Giustizia

«Maltrattavano gli autistici». Quattro anni di gogna, poi l’assoluzione

20 Giugno 2018

Le assoluzioni, si sa, non fanno notizia. Qualsiasi cronista (mea culpa) sa benissimo che il mostro in prima pagina funziona sempre (mea culpa), tanto ai tempi del film di Marco Bellocchio sul tema, quanto oggi con i social network a fare da cassa di risonanza (mea maxima culpa). «La cronaca nera è la pancia del giornale», dicono i caporedattori di ogni latitudine editoriale, e hanno ragione da vendere: i fatti in qualche modo inquadrabili come neri (o anche giudiziari) raccontano la società meglio di una tonnellata di editoriali sociologici, e non è un caso che i regimi totalitari hanno sempre cercato di censurare la cronaca.

Le manette. Il 14 luglio del 2014, a Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno, la notizia esplode in mattinata: cinque educatori di un centro diurno per autistici chiamato «Casa di Alice» sono stati arrestati.

Le indagini sono durate mesi, dopo essere nate quasi per caso in seguito ad alcune segnalazioni mai del tutto chiarite nemmeno in fase processuale. I carabinieri di San Benedetto avevano piazzato delle cimici per intercettare i rumori e delle telecamere per riprendere quello che succedeva all’interno della Casa di Alice.

Le accuse, dicono i carabinieri in conferenza stampa, sono pesantissime: percosse, maltrattamenti, addirittura sequestro di persona ai danni di giovani tra gli 8 e i 20 anni. I militari distribuiscono ai cronisti accorsi in caserma anche un cd: dentro ci sono dei file video che definire inquietanti è dir poco, e che ancora sono facilmente reperibili sul web: strattoni, contenimenti fisici anche molto duri, immagini di ragazzi rinchiusi in una stanza senza vestiti. L’indignazione su Facebook dilaga con violenza: «mostri», «la casa degli orrori», «un lager», «torturatori» e via andare, con richieste di punizioni severissime.

L’avvocato di alcuni degli educatori arrestati fa presente che i famigerati video sono stati distribuiti prima alla stampa e poi agli indagati e ai loro difensori. Un fatto che alla gran parte dei lettori non gliene può fregare di meno, ma che segna l’ennesimo cortocircuito nei rapporti tra media e uffici giudiziari: le inchieste vengono fatte nel nome dello Stato di diritto oppure per affermarsi davanti al pubblico? Cose che accadono quando il principio della presunzione d’innocenza diventa un inutile orpello costituzionale e, anzi, viene considerato dai più come un modo per giustificare l’ingiustificabile e offrire sponde ai malfattori.

[E, sia detto per inciso, quando la sbornia giustizialista e manettara di cui è preda questo paese da un po’, un bel giorno, sarà passata vedremo chi saranno quelli che ci hanno rimesso di più, se le vittime oppure i colpevoli]

Il caos. Al netto della vocazione sanguinaria di larga parte del lettorato dei giornali, gli arresti della Casa di Alice aprono la porta a interrogativi pesanti. A chi sono affidati i ragazzi con disturbi mentali? Gli educatori sono persone preparate? Il sistema – che prevede il costante apporto di cooperative e affini agli uffici comunali – è solido? Funziona?

Preceduto da squilli di tromba, a pochi giorni dalle manette, arriva in città l’allora sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone (Pd), che si fa immortalare dai fotografi mentre guarda dallo spioncino la cosiddetta «camera azzurra». Si tratta di un luogo chiuso e senza finestre, con le pareti appunto pitturate di azzurro. Gli esperti la chiamano «stanza di contenimento», «stanza della crisi» o «stanza del time out» e torna utile, in sostanza, quando gli utenti sono incontenibili e devono essere isolati dal resto del gruppo. Diversi esperti di autismo, intervistati dai giornali, dicono che fa parte della procedura, ma nessuno sembra fidarsi. Faraone compila una relazione dai toni apocalittici in cui parla anche lui di «ennesimo luogo dell’orrore», di «scorciatoia per operatori che non sanno fare il proprio mestiere», addirittura di «simbolo della superficialità di una società e di istituzioni che non hanno mai il tempo di occuparsi delle cose che contano veramente».

