniale e non il suo effetto.
Se, pertanto, il tradimento interviene in un momento in cui il matrimonio è già in crisi non c’è motivo per addebitare la separazione al coniuge fedifrago.
La Corte di Cassazione più volte si è occupata del tradimento ed ha sempre ricordato che l’infedeltà coniugale può comportare l’addebito della separazione solo se si dimostra che la relazione extraconiugale è stata la causa della crisi della coppia e non la sua conseguenza.
Nel corso degli anni, la giurisprudenza si è anche uniformata in relazione ai nuovi mezzi di comunicazione sociale: in particolare, internet e social network.
Accade, come abbiamo già detto, che sempre più spesso il coniuge si impegna a raccogliere quante più prove a carico del consorte da utilizzare nei giudizi di separazione, al fine di dimostrare l’infedeltà dell’altro senza sfociare in condotte vietate dalla legge.
Del resto, però, il precedente Testo Unico sulla Privacy (D.l. 196/2003), pur prevedendo l’obbligo del preventivo consenso dell’interessato per la trattazione dei suoi dati personali, consente una deroga proprio quando questi ultimi debbano essere impiegati per far valere un diritto avanti all’autorità giudiziaria. A tal proposito, la Suprema Corte ha affermato che la produzione in giudizio di documenti contenente dati personali è sempre consentita se necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza, anche se la facoltà di difendersi in giudizio utilizzando gli altrui dati personali va esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza, sicché la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, e le esigenze di difesa.
Alla luce di quanto esposto, conformemente a quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, nonostante il divieto imposto dalla legge, la documentazione in esame, ai fini dell’addebito, potrà essere valutata discrezionalmente dal giudice; per meglio dire, la presentazione di copie di email, chat private, sms scambiati dal consorte con l’amante e contenenti la prova dell’infedeltà coniugale, potrà essere tollerata dal giudice civile nel corso del processo di separazione, mantenendo la possibilità per il coniuge che si reputi danneggiato nella propria riservatezza di sporgere denuncia – querela in sede penale.
A questo scopo, tuttavia, è necessario che la produzione del materiale raccolto in violazione della privacy rappresenti l’unica fonte di prova del presunto tradimento e che i dati personali del coniuge “fedifrago” siano trattati esclusivamente per tale finalità.
Ma come può cambiare l’indicazione dei giudici con l’attuazione del GDPR?
Ed in tale contesto, ci si chiede quale sarà il quadro di responsabilità e sanzionatorio dopo l’applicazione del GDPR.
Appare appena il caso di ricordare come tra le sanzioni amministrative più ricorrenti nel corso degli ultimi anni in materia vi sono certamente le sanzioni relative alla mancanza di informazioni nei confronti degli utenti e interessati in genere, l’omessa o inidonea informativa comporta infatti una limitazione all’autodeterminazione informativa dell’interessato ed è prevista dall’art. 161 del Codice della Privacy, l’articolo punisce varie fattispecie dalla cessione dei dati personali tra titolari autonomi del trattamento alla comunicazione dei dati sanitari all’interessato in violazione dell’art. 84 del Codice, particolare rilevanza operativa appare il comma 2 bis dell’art. 162 del Codice, il quale punisce con una sanzione amministrativa chi omette le misure minime di sicurezza e chi commette un trattamento illecito dei dati personali.
Per quanto attiene alla fattispecie di violazione amministrativa relativa al trattamento illecito dei dati preme mettere in evidenza che l’art. 167 C.d.P
L’attuale testo del decreto GDPR, ha sanzioni penali per il GDPR, non previste dalla normativa europea.
Una riflessione va all’art. 167 sul trattamento illecito è un reato a dolo specifico e richiede anche che ricorra il documento (danno patrimoniale apprezzabile), questi due elementi non sono necessari affinché ricorra la violazione amministrativa è pertanto sufficiente che non vi sia un consenso o che il consenso prestato non abbia i requisiti di legge perché venga applicata la violazione amministrativa.
A tale riguardo diversi articoli del regolamento europeo rafforzano gli obblighi generali e di sicurezza del trattamento in capo al responsabile del trattamento, dagli articoli 28 e 30 all’art. 33 sulla notificazione della violazione dei dati, infine, l’articolo 83, lettera d) dando rilevanza al grado di responsabilità tra titolare e responsabile rende esplicita l’attribuzione anche al responsabile dell’illecito amministrativo.
Infine, in riferimento al nuovo quadro sanzionatorio previsto dal regolamento europeo si ricorda che come previsto dall’art. 84 del regolamento europeo la materia penale rientra nella competenza di ciascuno Stato Membro, mentre le sanzioni amministrative pecuniarie sono armonizzate e devono osservare i criteri di effettività, proporzionalità e dissuasività.
L’art. 83 richiamando i tre criteri sopra menzionati specifica che le sanzioni devono essere applicate in funzione del singolo caso e tenendo conto della natura, della gravità e della durata della violazione, delle finalità del trattamento, del numero di interessati lesi e del livello del danno, oltre ad altri elementi come il carattere doloso o colposo della violazione, le misure adottate.
Attendiamo l’interpretazione giurisprudenziali relative all’applicazione del GDPR in tali circostanze.
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