Giustizia
Punire per educare
La società degli adulti deve decidere che fare dei propri ragazzi, a partire da quelli più faticosi, disagiati, riottosi alle regole. La punizione carceraria crea dolore, stigma, fratture sociali insanabili. È negazione di futuro attraverso l’inflizione di sofferenze nel presente. Incarcerare un ragazzo o una ragazza è una delle scelte più gravi che si possa fare: significa inchiodarlo per sempre a un momento o a più momenti della sua giovane vita. Non può che essere un’opzione del tutto eccezionale. Invece le nuove norme hanno inteso rompere con una bella storia italiana, che era quella della residualizzazione della risposta detentiva nei confronti dei minori (Patrizio Gonnella)
Ancora qualche giorno e potrà indisturbato riprendere il piagnisteo per la fuga dei cervelli e i giovani che lasciano l’Italia per cercare fortuna all’estero.
Basterà che si depositi la polvere per quanto successo in queste due ultime settimane.
Prima i desolanti numeri dell’aumento esponenziale dei minori nelle nostre carceri.
All’inizio del 2024 sono circa 500 i detenuti nelle carceri minorili italiane. I ragazzi in misura cautelare sono 340, mentre erano 243 un anno fa. Erano oltre dieci anni che non si raggiungevano numeri così alti, segno evidente degli effetti del decreto Caivano, approvato lo scorso settembre dopo lo stupro di gruppo nel Parco verde della cittadina campana. È quanto emerge dal settimo rapporto sulla giustizia minorile a cura dell’associazione Antigone, presentato martedì 20 febbraio a Roma (https://www.ragazzidentro.it/).
Sconfortante il parere di chi se ne intende, Paolo Tortiglione, presidente della cooperativa Arimo, che in Lombardia si occupa di giovani autori di reati, svolge un ruolo di consulenza per il Garante regionale dell’infanzia ed è referente dell’area penale minorile del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza: «Avevamo un’ottima legge penale minorile, del 1988, scritta con riferimenti culturali eccezionali. È stato deprimente vederla spazzare via senza dibattito politico e attraverso il sistema della fiducia, in un’Aula quasi vuota. Con la conversione in legge del decreto Caivano è esploso il ricorso alla carcerazione. Portare un minore dietro le sbarre è il modo migliore per aumentare la recidiva. Più mettiamo i ragazzi in carcere più avremo reati. Ma la cosa più grave è l’aver limitato la possibilità di concedere la messa alla prova, il fiore all’occhiello del nostro sistema penale minorile, invidiato in tutto il mondo. Prima si poteva usare con qualsiasi reato, oggi no. Per esempio è esclusa in caso di rapina aggravata, che detta così sembra una cosa terribilmente pericolosa ma è frequentissima negli adolescenti. Un esempio? Sottrarre il cellulare a un coetaneo minacciando di prenderlo a schiaffi».
Va beh dai, alla fine ci sono tutti gli altri nostri bravi ragazzi con cui possiamo immaginare un futuro radioso per la nostra bistrattata Italia.
Quelli che studiano nei licei ad esempio.
Prendiamo un esempio d’eccellenza. Vogliamo parlare degli studenti del liceo artistico Russoli di Pisa?
Parliamone.
A quelli il questore della città, Sebastiano Salvo, ha visto bene di mandare una bella squadra di poliziotti nella mattinata di venerdì 23 febbraio.
Prima li hanno chiusi nella via del liceo, arrestando la loro manifestazione per la pace in Palestina, con camionette ai due capi della via. Poi le botte.
Ecco il racconto edificante dei loro insegnanti di quanto accaduto: «Proprio di fronte all’ingresso del nostro liceo, hanno fatto partire dapprima una carica e poi altre due contro quei giovani con le mani alzate. Non sappiamo se se siano volate parole forti, anche fuori luogo, d’indignazione e sdegno, fatto sta che, senza neanche trattare con gli studenti o provare a dialogare, abbiamo assistito a scene di inaudita violenza. Ci siamo trovati ragazze e ragazzi delle nostre classi tremanti, scioccate, chi con un dito rotto, chi con un dolore alla spalla o alla schiena per manganellate gentilmente ricevute, mentre una quantità incredibile di volanti sfrecciava in Via Tavoleria».
Quando era arrivato in città il citato questore non aveva risparmiato roboanti dichiarazioni: «Arrivo in un territorio bello, ricco di cultura e di storia, denso di tradizione. E molto stimolante sul piano professionale». Quali stimoli abbia avuto dall’incontro con giovani studenti del bel territorio adesso l’hanno visto tutti. Per altro la sua di storia nessuno l’ha dimenticata: era vicequestore nel 2001 durante la macelleria del G8 di Genova.
Ha sentito il bisogno di intervenire il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Giusto per ricordare al nostro ministro degli interni, Piantedosi, che siamo in Italia non nel Cile di Pinochet.
Salvatevi dalle sbarre e dai manganelli giovani italiani.
Noi che restiamo ci consoleremo mostrando di sapere come si chiama in inglese il vostro percorso: brain drain. Basterà la parola a farci sentire ancora un paese che cresce verso fulgidi risultati di progresso.
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