Giustizia

Quando c’era Lui… le intercettazioni erano in primo piano

24 Settembre 2015

Un tempo c’erano le barricate. Una strenua difesa del diritto di indagine e di informazione. Le intercettazioni erano il confine invalicabile presidiato dalla società civile, sostenuta dall’informazione, con il centrosinistra a traino. Tutti uniti, arrivando addirittura a delle esagerazioni. Era la mitica epoca dei post-it, dei movimenti di cittadini vogliosi di porre un argine al rischio di regime berlusconiano. E, guardando il calendario, scopro che sono fatti risalenti ad appena 5 anni fa. Infatti era il 2010 e al governo c’era Lui, il Caimano, anzi l’Uomo Nero Silvio Berlusconi che voleva vietare le indagini, bloccando le intercettazioni e la loro conseguente diffusione. Sembrava un autentico incubo per la democrazia, da cui – per fortuna – ci eravamo salvati, grazie a un diretto impegno. Ma, ingenui che siamo, ignoravamo cosa potesse accadere qualche anno dopo. Il medesimo progetto portato al termine non da un governo di centrodestra, ma da un esecutivo con una maggioranza spostata sul versante del centrosinistra. Che di (Nuovo)centrodestra ha solo un piccolo alleato.

Nel settembre 2015, insomma, la storia è molto diversa. La maggioranza a trazione Pd ha approvato la riforma del processo penale e ha concesso una delega dai contorni tutt’altro che precisi al governo, chiamato a riempire di contenuti la riforma. E la destinazione sembra proprio quella indicata dall’ex Caimano, tanto che il deputato di Forza Italia, Paolo Sisto, si è tolto lo sfizio di deridere i dem durante il suo intervento a Montecitoro: “Oggi l’Aula ci dà ragione, ora la pensate come noi. Benvenuti dalla nostra parte, tra quelli che hanno ritenuto le intercettazioni dannose e assurde. Questo è un riconoscimento a Forza Italia”. Insomma, i parlamentari del Pd, che qualche anno fa protestavano in piazza contro le leggi proposte da Silvio Berlusconi, hanno dato il via libera a un disegno molto simile, per ammissione e con il vanto degli stessi berlusconiani.

E che dire, quindi, dell’era in cui Matteo Renzi, non ancora presidente del Consiglio, si professava favorevole alle “dimissioni” della ministra della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, finita in prima pagina per alcune telefonate intercettate (in cui rassicurava con toni amichevoli i Ligresti). Quelle conversazioni non erano “penalmente rilevanti”, ma destarono scandalo tanto che l’allora Rottamatore colse l’assist e intervenne con la sua furia verbale, abbattendosi sulla Guardasigilli del governo di Enrico Letta.

Dunque, proprio Matteo Renzi deciderà cosa fare sulla legge relativa alle intercettazioni per limitare lo strumento “nel rispetto della privacy”, secondo le linee guida indicate dal deputato del Pd, Walter Verini, ovviamente elogiatore della riforma. E in un quadro di ritorno al passato, riverniciato di nuovismo, dalla grande stampa c’è stata solo una flebile replica: nessuna campagna di sensibilizzazione, nessun grande movimento di opinione. La democrazia non è più a rischio, nonostante le forti assonanze tra il 2010 e il 2015. Certo, si è sollevata qualche critica negli editoriali, bacchettando la svolta anti-intercettazioni. Ma rispetto alle urla di furore contro Berlusconi è stato davvero un sussurro. Che in pochi sono riusciti a percepire.

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