Giustizia

Morire per sciatteria

2 Novembre 2014

Commentare quanto accaduto nella vicenda Cucchi sino ad ora è un’operazione estremamente complessa. C’è lo strazio dei corpi, del corpo di Stefano fotografato e mostrato, come scrive Flavio Pasotti, che rende retorica ogni esternazione che superi il cordoglio o l’umana compassione. C’è la domanda di giustizia, che facilmente scivola dal legalismo al giustizialismo forcaiolo, perché quelle immagini, questa storia, gridano vendetta, e quando le emozioni parlano, lo stato di diritto si affievolisce. C’è l’assenza di responsabilità riconosciute e di una verità processuale, ancorché storica, che, non potendo agire in forma di compensazione, possa restituire la pace ai morti e la possibilità di andare oltre ai vivi. Tutto questo impone di muoversi in punta di piedi, nonostante sia lo stomaco, prima della testa, ad essere chiamato in causa. E i toni sono accesi, e la rabbia tra le righe aumenta, perché sono storie di pancia tutte quelle che riguardano le colpe di Stato.

Quali siano queste colpe, come commisurarle, come verificarle in sede processuale e politica sono le grandi questioni, ma è indubbia (come hanno ben argomentato Jacopo Tondelli, Tommaso Leso e Mattia Granata) la responsabilità dello Stato italiano rispetto alla morte di un giovane che era arrivato vivo in prigione dopo un arresto ed è stato riconsegnato morto alla famiglia dopo una degenza ospedaliera sotto custodia, con chiari e conclamati segni di violenza subita.
Harper Lee dice che avere coraggio significa essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare comunque, e arrivare fino in fondo, qualsiasi cosa succeda. Ieri è stata una giornata di coraggio, quello di Ilaria Cucchi e dei suoi familiari, e di ingiustizia. L’ingiustizia, tuttavia, non sta nella sentenza che assolve. Non credo e non voglio discutere la struttura probatoria che ha portato i giudici della Corte d’Appello di Roma a prendere la decisione presa nel processo Cucchi. Sono garantista, sostenitrice dei tre gradi di giudizio e della presunzione d’innocenza. Penso però che ci sia una necessità, un dovere, un bisogno di risposte rispetto al coraggio delle famiglie, e non solo. L’ingiustizia sta in quest’assenza, nell’insufficienza di mezzi e nella mancanza di assunzione di responsabilità. “Io nella giustizia ho continuato a credere e probabilmente ci crederò. E’ una giustizia che non è e non sarà mai davvero giusta né uguale per tutti” ha detto Ilaria Cucchi poco dopo la sentenza.

L’ingiustizia alberga nella discrezionalità dei processi, affidata alla capacità dei mezzi personali, sbilanciata sulle famiglie e sulla loro capacità di sostenere un percorso lungo e doloroso (dubitare dell’atto, scegliere un avvocato adeguato, raccogliere correttamente le prove, affidarsi ai periti in grado di ricostruire, con correttezza, il nesso causale). L’ingiustizia staziona nelle morti che avvengono sotto la vigilanza dello Stato, nelle stanze del diritto, sotto gli occhi dei piantonamenti, in cui nessuno non vede, non sente, non ha colpa, in cui le testimonianze si insabbiano tra le righe dei verbali, in cui la ricostruzione è melmosa, ma la violenza no, quella è chiara, anche se non porta nomi e cognomi dei responsabili, ed è di Stato, e ci offende tutti, cittadini e cittadine. La sentenza di primo grado si era conclusa con una condanna colposa per sciatteria. Sciatteria deriva da sciatto, che si riconduce ad ex-aptus: inadatto, scollegato, inidoneo. Sono inadatte le forze dell’ordine che non vigilano. Sono inadatti i medici che non curano. Forse non assassini, forse non colpevoli nella individualità. I singoli processati, che in primo grado avevano risposto con un dito medio, sono inadatti comunque, anche se assolti. E’ inadatta la risposta del portavoce del SAP, che scarica la responsabilità sulla famiglia e sulle condotte di Stefano da vivo, non sulle botte. Non c’è rispetto per i morti e non c’è rispetto per i vivi. E c’è una politica inadatta, affetta da sciatteria.

Un ministero dell’Interno che non si assume la responsabilità politica per gli eventi, perché nessuno discute delle lesioni, delle ecchimosi, della disidratazione, è inadatto. Nessuno dubita del perché sia morto Stefano Cucchi. Mancano i nomi, ma forse i nomi non servono, mentre le responsabilità sì. La responsabilità di rispondere di fronte a questa lacuna, di avviare indagini interne. La responsabilità di non avere introdotto il reato di tortura nell’ordinamento, nonostante i moltissimi disegni di legge in attesa del vaglio parlamentare. La responsabilità di non avviare un processo di riforma del codice penale. La responsabilità di non introdurre percorsi di formazione sull’etica della divisa, e sulla cultura della non violenza nelle forze dell’ordine. La responsabilità di non richiedere il numero identificativo sulle divise e sui caschi. La responsabilità di liquidare le percosse come scivoloni, eventi naturali, colluttazioni, e di lasciare ai parenti l’onere ed il coraggio di cercare un’altra verità. La responsabilità di non capire come la sanità delle istituzioni dipenda da queste verità, e di come sia lo Stato, prima di tutto, a doverla cercare, a doversi scagionare dall’accusa di essere colpevole. Il coraggio delle famiglie non può e non deve bastare.

Perché l’impunità disidrata lo Stato di diritto, così come le istituzioni che permettono una “cultura della violenza tanto più grave ed inescusabile, in quanto da parte di appartenenti alla Polizia di Stato, organo preposto in prima battuta alla tutela dei cittadini; vicenda che pertanto esige, almeno ora, una battuta di arresto per una matura e consapevole riflessione, onde evitare il rafforzamento di siffatta nefasta cultura e la ricaduta, alla prima occasione, in analoghe vicende delittuose, sia pure eventualmente anche solo di copertura di analoghi fatti criminosi commessi da altri, purtroppo, sebbene pur sempre isolati, neanche tanto rari” (come diceva la celebre ordinanza del tribunale di Bologna rispetto al caso Aldrovandi). Perché in questi casi, ogni volta che trascura il bisogno di giustizia dei suoi cittadini, ogni volta che le istituzioni si mostrano inadeguate è la democrazia a morire per sciatteria.

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