Giustizia

Quattordici ergastoli richiesti per imputata di terrorismo

12 Settembre 2017

Nel processo contro la presunta unica superstite e quattro coadiutori del gruppo terroristico Clandestinità nazionalsocialista (NSU) la Procura Generale tedesca alla 382ma udienza ed ottavo giorno di presentazione delle sue conclusioni, ha specificato oggi le sue richieste di pena.

 

Beate Zschäpe
Ergastolo, misure di sicurezza e sequestro dei beni idonei ad essere reimpiegati per nuove attività criminali e pronuncia espressa (scatterebbe comunque con la condanna definitiva) della pena accessoria di cinque anni di sospensione da diritti elettorali e ricoprire cariche pubbliche nei confronti di Beate Zschäpe. Per la procura ella è l’unica superstite, componente integrante e paritetica del gruppo terroristico neonazista imploso il 4 novembre 2011 con l’omicidio suicidio degli altri due terroristi Uwe Böhnhadt ed Uwe Mundlos. Il Procuratore Generale Herbert Diemer ha definito Beate Zschäpe una “persona gelida e calcolatrice” per la quale “la vita degli altri esseri umani era del tutto indifferente”. Il gruppo terroristico ha freddato per motivi razzisti, sorprendendole senza che avessero alcuna possibilità di reagire, dieci persone: Enver Şimşek, Abdurrahim Özüdoğru, Süleyman Taşköprü, Habil Kılıç, Mehmet Turgut, İsmail Yaşar, Theodorus Boulgarides, Mehmet Kubaşık, Halit Yozgat e la poliziotta Michèle Kiesewetter, ha cercato di uccidere anche il suo collega Martin Arnold, ha commesso 15 rapine armate ed almeno due attentati dinamitardi. Beate Zschäpe ha poi messo a rischio la vita di altre persone incendiando l’ultimo covo, ma mettendo in salvo i suoi gattini, e quindi in prosecuzione del disegno criminoso ha spedito dei DVD di rivendicazione con riprese in dispregio delle vittime. Il Procuratore è così giunto alla sua richiesta sommando quattordici ergastoli e varie pene tra i sei ed i nove anni che singolarmente ha indicato dovrebbero esserle attribuite.

 

Diemer ha poi accolto le conclusioni del perito psichiatrico Henning Saβ secondo cui Beate Zschäpe non ha mai manifestato credibilmente rimorso ed oggi, se ricadesse in una costellazione uguale, tornerebbe a commettere reati dello stesso tipo. L’imputata ha ascoltato senza emozioni, con il volto appoggiato alle mani congiunte sotto il mento.

 

Beate Zschäpe ha oggi 42 anni. Se accolta, la richiesta di pena mette una severa ipoteca sulla sua remissione in libertà. L’ergastolo infatti si potrebbe tradurre di norma in una condanna a 15 anni seguita in modo non automatico da una rimessione in libertà con la condizionale. In questo caso la Procura ha però riscontrato nelle finalità terroristiche anche il peso particolare delle colpe dell’imputata (in tedesco besondere schwere Schuld) la quale per tredici anni di fila “non si è sporcata le dita, ma era al corrente di tutti i crimini e li ha voluti,”. Questo impone un esame stringente prima di decidere se rimetterla in libertà. Oltre a questo la Procura ha poi anche richiesto l’applicazione di misure di sicurezza (in tedesco Sicherungsverwahrung). L’imputato resta in carcere per la sicurezza pubblica se ne viene confermata la tendenza a delinquere. Questo strumento fino al 1998 consentiva in Germania di trattenere i rei indiscriminatamente in carcere anche con effetti retroattivi. La Corte di Giustizia Europea per i diritti dell’uomo nel 2009 lo censurò e la Corte Costituzionale tedesca nel 2011 giudicò conseguentemente la normativa illegittima. Una nuova legge entrata in vigore il 1° giugno 2013 ha quindi ridotto i casi in cui possono essere applicate e previsto che ad ogni modo non debbano essere più gravi della pena, vincolandole ad un’offerta terapeutica.

 

Ralf Wohlleben
Dodici anni invece la pena richiesta dalla Procura per Ralf Wohlleben che come Zschäpe siede già in carcere preventivo. Per l’accusa è indiscutibilmente responsabile di concorso in nove omicidi per avere fornito l’arma del delitto ed essere stato una sorta di grande burattinaio dietro le quinte alla discesa in clandestinità del gruppo. Anche Ralf Wohlleben non ha dimostrato emozioni, salvo forse avere lasciato la mano della moglie, che assisteva al suo fianco, per digitarne i contenuti delle conclusioni della Procura al pc.

