Giustizia
Strage di via d’Amelio, una nuova (f)Avola
Ieri sera, su La7, abbiamo assistito alla promozione dell’ultima fatica letteraria di Michele Santoro, disponibile da oggi. Nelle ore successive la Procura di Caltanissetta ha dichiarato l’inattendibilità di Avola.
Se da un lato Santoro ha ribadito che oramai, visto la sua vicinanza ai settant’anni, è poco interessato a occupare il centro del palcoscenico, il direttore Mentana, probabilmente parlando anche a nome del suo editore, glielo ha offerto chiaramente. In fondo, cosa non si va per vendere un libro? Lo sanno gli autori, soprattutto quelli minori che farebbero carte false per una presentazione in più anche solo per vendere una copia del loro prezioso volume. È lecito che ogni autore consideri il proprio lavoro una gemma unica ma, questa volta, l’egocentrismo ha giocato brutti scherzi.
“Nient’altro che la verità”, questo è il titolo del libro di Michele Santoro edito da Marsilio che, come previsto e annunciato, da stamattina è disponibile su tutti gli stores digitali. Perché, se ti tolgono il microfono, che fai? Scrivi un libro, perché così poi vai in televisione a presentarlo, visto il tuo curriculum di tutto rispetto. Una scena ben preparata condotta dal padrone di casa, il dottor Mentana e con ospiti eccellenti: la “punta di diamante” del giornalismo d’inchiesta di La7 Andrea Purgatori, il dottor Antonio Di Pietro e la dottoressa Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo oltre, ovviamente, all’autore del libro del quale, per pura modestia dell’autore, non è stata fatta vedere la copertina.
Cardine del nuovo libro e sulle sue “scottanti” rivelazioni, tanto “scottanti” da coniare il titolo del libro stesso è Maurizio Avola. Nome nuovo sul panorama del pentitismo? Nient’affatto. Maurizio Avola, autore di un’ottantina di omicidi, è diventato collaboratore di Giustizia dopo essere stato per anni uno dei killer più spietati della Mafia. “Sono l’ultima persona che ha visto lo sguardo di Paolo Borsellino, prima di dare il segnale per fare quella maledetta esplosione”, ha raccontato a Michele Santoro. Non solo, ha raccontato il primo omicidio, quello di Andrea Finocchiaro, avvocato, per le sue dichiarazioni sul boss Benedetto Santapaola, un delitto consumato nel centro di Catania. Avola si è anche autoaccusato di aver avuto un ruolo operativo nell’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, assassinato il 5 gennaio 1984 a Catania, e ha indicato i nomi di altri assassini e dei mandanti. Già nel 2019, indicò che i mandanti e gli esecutori delle stragi del 1992 erano stranieri e che facessero riferimento alla famiglia Gambino di “cosa nostra” americana. Fu quella famiglia che mandò a Palermo un suo uomo d’onore esperto in esplosivi e telecomandi, per insegnare a lui e a Giovanni Brusca come maneggiare i congegni nuovi, l’esplosivo e i telecomandi che dovevano coprire una distanza di sei, settecento metri dal detonatore.
Maurizio Avola ne ha raccontate tante, nell’aula bunker di Firenze dove si celebrava davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta, il processo contro il boss trapanese Matteo Messina Denaro per la strage di via D’Amelio.
In tutti i processi che l’hanno visto imputato, Avola ha avuto riconosciuti i benefici premiali per la collaborazione. Trent’anni da scontare in carcere. È lui li ha vissuti senza protestare. Ha avuto uno sconto di cinque anni di pena per la buona condotta in carcere e ha scontato le ultime briciole di detenzione carceraria. Proprio a cavallo di quel periodo, Michele Santoro incontra Avola. Dalle stesse parole di Santoro emerge che, una volta in libertà, proprio davanti a lui ha deciso di raccontare le sue nuove verità, ovviamente non riscontrate e, probabilmente, non riscontrabili. Di fatto, dal suo racconto sulla strage di via d’Amelio spariscono entità esterne, agenti dei servizi deviati e il teorema della “presunta trattativa” come motivazione cardine della scelta di uccidere Paolo Borsellino. Non solo. La Procura di Caltanissetta, nelle ore successive alla trasmissione ha emesso un comunicato stampa in cui, relativamente alla presenza di Avola nelle fasi di preparazione e esecuzione della strage di via d’Amelio afferma:
“Tale circostanza risulta in effetti essere stata riferita per la prima volta dall’Avola nel corso di un interrogatorio svoltosi lo scorso anno dinanzi ai magistrati di questa D.D.A., a distanza di oltre venticinque anni dall’inizio della sua collaborazione con l’autorità giudiziaria. I conseguenti accertamenti disposti da questa D.D.A:, finalizzati a vagliare l’attendibilità di dichiarazioni riguardanti una vicenda ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie, non hanno allo stato trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità. Dalle indagini demandate alla DIA sono per contro emersi rilevanti elementi di segno contrario che inducono a dubitare tanto della spontaneità quanto della veridicità del suo racconto. Per citarne uno, tra i tanti, l’accertata presenza dello stesso Avola in Catania, addirittura con un braccio ingessato, nella mattinata precedente il giorno della strage, la dove, secondo il racconto dell’ex collaboratore, egli, giunto a Palermo nel pomeriggio di venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di un’abitazione sita nei pressi di via Villasevaglios, pronto, su ordine di Giuseppe Graviano, a imbottire di esplosivo la fiat 126 poi utilizzata come autobomba”.
