Giustizia

NSU: saltano le conclusioni dell’accusa

19 Luglio 2017

Palco pieno, presenti anche i parlamentari dei Verdi tedeschi Claudia Roth, Konstantin von Notz e Volker Beck per ascoltare nel Palazzo di Giustizia penale di Monaco di Baviera mercoledì 19 luglio, dopo oltre quattro anni di processo sui crimini del gruppo neonazista “clandestinità nazionalsocialista” (NSU), l’avvio della lettura delle conclusioni della Procura Generale. Nell’aula ci sono pure 4 parenti dei 10 assassinati che hanno preso d’urgenza il giorno libero. La ricostruzione finale dell’accusa è preannunciata dipanarsi per 22 ore e lungo l’arco di diversi giorni.

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Prima però la Corte deve dare lettura alla sua decisione sulla richiesta avanzata martedì 18 luglio dalle difese degli imputati di incidere l’esposizione della Procura. I giudici, come era prevedibile, annunciano di non voler dare luogo alla registrazione: l’ordinamento processuale tedesco prevede l’oralità e la Procura si è dichiarata contraria. I magistrati argomentano che occorre contemperare gli interessi contrapposti, mentre però da un lato gli avvocati difensori sono professionisti che usano lo stesso linguaggio tecnico dei procuratori e possono prendere appunti, oppure farsi assistere a proprie spese da stenodattilografi, dall’altro procedere ad una registrazione contro il volere espresso dell’accusa significherebbe infrangere i diritti della personalità dei procuratori enunciati nell’articolo 2 della Costituzione.

 

I difensori, quasi compatti, richiedono copia della decisione e due ore di pausa -che diverranno due ore e venti- per controbattere. I diritti della personalità dei procuratori, dicono poi, devono essere bilanciati con quelli degli imputati a capire appieno gli argomenti dell’accusa e loro non sono dei legali. I procuratori poi agiscono nell’esercizio del loro ufficio e la tutela prevista dalla costituzione vige per discorsi resi privatamente e non in pubblico da funzionari che agiscono nel loro ufficio. Il riferimento ai diritti della personalità chiamato in causa, in ogni caso non vale per un discorso che è stato dattiloscritto. Vero è che l’ordinamento processuale prevede l’oralità e vieta video-riprese, ma consente ai giudici di procedere ad una incisione sonora se credono. Insistono perché sia disposta la registrazione, oppure che i giudici incarichino uno stenodattilografo, o concedano che lo facciano loro ma ammettendo che siano spese di difesa a carico dello Stato, od infine che la Procura consegni copia della sua comparsa conclusionale.

 

La Procura replica che non intende dare lo scritto, che reca annotazioni proprie ed è per il solo uso interno all’accusa. Il Procuratore Generale Herbert Diemer sottolinea che è onere dei difensori spiegare la terminologia giuridica agli imputati e li bacchetta che è parte del mestiere sapere prendere appunti scritti, aggiungendo che comunque gli accusati capiranno benissimo cosa esporranno. Oltre a tutto non sarebbe una narrazione di fatti nuovi, ma solo un riassunto di quanto emerso nel processo. Dietro il fermo rifiuto dei Procuratori c’è probabilmente anche il timore razionale che i giornalisti abbiano accesso al documento prima che l’atto venga interamente letto in aula, venendo a conoscere anzitempo l’entità delle pene richieste.

 

L’avvocato Wolfgang Heer che difende l’imputata principale Beate Zschäpe ritenuta l’unica sopravvissuta del nucleo terroristico di estrema destra, replica che è ovvio che la procura non può enunciare fatti nuovi, sarebbe illecito altrimenti, ma che presenta una sua valutazione complessiva delle prove che è diritto degli imputati comprendere. Gli dà inusitatamente manforte il collega Mathias Grasel, che difende come lui Beate Zschäpe ma con cui non c’è collaborazione, indicando che essendo intervenuto in realtà solo nelle ultime 160 udienze per lui nelle conclusioni dell’accusa ci saranno fatti nuovi. L’avvocatessa Nicole Schneiders, che difende il coimputato Ralf Wohlleben accusato di avere fornito l’arma di 9 delitti, rincara che il Procuratore Generale Herbert Diemer non può valutare come sia menomata la capacità di concentrazione di un imputato in carcere preventivo e che l’obiezione per non dare corso ad una registrazione che i contenuti approderebbero poi subito alla stampa la quale non li riporterebbe nella loro interezza, bensì solo scegliendo frasi singole estraniate dal contesto, è risibile. Questo infatti è tanto più vero quando un rappresentante della Procura concede un’intervista, o quando i giornalisti devono riassumere discorsi fatti a voce. Sia lei che la collega Anja Sturm che rappresenta Beate Zschäpe, accentuano i toni indicando che non è certo stata la difesa ad avere fatto approdare copie della corrispondenza degli imputati alla stampa.