 

Carsten S.
Tre anni invece per l’identico reato a Carsten S. che gode del regime di protezione dei testimoni. La differenza di trattamento è stata giustificata da Herbert Diemer perché l’imputato, che all’epoca dei fatti aveva vent’anni, dev’essere giudicato secondo il codice minorile. Due periti ed un assistente giudiziario hanno infatti affermato che fosse ancora parzialmente immaturo, avendo aderito all’estrema destra inizialmente in ribellione ai genitori e soffrendo per una non consapevole omosessualità. Non era però incapace quando ha aderito ad incarichi politici nella JN, il movimento giovanile del partito neonazista NPD, ha specificato Diemer. La Procura gli ha comunque apertamente riconosciuto di essersi pienamente distanziato dall’estrema destra ed avere reso piena confessione collaborando alle indagini. Senza il suo apporto anzi, ha esplicitato il Procuratore “il processo non si sarebbe potuto svolgere”. Inoltre pur essendo anch’egli imputato per avere consegnato l’arma di nove delitti, avrebbe chiaramente agito sotto le direttive di Ralf Wohlleben. Ciò nondimeno l’accusa nella sua richiesta è andata comunque un anno oltre la soglia per la quale sarebbe ipotizzabile la sospensione condizionale della pena. “L’imputato stesso” ha detto infatti Diemer “non ha ancora capito quale sia veramente la colpa che porta” ed a fronte di reati con finalità terroristiche “il carcere quale prevenzione è irrinunciabile”.

 

Holger Gerlach
Cinque anni invece la richiesta di pena per Holger Gerlach con l’aggiunta di 3 anni di sospensione da cariche pubbliche e di voto. L’imputato ha fornito al defunto terrorista Uwe Böhnhardt la patente di guida con cui il gruppo terroristico ha affittato quasi tutti i mezzi di locomozione per raggiungere le località dove hanno perpetrato almeno sei omicidi. Gerlach ha poi anche dato a Beate Zschäpe la carta sanitaria di una terza persona perché si potesse curare e nella seconda metà del 2011, l’anno in cui è infine emersa l’esistenza dell’associazione terroristica, ha messo a disposizione di Böhnhardt il proprio passaporto. Il suo ruolo nei contatti col gruppo appena sceso in clandestinità per la Procura è stato così rilevante da non poterlo fare apparire come un semplice gregario. Nondimeno anche lui ha contribuito alle indagini anche se nel processo si è limitato ad una dichiarazione iniziale e non ha voluto rispondere a domande. D’altronde l’accusa ha considerato in suo favore, come per tutti gli altri imputati, che i crimini risalgono a molto tempo fa (tanto che altri si sono già prescritti) e che con la lunga durata del processo ha avuto scarse possibilità di lavorare regolarmente.

 

André Eminger
Con André Eminger la pubblica accusa è stata invece molto più severa, anche se solo tre reati ascrittigli non sono già prescritti. Per lui ha chiesto dodici anni. Eminger è imputato di complicità in tentato omicidio per avere affittato il camper con cui i terroristi sono andati a Colonia per fare l’attentato dinamitardo nella Probsteigasse contro la famiglia di origini iraniane Malayeri. Inoltre deve rispondere di concorso per avere noleggiato i mezzi legati a due rapine nel 2000 e nel 2003. Per gli inquirenti Eminger “conosceva e condivideva il cinico e disumano concetto di Clandestinità nazionalsocialista”. Quanto sia ideologicamente legato allo spettro neonazista emerge già dal fatto che ha tatuato sull’addome un teschio che ride sopra la scritta in inglese “muori ebreo muori”. Gli inquirenti hanno trovato in casa sua un altarino ai due defunti terroristi Uwe Böhnhardt ed Uwe Mundlos con la dicitura “indimenticabili”. In caso di terrorismo lo Stato deve “dare una risposta adeguata” ha indicato il Procuratore Diemer e ne ha richiesto, dopo oltre 4 anni di processo che l’imputato ha seguito a piede libero, l’immediato arresto per impedirne il rischio di fuga.

