Giustizia

Strage di via d’Amelio. Anomalie, depistaggi, zone d’ombra, ma fu strage mafiosa

9 Novembre 2021

È stata confermata la decisione della Corte d’appello del “Borsellino quater”. Depositate le motivazioni della sentenza emessa lo scorso 5 ottobre dalla Cassazione.

 

La sentenza della Cassazione è stata emessa il 5 ottobre scorso e sono quindi da ritenersi definitive le condanne all’ergastolo per i capomafia Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, quelle per calunnia per Calogero Pulci condannato a dieci anni come quella comminata a Francesco Andriotta, anche se con un piccolo sconto di pena da 10 anni a 9 anni e 6 mesi, per la prescrizione di due calunnie ai danni del falso pentito Vincenzo Scarantino, mentre è stato assolto da una terza accusa di calunnia, sempre ai danni di Scarantino. Le motivazioni della Cassazione, quindi, confermano sostanzialmente la decisione della Corte d’appello del Borsellino quater e identificano il lungo iter processuale come oggetto di abnorme inquinamento probatorio.

Nella sintesi ricostruttiva offerta dalla sentenza impugnata, «la strage di Via D’Amelio rappresenta indubbiamente un tragico delitto di mafia, dovuto a una ben precisa strategia del terrore adottata da Cosa Nostra, in quanto stretta dalla paura e da fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il “maxiprocesso”», potendo le emergenze probatorie relative a quelle “zone d’ombra” – in parte già acquisite in altri processi, in parte disvelate dal presente processo – indurre, al più, a «ritenere che possano esservi stati anche altri soggetti, o gruppi di potere, interessati alla eliminazione del magistrato e degli uomini della sua scorta».

Vano è stato il tentativo di spostare il peso delle motivazioni della strage sul fronte del cosiddetta trattativa che non ha imbrigliato la Corte all’interno di tesi puramente strumentali e complottiste. Dal canto suo la Corte, come evidenziato nel secondo grado, ha ritenuto più circostanziata la pista della molteplicità di motivazioni che hanno indotto Cosa nostra a progettare e realizzare la strage che ha portato alla morte Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina e di come si sia trattato di una finalità di vendetta che chiama in causa la vita professionale del magistrato, una finalità preventiva, perseguita da Cosa Nostra in relazione «alla possibilità che il giudice Borsellino divenisse capo della Procura Antimafia» e una «finalità di destabilizzazione», volta a «esercitare una pressione sulla compagine politica e governativa» e finalizzata «a mettere in ginocchio lo Stato».

Di fatto, come affermato nella sentenza di secondo grado «non può che ribadirsi la  sostanziale neutralità di tali fatti ai fini dell’accertamento dei responsabili della strage di via D’Amelio (imputati nel presente procedimento) dovendosi ancora una volta ribadire la matrice mafiosa della stessa. Non può condividersi, sul punto, l’assunto difensivo secondo cui la “trattativa Stato-mafia” avrebbe aperto “nuovi scenari” in relazione alla “crisi dei rapporti di Cosa Nostra con i referenti politici tradizionali” e al possibile collegamento fra “la stagione degli atti di violenza” e l’occasione di “incidere sul quadro politico italiano” con riferimento a coloro che “si accingevano a completare la guida del paese nella tornata di elezioni politiche del 1992”.

Invero, gli elementi acquisiti nel presente procedimento consentono di affermare che l’uccisione del giudice Paolo Borsellino, inserita nell’ambito di una più articolata “strategia stragista” unitaria, sia stata determinata da Cosa Nostra per finalità di vendetta e di cautela preventiva. Ed è anche logico affermare che vi sia stata una finalità di “destabilizzazione” intesa a esercitare una pressione sulla compagine politica e governativa che aveva fino a quel momento attuato una drastica politica di contrasto all’espansione del crimine organizzato mafioso».

Risulta altresì evidente che, sulla base della confermata sentenza d’appello, la decisione di morte assunta dai vertici mafiosi nella riunione degli auguri di fine anno 1991 della Commissione Provinciale, ma anche nelle precedenti riunioni della Commissione Regionale, abbia intersecato convergenti interessi di altri soggetti o gruppi di potere estranei a Cosa Nostra. Ma ciò non può equivalere a mettere in ombra la paternità della terribile decisione di morte compiuta da Cosa Nostra né condurre ad escludere la responsabilità penale di coloro che ebbero a partecipare alle riunioni deliberative e, di fatto, risulta evidente che i co-interessi evidenziati riguardino, innanzitutto, il primario obiettivo mafioso, ossia quello degli interessi economici. A tal proposito, proprio dopo la sentenza del 5 ottobre, risulta evidente come sia fondamentale aprire il fronte investigativo relativo sia all’archiviazione del dossier “mafia-appalti” sia all’operato dei colleghi del dottor Borsellino al tempo applicati alla Procura di Palermo dallo stesso Borsellino definita “covo di vipere” anche, e soprattutto, sulla base di quanto dichiarato dalla signora Piraino Agnese Maria Concetta, moglie del dottor Paolo Borsellino e verbalizzato nel “Verbale di assunzione di informazioni” del 18 agosto 2009 «ricordo perfettamente che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini senza essere seguiti dalla scorta. In tale circostanza, Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere. In quel momento era allo stesso tempo sconfortato, ma certo di quello che mi stava dicendo».

Aveva forse scoperto che solo quattro giorni prima, a firma dei procuratori aggiunti Scarpinato e Lo Forte, era stata richiesta l’archiviazione del dossier “mafia-appalti” e non ne era stato informato?

 

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