Giustizia

Omicidio Ilardo, si trattò di un regolamento di conti interno a Cosa Nostra

23 Marzo 2021

L’8 marzo scorso è stata depositata in Cancelleria la sentenza della Corte Suprema di Cassazione – Prima sezione penale n.9307 che, di fatto, condanna in via definitiva Madonia Giuseppe, Santapaola Vincenzo, Cocimano Orazio Benedetto e Zuccaro Maurizio per l’omicidio di Luigi Ilardo.

La sentenza in oggetto chiude il lungo iter processuale relativo all’omicidio di Luigi Ilardo che avvenne la sera del 10 maggio 1996 in via Quintino Sella a Catania. Il 21 marzo 2017 la Corte d’Assise di Catania, presieduta dalla dottoressa Rosa Anna Castagnola ritenne, “visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Madonia Giuseppe, Santapaola Vincenzo, Zuccaro Maurizio e Cocimano Orazio Benedetto colpevoli del delitto loro in concorso ascritto e li condanna alla pena dell’ergastolo”. I condannati erano imputati “del delitto p. e p. dagli artt. 110, 575 e 577 nn. 3 e 4 c.p., 7 D.L. n. 152/1991, perché, agendo in concorso tra loro, Madonia Giuseppe e Santapaola Vincenzo, quali mandanti, Zuccaro Maurizio e La Causa Santo (per il quale si procede separatamente) quali organizzatori, Cocimano Orazio Benedetto (unitamente a Signorino Maurizio e Giuffrida Piero successivamente deceduti) quale esecutore materiale, esplodendo numerosi colpi di arma da fuoco calibro 9 mm all’indirizzo di Nardo Luigi provocavano la morte del predetto”.

Nel rigettare i ricorsi presentati dagli imputati, la Corte traccia percorsi e motivazioni che hanno determinato la volontà dell’omicidio dell’Ilardo e conferma le responsabilità già formulate nelle precedenti sentenze.

Nello specifico, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, è stato possibile ricostruire i tempi in cui è stata decisa la morte dell’Ilardo e le relative motivazioni. Si chiarisce il rapporto tra l’Ilardo e il Ros, il suo atteggiamento e la sua personalità stante che “alcune circostanze di fatto, relative alla personalità della vittima, possono ritenersi pacifiche. In particolare, è emerso – anche attraverso la deposizione dei testimoni col. Riccio Michele e col. Damiano Antonio – che Ilardo Luigi, esponente di spicco della famiglia Madonia di Caltanissetta (nonché cugino di Madonia Giuseppe) dopo un lungo periodo di detenzione aveva, dall’anno 1994 e sino al momento della morte, avviato una collaborazione informale con apparati investigativi ed in particolare con il colonello Riccio”. Di fatto Luigi Ilardo aveva il ruolo di confidente e come tale si è comportato nel periodo in cui è stato tale continuando a svolgere la sua normale attività essendo “un esponente di spicco della famiglia Madonia di Caltanissetta (nonché cugino di Madonia Giuseppe)”. Come confidente, l’Ilardo ha fornito informazioni che “al col. Riccio hanno consentito di procedere all’arresto di taluni latitanti di rilievo della organizzazione mafiosa e di avviare una complessa indagine sulle famiglie di Caltanissetta e Gela, poi sfociate in un processo celebratosi dopo la morte di Ilardo”. Durante la sua attività di confidente “Ilardo aveva altresì fornito al col.Riccio notizie di estrema rilevanza circa la latitanza di Bernardo Provenzano, soggetto con cui Ilardo intratteneva rapporti epistolari e, in una occasione (nell’autunno del 1995) personali diretti” ma “la mancata attivazione – all’epoca – di un idoneo servizio di polizia giudiziaria teso alla cattura di Provenzano Bernardo, da parte dei superiori del col. Riccio, in occasione dell’incontro tra il confidente Dardo e il noto latitante è stata oggetto di un giudizio penale conclusosi, peraltro, con l’assoluzione dei soggetti tratti a giudizio (essenzialmente per assenza di prova sulla finalità di agevolazione del latitante da parte degli imputati, ma con conferma del dato storico rappresentato dall’incontro tra l’Ilardo e Provenzano)”.