 

Il suo difensore d’ufficio, l’avvocato Kaiser, è intervenuto ripetutamente proponendo alternative alla traduzione in carcere e rintuzzando anche gli interventi dell’avvocato di parte civile Yavuz Narin. Quest’ultimo appoggiando la richiesta di incarcerazione ha sottolineato che Eminger si è frequentemente incontrato fuori dal Tribunale con simpatizzanti e che tra il pubblico oggi c’erano quantomeno il pregiudicato Karl-Heinz S. e l’indagato André K. Quest’ultimo, che aveva accompagnato la moglie di Wohlleben, vestiva come inequivocabile messaggio delle sue simpatie capi della marca Erik & Sons, in voga nel mondo degli skinhead, sulla camicia campeggiavano tre grosse rune celtiche bianche Nauthiz, simbolo del fuoco. Il collega Daimagüler ha per parte sua ancora sottolineato che la presenza di Eminger è stata registrata anche dai servizi di sicurezza bavaresi durante manifestazioni del movimento antistranieri Pegida.
Durante le varie interruzioni disposte dai giudici per decidere in merito dei poliziotti si sono portati di fianco a Karl-Heinz S. ed André K. per assicurare che non ci fossero incidenti.  Il Presidente del collegio giudicante Manfed Götzl alla fine ha deciso di rimandare a domani, in udienza non pubblica, la decisione definitiva, ma ha disposto già oggi il trasferimento in carcere di Eminger per evitare che possa sottrarsi all’arresto. L’imputato ha potuto comunque ancora digitare dei messaggi e fare una telefonata col suo cellulare. In aula ha anche parlato con Ralf Wohlleben. Manfred Götzl ha però prescritto che in carcere non debba avere invece alcun contatto né con lui, né con Beate Zschäpe. Per loro due il Procuratore Diemer ha formalmente domandato la conferma del provvedimento di carcerazione preventiva.

 

Le prime reazioni delle parti civili
Le prime reazioni dei legali di parte civile alla fine dell’udienza sono state complessivamente positive. Per l’avvocato Sebastian Scharmer le conclusioni della Procura nei confronti degli imputati sono logiche e condivisibili; ha poi chiarito riguardo al fermo di André Eminger che quando è chiesta una pena così lunga è un fatto ineludibile. Ha però anche evidenziato che se i giudici lo confermeranno domani dovranno però anche accuratamente motivare come si sostanzia il stringente sospetto di colpevolezza che giustifica il carcere preventivo nei suoi confronti.

 

Per l’avvocato Reinhard Schön, che difende delle vittime dell’attentato nella Keupstrasse a Colonia del 9 giugno 2004 -per il quale Beate Zschäpe, pur non essendone stata provata la presenza, è imputata di 23 casi di tentato omicidio e 32 di lesioni gravi- ritiene che la Procura Generale abbia lavorato in modo concludente e pulito; il suo collega Eberhard Reinecke dice lo stesso per quanto riguarda questi cinque imputati, per il chiarimento di ulteriori responsabilità però manifesta delle riserve.

 

Più o meno considerazioni analoghe da parte dell’avvocato Mehmet Daimagüler che sottolinea che il processo penale in definitiva mira anche a ristabilire in qualche modo l’ordine sociale e la Procura Generale ha lavorato bene nei confronti dei cinque imputati, ma ha altresì fatto in modo di tenere pulita l’onorabilità dello Stato non indagando altrettanto a fondo in altre direzioni.

 

Attorniata dai giornalisti fuori dal Tribunale la vedova di Theodorus Boulgarides, il fabbro di origini greche trucidato nella sua bottega a Monaco di Baviera il 15 giugno 2005 dai terroristi, ha affermato che “se le pene saranno confermate nella sentenza verrà compiuto un passo nel senso della giustizia”. Ciò che più l’ha scioccata in oltre quattro anni di processo, ha indicato, è stata “l’indifferenza manifestata dagli imputati nei confronti dei familiari degli assassinati e delle vittime superstiti degli attentati” ma se le pene inflitte non divergeranno “avranno tempo per riflettere”. Incalzata però sul fatto che il procuratore Diemer ancora oggi abbia ribadito che non ci sono prove di responsabilità dello Stato o dei suoi funzionari, si è stretta nelle spalle dicendo che i dubbi che ci siano stati diversi coadiutori del gruppo e che non sono stati perseguiti sono sotto gli occhi di tutti, ma le conclusioni della Procura nei confronti dei cinque imputati se saranno confermate dai giudici le permetteranno di guardare con più fiducia verso lo Stato tedesco.

Yvonne Boulgarides, moglie di Theodorus Boulgarides, settima vittima del gruppo terroristico autoproclamatosi Clandestinità nazionalsocialista (foto dell’autore)

 

In copertina il Procuratore Generale tedesco Herbert Diemer (foto dell’autore)

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