Giustizia
Nell’aula bunker di Rebibbia,la causa in secondo grado di giudizio per De Santis
Mentre a Napoli un clima gioioso di festa ha preceduto l’ attesa per la disputa della partita Napoli Real Madrid, c’ è chi attende che Il 9 marzo giustizia venga fatta.
In quella data, infatti, davanti alla Corte d’Assise di Appello di Roma si terrà la prima udienza del processo d’appello sulla morte di Ciro Esposito. Credo non ci sia nessuno, tifoso o no, a cui il nome di questo ragazzo non riportati alla mente i tragici fatti accaduti nel giugno del 2014 quando il giovane napoletano, durante gli scontri precedenti alla sfida di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, fu vittima della follia criminale di De Santis all’esterno dello stadio Olimpico.
Un episodio straziante perché ha reciso una giovane vita e perché ha dimostrato ancora una volta che l’amore per il calcio può assumere forme e contorni diversi traducendosi nel suo esatto contrario, l’odio spinto a conseguenze estreme, la morte.
Un messaggio a cui Antonella Leardi, mamma di Ciro, oppone uno più forte: quello secondo cui lo sport è fratellanza, rispetto, non violenza. La mamma di Ciro, così come tutti la chiamano, non ha solo mostrato compostezza ed eleganza nel gestire il dolore nei giorni successivi al tragico evento, ma ha trasformato quello che poteva restare solo uno slogan in pratica quotidiana, sublimando quel dolore in impegno civico e profonda dedizione. Antonella con l’associazione Ciro vive, si fa portavoce nelle scuole e nelle piazze del valore costruttivo dello sport, diffonde l’idea di un calcio che unisce valicando barriere, è testimone dei valori positivi della cooperazione da far prevalere su comportamenti da bulli. Di bullismo, ancora, parla nelle scuole. La mamma coraggio che ha educato i suoi figli secondo i principi del rispetto e della tolleranza, che non sono sempre pane quotidiano in quartieri difficili come Scampia, è presente nelle piazze di spaccio, nei luoghi dove c’è alto tasso di delinquenza, dove delinquere è la scelta più facile.
La madre di Ciro ha operato una scelta, quella del coraggio, del rispetto, della pratica etica della bellezza, della ricerca della giustizia.
Primo Levi scrisse, “abbiamo una responsabilità, finché viviamo: dobbiamo rispondere di quanto scriviamo, parola per parola, e far sì che ogni parola vada a segno”.
Antonella Leardi scrive una lettera in cui condivide non solo il suo dolore di madre, ma rivendica il suo profondo desiderio di verità e di giustizia. Il suo è un accorato appello a non dimenticare poiché dimenticare è la primo passo verso la resa. La memoria, invece, è indissolubilmente legata all’ amore poiché ricordare è un verbo che non attiene alla sfera propriamente cognitiva come dimostrato dal fatto che essa contiene il “cord” latino, cuore appunto.
Una lettera,quella di Antonella, che scava in un dolore e che da quel dolore trae la forza per non arrendersi, la volontà di vivere per non lasciarsi piegare, per diventare strumento di legalità e di profonda dignità.
De Santis si è opposto alla sentenza di primo grado che lo vedeva condannato a 26 anni con attenuanti generiche. Quello di Antonella Leardi è un appello affinché il sacrificio di Ciro non rimanga vano, affinché si possa far luce su un deliberato atto di violenza gratuita.
Se la compostezza e l’amore hanno tracciato il cammino intrapreso da Antonella in una dimensione privata, è necessario che sul piano giuridico lo Stato si faccia garante di quei principi etici che sono la manifestazione più alta dell’idea stessa di umanità.
Tra poche ore Antonella Leardi sarà in un’ aula di tribunale a combattere una partita dura nella speranza che si metta a segno un risultato in difesa della vita e della verità, in difesa del diritto di ciascuno di essere libero di professare un’ opinione, un credo, una fede calcistica senza temere per l’incolumità della propria vita.
Perché fare giustizia non significa solo difendere la legalità, ma ciò che la sostiene e la rende funzionante: la salvaguardia del diritto e dello stato di diritto. É solo nel riconoscimento di diritti inalienabili e fondanti del vivere civile che Ciro potrà continuare a vivere.
Qui di seguito la lettera di Antonella Leardi
ll Napoli in queste settimane, in particolar modo in questi giorni, sta vivendo un momento magico e in città si respira un clima di festa, in virtù soprattutto del big match con il Real Madrid, dove tutto può succedere. Questo è il bello del calcio: ci regala qualche speranza, se pur passeggera, e qualche momento di spensieratezza contro la faticosa routine di tutti i giorni.
Non ho intenzione di svilire questa bella atmosfera, ma prima di essere tifosa, sono donna e madre. La madre di Ciro Esposito che ha drammaticamente ed ingiustamente perso la vita per mano criminale prima di una partita di calcio. In questi anni ho cercato di non “gridare” vendetta, mai. Ho pensato che a tanto odio, la migliore risposta fosse l’amore, la compostezza, la dignità. Mentre dentro di me piangevo mio figlio, mi sono dovuta preoccupare di quei tifosi che in nome di Ciro avrebbero potuto scatenare qualche reazione violenta, svuotando così di significato la memoria di mio figlio. Con grande sollievo, insieme alla mia famiglia, possiamo con orgoglio affermare: “missione compiuta!”.
Ma non finisce qui. Mentre il Napoli in questa settimana si gioca la parte più importante della stagione, io dovrò varcare nuovamente la soglia del tribunale. Calerà per l’ennesima volta un grande velo di tristezza nella nostra famiglia, perché si riaprirà una ferita. Una ferita che fatica a sanarsi. Abbiamo dato molto ai tifosi, alle istituzioni e alla società. Portando, dovunque ci chiamino, un messaggio di non-violenza e di pace. Lo faccio perché ci credo, come mamma, come italiana, come napoletana, come cristiana. Auspico però che in questo clima euforico, non venga meno l’attenzione verso il difficile percorso processuale che stiamo percorrendo.
In fondo solo questo ho chiesto e sempre chiederò dal profondo del cuore: giustizia! Sia fatta luce su un deliberato atto di violenza che ha stroncato la vita di un giovane tifoso. E se posso aggiungere, rivolgo a tutti un invito particolare: “non dimenticate!”. L’oblio della memoria di Ciro, significherebbe ammazzarlo due volte. Non ci sto. Non è giusto.
Ogni giorno, quando spero che è stato tutto un brutto sogno ma poi realizzo che Ciro nella sua cameretta non c’è più, chiedo forza a Dio per guardare avanti. E nel mio futuro non vedo odio e vendetta. Ma speranza e amore. La speranza in Dio e l’amore per la memoria di un figlio che seppur non c’è più, vive nei ricordi e nei cuori di chi lo ha amato.
Mi sono spesso chiesta: perché tutto questo? Non ho una risposta. Ma reca però grande sollievo a me ed alla mia famiglia, sapere che il sacrificio di Ciro non sia stato vano, che lo sport ed il calcio siano in futuro solo occasioni di festa, gioco e divertimento, in cui la violenza, in tutte le sue forme, venga bandita. Questo lo dobbiamo a Ciro, alla sua memoria.
Mi auguro che i tifosi non dimentichino. Ho fiducia in loro e nella giustizia. Mentre gioiamo per le gesta dei campioni della nostra squadra, non dimentichiamoci che in aula di tribunale c’è chi combatte una partita ben più dura, in difesa della vita e in onore della verità. E questa non è solo la mia battaglia, ma di tutti i tifosi onesti.
Antonella Leardi
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