In mezzo al fumo denso, però, lo stesso Santoro si attacca a verità giudizialmente certe, come quella relativa alla datazione della decisione di uccidere sia Falcone sia Borsellino che inizialmente si riteneva fosse stata presa nel corso di una riunione successiva alla sentenza definitiva del maxi-processo, come reazione alle risultanze processuali. La magistratura ha però appurato che la data in cui Cosa Nostra ha preso la decisione, si deve anticipare di qualche mese. Nel dicembre del 1991 il Gotha di Cosa nostra si sarebbe riunito, a Pietraperzia in provincia di Enna, con tutti i capi mafiosi, per “escogitare un piano e tracciare le linee guida di un piano di destabilizzazione della vita del Paese per obiettivi eversivo-separatisti”. La riunione è però succedanea a una riunione, molto più significativa, tenutasi a Zagabria che avrebbe condizionato le decisioni del Gotha mafioso, non solo di Cosa Nostra, ma anche della Camorra e della ‘ndrangheta. Riunione cui parteciparono esponenti eversivi della destra europea, massoni e imprenditori mirata a fissare i binari dello sviluppo di un nuovo ordine politico, nel quale sarebbero dovuti confluire personaggi che all’epoca facevano affari d’oro col grande traffico degli stupefacenti.
Fumo denso nel quale poi Santoro si perde, poi, quando si tratta di capire non solo i “chi” ma il “perché” della strage di via d’Amelio, viste le dichiarazioni di Avola. Fumo denso in cui si perde Andrea Purgatori che vede svanire la sua pista preferita sul perché della strage di via d’Amelio, ossia quella della “presunta trattativa”, per la quale è in corso il processo di Appello e su cui lui ha puntato tutto in cambio di facile consenso televisivo.
Fumo denso in cui, però, non si perdono né Antonio Di Pietro tantomeno Fiammetta Borsellino che, Di Pietro per averla vissuta personalmente e Fiammetta Borsellino per aver letto con attenzione le carte, dicono la parola magica, ossia “dossier mafia-appalti”, quel fascicolo la cui archiviazione fu chiesta il 13 luglio 1992. Non solo, quando Fiammetta Borsellino indica il dottor Roberto Scarpinato e il dottor Guido Lo Forte, e ciò corrisponde al vero perché le loro firme sono in calce alla richiesta di archiviazione, la barba di Andrea Purgatori vibra, come se si fosse trovato di fronte ad un delitto di lesa maestà. E Fiammetta Borsellino ricorda che il 14 luglio 1992, suo padre fece una riunione con i suoi sostituti in cui chiese come mai l’indagine di sua competenza, l’inchiesta “Pantelleria”, da lui sviluppata a Trapani, non fosse confluita nel “dossier mafia-appalti”.
Lo stesso dottor Di Pietro ricorda i suoi incontri con Falcone prima e Borsellino poi il cui argomento era proprio la connivenza di aziende del nord con una rete stratificata d’interessi e società di comodo realizzate in Sicilia, storia sicuramente non nuovo in quanto già indicata e sviluppata da Mario Francese durante le sue inchieste sugli appalti per la costruzione della diga Garcia. Purgatori minimizza dichiarando che in quel dossier non comparivano nomi e che solo nel 1993 si sarebbero evidenziati ma, forse, l’informativa del ROS datata 16 febbraio 1991, lui non l’ha letta perché se lo avesse fatto si sarebbe risparmiata la sua infelice valutazione.
La puntata in onda su La7 avrebbe meritato una radio-cronaca, una di quelle che tipicamente si realizzano per gli incontri di calcio. Avrebbe descritto Purgatori in difesa, arroccato nel suo metro quadrato di campo e impossibilitato a muoversi, Di Pietro fantasista ragionato che ben sfrutta e centra le occasioni di goal, Santoro ai margini del campo affiancato dal padrone Mentana di casa che, probabilmente, pensava che ne sarebbe uscito altro, da quello speciale che l’ha fatto tornare in prima serata. Outsider, come sempre, Fiammetta Borsellino alla ricerca di una verità negata sempre più spesso, pare, per non voler ammettere le colpe e le mancanze riscontrate durante le indagini. Non è bastata la sentenza del “Borsellino quater” che ha indicato a chiare lettere che la “presunta trattativa” non è stato l’accelerante della morte del dottor Borsellino e nemmeno le evidenze, che si continuano a voler minimizzare, che emergono dall’importanza del “dossier mafia-appalti” perché come, la stessa Fiammetta Borsellino ha dichiarato durante la trasmissione: “Nella sentenza (di primo grado del procedimento sulla c.d., nda) trattativa si dice una menzogna, una bugia. Si dice che mio padre fosse addirittura disinteressato al dossier ‘Mafia e appalti’ o che non lo conoscesse ma non è vero, perché lo conosceva benissimo”.
(Ro.G.)
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