Come evidenzia la Corte “Sta di fatto che la ricostruzione della genesi e della fase esecutiva del delitto è stata alimentata, in sentenza, dall’analisi di più contributi collaborativi succedutisi nel corso del tempo”. Nello specifico “Barbieri Carmelo, del gruppo gelese, in stretto contatto con Ilardo fino al giorno dell’omicidio, ha affermato di aver saputo – dopo il fatto – da esponenti di rilievo del clan Madonia che Ilardo era stato eliminato perché confidente delle forze dell’ordine”.

Non solo. Relativamente alla posizione di Giuseppe Madonia “la Corte di Assise di Appello riteneva dimostrata la trasmissione del mandato omicidiario da parte di costui ai membri del clan Santapaola. Ciò in riferimento ai contributi dichiarativi resi, essenzialmente, da Di Raimondo Natale – le cui dichiarazioni vengono ritenute attendibili e circostanziate -, Brusca Giovanni, La Causa Santo e Cosenza Giacomo. Viene evidenziata la diversità e la autonomia delle singole fonti di conoscenza citate dai dichiaranti, con piena convergenza sul nucleo essenziale della narrazione”.

Si afferma inoltre “che è pienamente verosimile che la reale motivazione della decisione di uccidere Ilardo fosse la intervenuta consapevolezza – in capo al Madonia ed ai suoi più stretti accoliti – della attività di confidente da Ilardo posta in essere ma tale ragione, come spesso è avvenuto nei contesti mafiosi, non venne in quel momento disvelata e si preferì ‘addossare’ ad Ilardo la responsabilità dell’omicidio Famà (fatto che appariva correlato all’omicidio della moglie di Benedetto Santapaola), sì da determinare la sicura adesione dei Santapaola al progetto omicidiario”. A supporto, inoltre, il fatto che “dopo l’omicidio di Ilardo, avvenuto in territorio catanese e ad opera di affiliati al clan Santapaola, non vi fu alcuna reazione da parte dei Madonia, famiglia di appartenenza della vittima”.

Rispetto, invece, ai tempi in cui maturò la decisione di eliminare l’Ilardo già nella sopra citata sentenza del 21 marzo 2017 si legge che:

In particolare, dalla congiunta valutazione degli elementi acquisiti in atti si giunge alle seguenti conclusioni:

a)  dopo il 31 ottobre 1995 – data alla quale non si era ancora diffuso alcun sospetto sull’Ilardo nell’ambiente criminale, tanto che lo stesso incontrava Provenzano a Mezzojuso – erano giunte al Provenzano notizie circa il ruolo di informatore che il predetto stava svolgendo. Il Provenzano ne aveva quindi deciso l’uccisione, chiedendo al Giuffrè di occuparsene; 


b)  nel medesimo periodo, missive anonime, giunte ad autorità e soggetti privati, accusavano Ilardo di “mire espansionistiche” (v. dichiarazioni del Riccio); Vaccaro Lorenzo diveniva esclusivo referente di cosa nostra nissena per le altre province (V. dichiarazioni di Vara, Giuffrè e Di Raimondo) e Madonia chiedeva l’eliminazione delPIlardo, che era stato nel frattempo isolato all’interno della compagine criminale di appartenenza e di fatto destituito dal ruolo di rappresentante provinciale (come ha affermato di Raimondo Natale per averlo appreso da Tusa Francesco e come si desume altresì dalle dichiarazioni di Vara e da quanto riferito dal Riccio in ordine all’inutilmente atteso secondo incontro di Ilardo con Provenzano; significativo è anche l’esame dei tabulati del traffico telefonico sulle utenze in uso all’Ilardo che segnano un rallentamento e poi, verso il marzo del ’96, una cessazione di contatti sia con Madonia Maria Stella che con i Tusa)

e che

la definitiva conferma sulla causale dell’omicidio è fornita, infine, da Barbieri, il quale ha affermato di averne avuto notizia dai familiari dell’Ilardo e, in particolare, da Francesco Lombardo, nonché da Sturiale e dalla Biondi che hanno riferito di avere appreso da Vacante Roberto che l’Ilardo era stato ucciso perché era divenuto “confidente”.