L’ex sottosegretario Davide Faraone che guarda dallo spioncino (Foto dal Corriere Adriatico del 19 luglio 2014)

Durante gli interrogatori di garanzia, l’avvocato Voltattorni presenta un documento definitivo sulla stanza azzurra: è l’autorizzazione che la Regione Marche accordò alla Casa di Alice per operare. E, guarda un po’, nel progetto viene disegnata e descritta la «camera azzurra». Sapete di che colore era la giunta che diede il via libera? Era di centrosinistra, cioè della stessa fazione che più di tutti ha deciso di accanirsi sugli operatori del centro per autistici di Grottammare. Significa che la Regione è popolata da mostri che sono d’accorso sulla reclusione di ragazzi problematici? No, significa che la «camera azzurra» della Casa di Alice è un qualcosa di previsto dalle procedure, conforme ai dettami delle scienze pedagogiche ed educative.

Le immagini mentono, mentono sempre. Rappresentano una porzione di realtà, non la totalità delle cose. Sono frammenti di una situazione che è sempre più complessa. «Sai cosa può voler dire contenere un ragazzo di centoventi chili che ti si scaglia addosso con violenza?», domanda al cronista un educatore molto esperto nel trattamento delle persone autistiche. «Sai che molti operatori la sera tornano a casa con graffi e lividi?», racconta ancora. «Non è una colpa, non può esserlo, e non è una questione di perdere la pazienza, chi fa questo lavoro ne ha sempre moltissima. È che può succedere di essere picchiati, e non si reagisce. Ma quando a rischio c’è l’incolumità di altri ragazzi, allora intervenire è necessario», conclude.

E allora cominciano a venir fuori le spiegazioni: quello che si vede nei video è tremendo, ma perché ad essere tremendo, spesso e volentieri, è l’universo del disagio mentale. Una realtà che non si vede spesso, alla quale nessuno è davvero abituato e che fa impressione. Senza alcuna violenza, può accadere che ci sia bisogno di un contenimento fisico.

Il processo. Per competenza territoriale, a dover giudicare la vicenda della Casa di Alice è chiamato il tribunale di Fermo. Il processo durerà quattro anni: in aula verranno mostrati i video, ascoltati testimoni – da altri operatori non indagati fino a dipendenti del Comune di Grottammare, passando per i familiari dei ragazzi ed esperti -, il pm Domenico Seccia e gli avvocati si scontrano anche molto duramente e sullo sfondo ci sono sette famiglie che si sono costituite parti civili. Intorno, periodicamente, si agitano i fantasmi delle trasmissioni televisive del pomeriggio, che battono e ribattono sulla tesi della «casa degli orrori», innalzando la versione dell’accusa a verità assoluta e senza (quasi) mai far cenno ai rilievi della difesa.

Alla fine, lo scorso maggio, la procura di Fermo arriva a formalizzare le proprie richieste di condanna: sei anni per il coordinatore della struttura, quattro anni e mezzo per le altre operatrici. La difesa, dal canto suo, chiede l’assoluzione di tutti gli imputati.

Così arriviamo agli sviluppi recentissimi: martedì 19 giugno, dopo tre ore di camera di consiglio, il tribunale di Fermo assolve tutti gli educatori. «Il fatto non costituisce reato», dice il giudice Vitali Rosati. Non c’è dolo, certi comportamenti erano necessari per contenere i ragazzi nei momenti più complicati. La linea della difesa ha vinto il processo in tutto e per tutto, e con lei anche il parere della stragrande maggioranza degli esperti di autismo, che vedevano nel processo alla Casa di Alice un crocevia fondamentale per il proprio lavoro.

Epilogo. A conti fatti, sul banco degli imputati non c’erano soltanto cinque persone la cui vita è stata massacrata per quattro anni, presa, esposta al pubblico disprezzo ed etichettata con una delle accuse più infamanti: il maltrattamento di ragazzi autistici. Sul banco degli imputati c’era l’intero sistema di trattamento dell’autismo nei centri diurni. In questo senso è andata bene, ma nessuno restituirà ai cinque educatori assolti il tempo perso, la salute sprecata, il sospetto che resta appiccicato addosso. Non basta un’assoluzione per fare giustizia, non può bastare in nessun caso. Finché ci sarà un pubblico assetato di sangue e un sistema mediatico sempre pronto a offrire da bere, storie come quella della Casa di Alice potranno anche andare a finire bene, ma solo da un punto di vista strettamente giudiziario. Troppo poco, troppo tardi.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.