Giustizia

ONU, il libro più letto è sull’immunità dei Capi di stato per crimini di guerra

7 Gennaio 2016

La Biblioteca Hammarskjöld Dag presso le Nazioni Unite (dal nome del segretario generale che è morto nel 1961) non fa notizia molto spesso, ma come tutti, nei primi giorni dell’anno, ha scelto di comunicare qual è stato il libro più richiesto e consultato nel 2015. L’annuncio è piuttosto sorprendente perché il testo che ha riscosso maggiore successo riguarda l’immunità dei capi di Stato dai crimini di guerra.

Destinata ad essere utilizzata dal personale delle Nazioni Unite e dalle delegazioni nazionali, la biblioteca conserva i documenti e le pubblicazioni dell’ONU e delle organizzazioni correlate, insieme ad una serie di altri libri e materiali in materia di relazioni internazionali, diritto, economia e molto altro.

Ma nonostante non sia aperta al pubblico, salvo visite guidate e organizzate, anche la Hammarskjöld Dag ha una presenza sui social network, e recentemente ha twittato quella che è stata la pubblicazione più popolare del 2015, quella più consultata. Eccola qui:

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L’ONU è piena di delegati in rappresentanza di dittature terribili, e il libro più consultato nel 2015 tratta proprio il tema che riguarda l’immunità dai crimini di guerra.

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Il libro non è un documento delle Nazioni Unite, ma è una tesi di dottorato dell’Università di Lucerna scritta da Ramona Pedretti, che indaga la questione dell’immunità dei capi di Stato e altri funzionari di governo presso i tribunali stranieri.

In generale vi sono due forme di immunità in diritto internazionale delle quali i capi di Stato possono beneficiare: l’immunità ratione personae che impedisce ai capi di Stato in carica di essere sottoposti alla giurisdizione penale straniera, e l’immunità ratione materie che protegge gli atti ufficiali, vale a dire quelli compiuti in veste ufficiale per conto dello Stato, dal controllo da tribunali stranieri.

La Pedretti conclude scrivendo che l’immunità ratione personae è assoluta, e, quindi, che i tribunali nazionali non possono accusare il leader di un’altra nazione, mentre l’immunità ratione materie può essere invalidata per gli imputati che hanno lasciato l’ufficio, come è accaduto con gli arresti del nazista Adolf Eichmann da parte di Israele e del dittatore cileno Augusto Pinochet dalla Spagna.

Le cose sono leggermente diverse per la Corte penale internazionale, un tribunale permanente competente a giudicare genocidi, i crimini contro l’umanità, e i crimini di guerra, basato su un trattato firmato da più di cento Stati. La Corte ha emanato il mandato di arresto contro il presidente sudanese Omar Al Bashir nel 2009, per crimini di guerra e contro l’umanità, per i massacri nel Darfur. Come spiega l’autrice, casi simili a quelli del presidente sudanese possono ancora sollevare il tema della ragione personae da parte dei singoli Stati. La Camera della CPI preliminare non è però d’accordo, sostenendo che i tribunali internazionali sono generalmente esenti da restrizioni ratione personae, che va applicata solo ai tribunali nazionali in paesi stranieri (ad esempio, gli Stati Uniti non possono incriminare il dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe in un tribunale americano).

Ramona Pedretti sostiene infine che i leader dei paesi che hanno ratificato il trattato di fondo della CPI, e quelli i cui casi sono stati deferiti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (come Bashir), sono vulnerabili nel vedere la loro immunità ratione personae venir messa in discussione, ma che siamo lontani dal poter affermare che tutti i capi imputazione non hanno immunità dinanzi al giudice.

Si tratta di argomenti sfumati e molto interessanti, soprattutto se si ha motivo di pensare che chi ha commesso crimini potrebbe “atterrare” a L’Aia.

(Fonte: www.vox.com)

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