Ricostruzione confermata dalla sentenza della Corte Suprema di Cassazione che ricorda come “Di Raimondo Natale, (detenuto al momento del fatto, esponente di spicco del clan Santapaola) nelle sue dichiarazioni affermava che già a marzo-aprile del 1996 in un colloquio avuto con Tusa Francesco (del clan Madonìa, anch’egli cugino di Ilardo) aveva appreso che i Madonia non ritenevano più Ilardo loro ‘referente esterno’ (..mio cugino è posato..), il che, secondo il dichiarante, era un chiaro preludio alla sua eliminazione, in virtù delle regole interne della organizzazione”. A questo si aggiunge quanto dichiarato da Antonino Giuffrè che nelle sue dichiarazioni “affermava che l’omicidio Ilardo, sulla base di sue interpretazioni di alcuni pizzini a lui indirizzati dal Provenzano, uniti alla considerazione delle regole interne di cosa nostra, era avvenuto per volontà del Provenzano (che aveva evidentemente scoperto la qualità di informatore dell’Ilardo) con l’assenso di Madonia Giuseppe. Se ne sarebbero occupati i catanesi, visto che lì risiedeva Ilardo”.

Per la Corte è evidente che si sia trattato di una “azione delittuosa come ‘realizzata’ dal gruppo mafioso dei Santapaola in virtù di una richiesta proveniente dal vertice del gruppo Madonia (Madonia Giuseppe, con veicolazione dell’ordine curata da Vincenzo Santapaola) e non come iniziativa ‘autonoma’ della cellula mafiosa catanese”.

La visione d’insieme degli accadimenti e la convergenza delle fonti, sia relativamente alla genesi sia al momento esecutivo, “consentono di ritenere pienamente logica e congruamente dimostrata – in sede di merito – la tesi per cui Ilardo ‘doveva’ essere eliminato in quanto confidente delle forze dell’ordine, con mandato proveniente da Giuseppe Madonia e veicolato tramite Santapaola Vincenzo” a cui si aggiunge che “la conoscenza dei fatti da parte del Brusca (sia pure de relato) ha trovato conferma nel rinvenimento del ‘pizzino’ indirizzato da costui al Provenzano, riferibile ai dubbi sorti sulla affidabilità dell’Ilardo”.

La Corte conclude inoltre affermando che “la possibile esistenza di altri soggetti interessati ad evitare il consolidamento della attività collaborativa di Ilardo Luigi non si pone, sul piano logico, come fattore idoneo a ridimensionare il valore dimostrativo delle fonti raccolte nel giudizio, dotate di quei caratteri di specificità, autonomia e convergenza che consentono di ritenere validamente espresso il giudizio di responsabilità”.

Quest’ultima affermazione esclude definitivamente la possibilità che elementi esterni a Cosa Nostra possano aver suggerito, e ancor meno indicato, l’Ilardo come bersaglio e che, come più sopra indicato, la decisione relativa al suo omicidio risale al periodo marzo-aprile del 1996. Tutto ciò colloca, quindi, l’omicidio di Luigi Ilardo nell’ambito di un regolamento di conti interno all’organizzazione mafiosa di cui faceva parte a causa della sua attività di confidente.

La sentenza della Corte Suprema di Cassazione è disponibile all’indirizzo https://cdn.fbsbx.com/v/t59.2708-21/162355817_287618242716242_1955780229536940813_n.pdf/_20210308_snpens10a2021n09307tS.clean.pdf?_nc_cat=108&ccb=1-3&_nc_sid=0cab14&_nc_ohc=Imlm2qLrxVMAX-cwJo2&_nc_ht=cdn.fbsbx.com&oh=fb04eba41a644ac18b72046223a01e27&oe=605AF6D3&dl=1

(Ro.G.)

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