 

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Manfred Götzl, che presiede la Corte, alla fine dichiara che il collegio dovrà consultarsi per decidere ed anziché farlo subito rimanda il processo a martedì 25 luglio. Finisce così la 374ma udienza.

 

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Le posizioni sono peraltro diverse tra gli stessi difensori. Dopo l’udienza l’avvocato Wolfgang Stahl chiarisce che non ha appoggiato i colleghi Heer e Sturm, che con lui difendono dall’inizio Beate Zschäpe, perché le argomentazioni della Corte gli sono parse corrette: la legge non prevede un obbligo alla registrazione anzi esclude espressamente video-riprese. Più aperto invece l’avvocato Johannes Pausch, difensore del pentito Carsten S., anche se per volere del suo assistito -che è il principale accusatore di Ralf Wohlleben- e del collega Jacob Hösl, neanche lui in aula ha sostenuto la mozione. Egli evidenzia che c’è stato almeno un precedente a Düsseldorf in cui il Tribunale, giustificandola per fini interni, ha fatto fare una registrazione. Le eccezioni sono ammesse ed in un procedimento così lungo a suo avviso sarebbe razionale se si facesse altrettanto. Però confida di non aspettarsi che succederà, perché costituirebbe un precedente ed il giudice Manfred Götzl, non intenderà spingersi così oltre, per restare sul terreno sicuro della prassi: non si è fatto finora e si continua così.

 

L’avvocato di parte civile Sebastian Scharmer per parte sua indica che la Procura ha ragione che non c’è obbligo ad alcuna registrazione, tanto più che non vi è mai proceduto per alcuna testimonianza dove pure a maggior ragione una singola parola avrebbe potuto fare la differenza, e non è giustificato per la ripetizione di fatti già emersi nel dibattimento. Ma si rammarica comunque che l’accusa non abbia dato copia della propria memoria dattiloscritta ai difensori facendo risparmiare del tempo. Oltre a tutto così si apre potenzialmente la possibilità che nel caso di un nuovo rifiuto i difensori alla prossima udienza avanzino una nuova istanza di ricusazione dei giudici e fermino ancora il processo. Non tralasciando che molte delle parti civili sono deluse dalla mancanza di volontà di fare piena chiarezza, che pure era stata promessa loro dalla stessa Cancelliera Angela Merkel, soggiunge che alla sfiducia nello Stato ha contribuito in larga parte anche la condotta processuale della Procura. Per questo la sua mandante, la sorella del ristoratore Mehmet Kubaşık ucciso a Dortmund il 4 aprile 2006, non ha non ha neppure cercato di essere a Monaco per ascoltarne le conclusioni adesso posposte.

 

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La pronuncia della sentenza sarà forse l’unica possibilità per i familiari delle vittime di sanare in qualche modo ferite e sfiducia nello Stato, confida la deputata Claudia Roth. Ma è un auspicio che probabilmente coglie solo in parte nel segno: non sapranno ancora come e perché i loro cari sono stati scelti dai loro assassini. L’unica che potrebbe forse dare una risposta è Beate Zschäpe, ma fin qui si è sempre chiamata fuori da qualsiasi responsabilità per gli omicidi e gli attentati attribuiti ai due compagni defunti, Uwe Mundlos ed Uwe Böhnhardt, con cui ha vissuto in clandestinità per 13 anni.

 

 

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[In copertina manifestanti fuori del tribunale di Monaco, foto dell’autore]

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