Giustizia
Non toccare la prescrizione, una scelta di civiltà
Molti pensano che il diritto penale abbia la finalità di punire e reprimere le persone che commettono un reato, ma per quanto possa apparirvi paradossale, in uno stato di diritto, il codice si ispira al principio opposto: limitare a ipotesi specifiche la pretesa punitiva dello stato e proteggere i cittadini dagli abusi di chi è chiamato ad applicare le leggi.
Pensate alle prime parole del nostro codice “nessuno può essere punito…”: il legislatore, prima di specificare quali fatti costituiscano reato e con quali pene debba essere sanzionato il responsabile, mette un limite allo stato e a chiunque pretenda di perseguire una persona. Il principio di legalità, così bene enunciato dal codice e garantito dalla nostra costituzione, nella sua accezione di limite al potere dello stato, è il primo presidio di libertà a tutela dei diritti del cittadino.
Anche la prescrizione, checché ne dicano i mozzorecchi nostrani, è un istituto giuridico proprio di ogni ordinamento civile che risponde alla medesima ratio, ovvero limitare il potere punitivo dello stato.
È accettabile che questo potere non abbia limiti di tempo? Sussiste un ragionevole interesse pubblico, compatibile con la nostra costituzione, a perseguire e punire una persona per fatti accaduti molti anni prima? Provate a riflettere su quell’inciso dell’art. 27: “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ha senso processare e comminare una condanna ad una persona che ha commesso un reato a vent’anni, ma successivamente ha cambiato la propria vita, lavora, ha costruito una famiglia, e si ritrova, magari a a quarant’anni, privato di tutto per scontare una pena per lo sbaglio di molti anni prima?
Un noto quotidiano, non troppo diffuso ma molto influente su di un’area politica, usa catalogare alla voce “giustizia e impunità” i propri articoli dedicati alla cronaca giudiziaria, contribuendo così ad avvelenare con questo termine odioso il dibattito pubblico sull’argomento. Ho usato l’aggettivo “odioso” non a caso, perché definisce un modo di guardare ai rapporti sociali che suscita in me un grande fastidio. Lo stato ha sì il diritto (e il dovere) di reprimere e punire determinate condotte, ma questo diritto non è assoluto, e non può essere esercitato senza limiti di tempo, finendo per sconfinare, in caso contrario, nel totale arbitrio a discapito dei diritti della persona e della stessa certezza dei rapporti giuridici.
Per quanto tempo, infatti, un uomo dovrebbe conservare scontrini, ricevute, agende in modo da poter replicare a un’eventuale accusa? Come potremmo essere sicuri dell’attendibilità di una testimonianza resa a distanza di molti anni dal fatto? Può definirsi davvero “giusto” un processo che si tiene a tanti anni di distanza dal reato?
Credete, quando vi raccontano che con la sostanziale abolizione della prescrizione “nessuno resterà impunito” non vi stanno descrivendo una società più “giusta” ma un società distopica dove l’individuo è in balia – teoricamente per sempre – del potere più forte e irresponsabile dello stato, quello della magistratura.
Non fatevi ingannare da chi sostiene di voler tutelare le vittime e non i criminali: chi ha subìto un reato ha diritto ad essere risarcito del danno, e ad avere una sentenza che gli riconosca questo diritto in tempi brevi. Tuttavia, in un moderno sistema penale, il potere di punire non appartiene alla persona offesa, ma allo stato; tale potere non è una vendetta pubblica che si sostituisce a quella privata e, come ho detto, è soggetto a precisi limiti, anche temporali.
Non date ascolto ai truffatori che ricorrono a miserevoli artifici retorici del tipo “andate a dire alle vittime della strage di…” che il reato può andare in prescrizione (affermazione, peraltro, falsa perché i reati più gravi hanno già adesso tempi di prescrizione lunghissimi). Dovrebbero essere loro, piuttosto, a spiegare a coloro che hanno subìto un danno perché il processo che li riguarda dura da troppo tempo, e avere l’onestà di dire loro con chiarezza che un processo “eterno” non tiene solo in sospeso per un tempo indefinito l’imputato, ma pure il diritto dei danneggiati dal reato di essere risarciti.
Spero con questi argomenti di avervi indotto a ragionare sulla prescrizione guardando ad essa come un istituto di civiltà, a tutela dell’interesse di ciascun cittadino; se non dovessi esserci riuscito, c’è un ultimo argomento che dovreste considerare. Il nostro paese ha sottoscritto fin dall’inizio la convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed è tenuto a garantire ai propri cittadini il rispetto dei principi del trattato, essendo tenuto in caso contrario a risarcire i danni. Già adesso, pur con la prescrizione che pone un tempo limite ai processi, l’Italia è uno dei paesi che ha subìto il maggior numero di condanne per la lentezza della propria giustizia: volete davvero che il numero di queste condanne continui ad aumentare? Volete frugarvi in tasca ogni volta per risarcire imputati, magari di gravi reati, perché il nostro paese non ha garantito loro un processo di ragionevole durata?
Ecco, se non vi interessa bloccare la cosiddetta “riforma Bonafede” perché condividete i principi di un moderno diritto penale liberale, fatelo almeno per il vostro portafoglio. Rifletteteci.
(immagine in copertina: il processo al cadavere di Papa Formoso, opera del pittore francese Jean-Paul Lorens).
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