Giustizia

Riforma Cartabia: il rebus della “ragionevole previsione di condanna”

27 Marzo 2023
Ma, al fine di snellire e velocizzare l’acciaccato sistema giudiziario, si può pensare di far approdare alla fase dibattimentale solo i processi dove la sentenza di condanna risulti quasi scontata?

 

 

I rebus contenuti nell’ultima Riforma della Giustizia che porta la firma di Marta Cartabia, sembrano moltiplicarsi come funghi, e con meno ilarità nel cercarli, da parte degli addetti ai lavori del settore giudiziario a vario titolo. La confusione ed il disorientamento generati, infatti, sia nell’ambito del processo civile che in quello penale, sembrano regnare sovrani, innalzando di molto la percentuale del commettere errori nell’interpretare norme poco chiare e contraddittorie ab origine.

Una delle criticità più lampanti, in merito alla procedura penale, appare la modifica introdotta intorno ad una tappa fondamentale del rito processuale, qual’è l’udienza preliminare, la cui importanza non può essere di certo sminuita, definendola come una sorta di “udienza passacarte”, in termini di economia dell’intero procedimento. A tal proposito, la stessa riforma in oggetto, pare abbia voluto superare il criterio valutativo del “in dubio pro iudicio”, disponendo che sia lo stesso Gup, ad emettere sentenza di proscioglimento dell’imputato, quando ritenga che non vi siano elementi acquisiti sufficienti a giustificare una previsione di condanna di portata ragionevole. In buona sostanza, si investe la figura del Giudice dell’Udienza Preliminare, di un aggravio di responsabilità, costringendolo ad individuare e sviscerare seppur sommariamente, quali siano i procedimenti che possano ambire ad approdare alla fase dibattimentale e quali invece debbano essere arrestati ad una fase embrionale. Tutto questo, naturalmente, impone che, sia gli avvocati che gli stessi magistrati, profondano il massimo impegno ed attenzione, rivalutando la fama dell’udienza preliminare, spogliandola dell’eccessivo ed ingiusto formalismo di cui era stata investita e dotando i vari Uffici del Processo, di piante organiche in grado di garantire la massima fluidità delle operazioni ad essa connesse.

Quindi, dovremmo, teoricamente, prepararci ad un costante innalzamento del numero delle sentenze di proscioglimento, che dal canto loro, però, implicano il dovere di essere motivate succintamente, a differenza della sinteticità di cui si avvale il decreto che dispone il giudizio, per il quale non è richiesto l’obbligo di motivazione. Siamo davvero sicuri, alla luce di questo ardito tentativo voluto nella riforma, che scaricare ulteriori incombenze sull’Ufficio del Gup, già di per sè, al collasso, per l’ingente mole di richieste di archiviazione, di misure cautelari, ecc., sia la via giusta verso lo snellimento dei tempi di durata del Processo?

Come non avanzare comprensibili perplessità circa l’impatto negativo sull’imputato, nel caso di rinvio a giudizio o prosecuzione del giudizio, in qualche modo, condizionando la capacità di discernimento del Gup, alle prese con un filtro e una fase predibattimentale tassativamente prescritta, in un quadro normativo davvero approssimativo, pur richiamandosi al principio costituzionale della presunzione di innocenza per l’imputato? Non bisogna perdere di vista un assunto lapallissiano nella sua efficacia: nell’udienza preliminare, tutto si basa sulla valutazione degli atti assunti unilateralmente dalla pubblica accusa, mentre nella fase dibattimentale, gli stessi testimoni dell’accusa, debbono sottoporsi al contraddittorio, e superarlo, essendo, inoltre, garantito all’imputato, il diritto di difesa, presentando prove che smantellino l’impianto accusatorio proposto in sede di udienza preliminare o fase predibattimentale, attraverso la deposizione di testimoni, consulenti tecnici, ecc. Possiamo davvero trattare il Processo Penale, come una seduta di chiaroveggenza, facendo riferimento ad una “ragionevole previsione di condanna”?

 

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