Giustizia

Sulla prescrizione, ben altro che la prescrizione

27 Dicembre 2019

Questo post è ispirato al benaltrismo. Il benaltrismo è uno strumento dialettico del dibattito pubblico moderno in Italia, che in generale misura la povertà del dibattito stesso. Se non hai argomenti, o non sai di cosa stai parlando, guardi negli occhi l’avversario e gli dici chiaro e tondo che: “I problemi sono ben altri”.  Ma ci sono casi e tempi, come quello che stiamo vivendo in questi giorni, in cui il benaltrismo diventa contenuto e misura della scala di valori della politica e del rapporto tra politica e società. E’ il cambio da “ben altro” a “tutt’altro”. Quando il movimento delle sardine invoca l’abolizione del decreto sicurezza, quando un ministro della pubblica istruzione si dimette perché la scuola è umiliata e la politica, con in testa il PD, mette la linea del Piave sulla questione della prescrizione, fa tutt’altro che l’interesse generale. La sensazione è che il problema della prescrizione stia molto più a cuore ai politici (che non è la stessa cosa che la politica) che alla gente comune.

Il “benaltrismo” più rozzo è logica sopraffina a confronto con l’argomento principe che viene portato (dai tecnici!)  contro l’abolizione della prescrizione dopo il primo grado. L’argomento è: senza prescrizione i giudici non fisseranno più le udienze. Nessuno si chiede che impatto possa avere un argomento di questo genere su un uomo della strada, come il sottoscritto? Non è un diritto degli imputati (e delle vittime) che le udienze vengano fissate e a questo diritto non corrisponde un dovere dei giudici? E come impiegato della pubblica amministrazione, al pari dei magistrati, mi chiedo: ma non è un’offesa ai magistrati? Se uno dicesse che senza l’obbligo di firmare il registro delle lezioni io non andrei più in aula, non gli darei dell’imbecille? E c’è bisogno di una norma perché un chirurgo ti ricucia una volta che ti ha aperto?

Se attribuiamo una logica a questo argomento, anche se questo argomento una logica non ce l’ha, i corollari non sono incoraggianti. Perché i giudici non dovrebbero più fissare le udienze? Perché sono oberati di altri casi? No, perché un giudice avrebbe gli stessi casi con o senza prescrizione e non si capisce perché in assenza di prescrizione non dovrebbe fissare le stesse udienze che fissa in presenza della prescrizione. Le altre ipotesi sono inquietanti. Non fisserebbero i processi perché sono fannulloni? Oppure perché ce l’hanno con te? In entrambi i casi, la risposta che speriamo di poter dare è: no, e comunque non tutti. Ma in entrambi i casi la prescrizione sarebbe un pannicello caldo su un organo in cancrena. Il problema della giustizia sarebbe, o è, ben altro che la prescrizione al secondo grado di giudizio.

Forse le risposte a queste domande stanno in un’altra logica, che potremmo chiamare “logica giudiziaria”. Del resto, siamo già abituati a conoscere il termine “verità giudiziaria”, per distinguerla dalla “verità”. E anche qui il tema è lo stesso. Non possiamo illuderci che la prescrizione coincida con l’innocenza, non solo nella morale, ma nella logica comune. La prescrizione è una pena inflitta a un innocente, e consiste nell’essere confuso con i colpevoli salvati dalla prescrizione. La logica comune suggerisce che l’innocente per prescrizione dovrebbe rinunciare alla prescrizione stessa, e se non lo fa può essere per tre motivi. Il primo è che magari ritiene difficile spiegare a un giudice la sua innocenza (si pensi a reati finanziari per cui il giudizio richiede conoscenze di cui il giudice non può disporre). Il secondo è il costo di andare avanti con il processo: provare l’innocenza costa. Il terzo, che senz’altro verrebbe sollevato dal nostro avvocato, è che se voi rinunciate alla prescrizione, il giudice non fisserà più le udienze, che rimanda ai quesiti di cui sopra.

La prescrizione è quindi un sintomo di un sistema giudiziario che funziona male, non ne è la soluzione. Per usare un termine tecnico della mia disciplina, l’economia, è un “pooling equilibrium”, una prigione che tiene insieme colpevoli e innocenti, dalla quale gli innocenti non possono scappare, per distinguersi dai colpevoli, perché non ne hanno le possibilità, di denaro e tempo, o perché non hanno fiducia in chi li dovrà giudicare. Si noti che in un mondo ideale in cui la giustizia funzionasse perfettamente, e fosse gratis e immediata, agli innocenti converrebbe sempre rinunciare alla prescrizione, e usare la prescrizione sarebbe equivalente a denunciarsi colpevole. Sarebbe un “separating equilibrium” in cui la prescrizione coinciderebbe con la colpevolezza.

Se siamo lontani da questo “separating equilibrium”, in cui la prescrizione sarebbe uno strumento inutile, dipende quindi dall’inefficienza della giustizia, dai suoi costi, dai conflitti con la politica, dalla mancanza di sanzioni e di una sostanziale responsabilità dei giudici rispetto ai loro errori e omissioni. Insomma, dipende dagli stessi motivi per cui si ritiene che, senza una norma “eccitante”, i giudici non fisserebbero più udienze: per andare al mare o per machiavellici intrighi di palazzo.

Noi non ci schieriamo con la magistratura: a quelli che studiavano economia sui banchi dell’università insieme a me è rimasta impressa la convocazione dei nostri maestri da parte di un giudice solo per aver sottoscritto la solidarietà a Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, governatore e direttore generale di Banca d’Italia, in occasione del loro arresto. Noi stavamo dalla parte dei nostri maestri, non del magistrato. Però la diffidenza nella magistratura e la coscienza dell’inefficienza della macchina giudiziaria ha raggiunto livelli e scatenato effetti che allora non avremmo potuto immaginare. Abbiamo anche sentito un sottosegretario, che aveva patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta, difendersi dicendo che il patteggiamento non coincide con la colpevolezza. Ce n’è abbastanza per concludere che il problema è “ben altro” che la prescrizione.

I punti sollevati dal movimento delle “sardine” suggeriscono anche che alla società civile interessa “ben altro” che la prescrizione. Da un tweet delle sardine ho appreso che nella mia Toscana sono state applicate sanzioni fino a 4 000 euro a manifestanti che hanno fatto un blocco stradale per portare all’attenzione del pubblico il fatto che non ricevevano lo stipendio da 7 mesi. E’ la prima applicazione del Decreto Sicurezza di Salvini, e la sua abolizione è una delle principali richieste portate avanti dal movimento delle sardine. Chi protesta paga, e non c’è prescrizione che tenga.

Che dire poi dello ius soli o ius culturae? Come con la sicurezza, i generali della politica dopo aver accuratamente studiato i loro plastici hanno concluso che l’opinione pubblica non è matura. Come se non capitasse frequentemente ai nostri ragazzi di condividere i loro posti di ritrovo o le loro “compagnie” (se le chiamano ancora così) con ragazzi diversi da loro solo per la “verità giudiziaria”, ma per la verità assolutamente uguali. No, per i nostri generali quello che succede di frequente a tutti gli italiani è “ben altro”: è sedere in un’aula di giustizia, accusati di un reato penale. Su questo hanno deciso di scatenare la battaglia finale. Qualcuno li avvisi che la priorità che avvertono deriva dal fatto che vivono in un campione distorto, in cui trovarsi in un’aula di tribunale è più frequente che trovarsi in quella di una scuola. In realtà, di questa battaglia alla grande maggioranza della società civile non importa nulla, e la parola d’ordine è: “ben altro”!

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