Giustizia

L’odissea kafkiana di un servitore dello Stato che mantiene la schiena dritta

8 Dicembre 2022
Intervista all’ ex ambasciatore italiano in Kosovo, Michael Giffoni, che ad oltre un anno dalla sentenza di assoluzione piena passata in giudicato, non è mai stato reintegrato nell’esercizio delle sue funzioni. La storia di un amarissimo stillicidio esistenziale che grida giustizia  per lo spessore umano di un uomo che, nonostante si senta destituito dalla sua anima, continua a mantenere la schiena dritta, in attesa di vedere apposto il sigillo fine ad una vicenda che ha tutti i contorni dell’assurdo

 

 

“La giusta comprensione di una cosa e la incomprensione della stessa cosa non si escludono”, scriveva Franz Kafka nel “Processo”.

E,per quanto una vicenda giudiziaria, giunta al suo epilogo, dopo oltre otto anni dolorosissimi, abbia emesso una sentenza di assoluzione con formula piena, passata in giudicato, sollevando da ogni capo di imputazione il protagonista, vi è una parte considerevole di società che gestisce un apparato delicatissimo del nostro Stato, come il canale diplomatico coordinato dalla Farnesina, che si ostina a non voler prendere atto di una pronuncia giurisdizionale definitiva, non adducendo, motivazioni comprensibili, ma slegate da qualsiasi logica riconducibile ad uno Stato di diritto.

Michael Louis Giffoni, nel 2014, mentre ricopriva l’incarico di ambasciatore italiano in Kosovo, venne destituito cautelativamente, a seguito di un inchiesta su un presunto traffico illecito di permessi di soggiorno di immigrati kosovari giunti in Italia, nessuno dei quali, poi, vi rimase per davvero e, a seguito di tali indagini, venne rinviato a giudizio, affrontando un processo penale che ha conosciuto il suo epilogo solo il 27 settembre del 2021, con il passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione con formula piena (ai sensi del 1° comma dell’art. 530 c.p.p. che rende il provvedimento anche definitivo ed irrevocabile), rispettivamente ai capi di imputazione di cui agli artt. 52 e 653, 1°comma c.p.p., stabilendo che il fatto non costituisse reato e non fosse stato commesso. Sebbene, quindi, il giudicato penale, faccia testo in ogni sede, la pubblica amministrazione, per la quale Giffoni, ha prestano onorato servizio per molti anni, precisamente alle dipendenze del Ministero degli Esteri, non ha mai accolto l’esito del provvedimento giurisdizionale di specie, rigettando di revisionare il procedimento disciplinare che lo riguarda, e non considerando in alcun modo l’ipotesi di reintegrarlo nelle sue funzioni, ignorando anche le pronunce del TAR  del Lazio che si sono succedute in questi anni, che davano ragione a Michael Giffoni nelle sue richieste di tornare a lavorare. Un travaglio così doloroso che ha generato, inevitabilmente, danni irreparabili in termini di salute e serenità nell’intera sfera esistenziale dell’ex ambasciatore, producendo un vero e proprio terremoto individuale ed affettivo, i cui strascichi continuano, purtroppo, a perpetrarsi tutt’oggi quando, a seguito dell’ennesimo diniego della Farnesina, il diplomatico, ha dovuto ripresentare un nuovo ricorso amministrativo al TAR, che non potrà esprimersi prima della fine del 2023.

Ma a quale prezzo si può continuare, nonostante tutto, a credere in uno Stato di diritto, sfigurato nelle sue libertà fondamentali? Lo abbiamo chiesto direttamente al protagonista della storia, il dottor Michael Giffoni.

 

 

 

 

Dottor Giffoni, innanzitutto, una divagazione celere sugli scenari internazionali odierni, alla luce della sempre più preoccupante guerra in Ucraina e di una protesta pacifica ma inarrestabile delle giovani donne e uomini iraniani. Cosa ci dice a riguardo, dall’alto della sua esperienza di diplomatico?

 

 

“Quello che è accaduto lo scorso 24 febbraio, con la scellerata ed ingiustificata invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina, ha cambiato per sempre le sorti degli scenari geopolitici internazionali, evidenziando di fatto come vi sia stato un attentato efferato al concetto di libertà di uno stato sovrano, ad opera di un altro che ha creduto di poter soggiogare e ridurre in schiavitù un popolo, che non chiede altro se non di poter vivere nella propria Terra, in pace. L’offensiva sanguinosa condotta da Putin, però, pur lasciando sgomento il resto del mondo, non ha sortito gli effetti vittoriosi pianificati, ma al contrario, pur in un susseguirsi di lutto e dolore, sta consegnando ai posteri un attestato di resistenza eroica della gente ucraina, che combatte strenuamente per non arrendersi ed abdicare alla propria vita democratica. Allo stesso modo, le proteste sacrosante e pacifiche che si stanno verificando in Iran, che vedono come protagonisti le giovani donne e uomini, quindi le generazioni che meglio sono in grado di voler e poter cambiare le cose, sono un messaggio vivido di come, la democrazia e la libertà non siano state ancora seppellite del tutto, benché il regime dittatoriale di Teheran sta compiendo di continuo una repressione feroce e agghiacciante per impedire alla gente di manifestare, chiedendo il rispetto di diritti inalienabili. Certo è che i Governi dei vari Paesi occidentali, come pure quello italiano, hanno il dovere di condannare con fermezza assoluta quanto sta avvenendo in quel territorio martoriato, evitando di lanciare messaggi equivoci che rischierebbero di ingenerare dubbi e perplessità sulle varie posizioni politiche assunte”.

 

 

A che punto siamo, invece, della sua odissea kafkiana?

 

“Mi viene da dire che siamo nel punto più alto ed incredibile del paradosso. Nel senso che, sebbene sia trascorso oltre un anno dalla sentenza definitiva che decretava la mia totale estraneità ai fatti di cui ero stato accusato e processato ( nell’aula bunker del Tribunale penale di Roma), affrontando un calvario giudiziario e personale durato oltre 8 anni, ad oggi, non vi è stata alcuna apertura della Farnesina nei miei riguardi. Tanto più che ho ricevuto l’ennesimo rigetto alla mia istanza, datata marzo 2022, in cui chiedevo, semplicemente, la revisione del procedimento disciplinare imbastito a mio carico, per essere reintegrato nelle mie funzioni, come mi sembra comprensibile. Quindi, io oggi  non mi sento ancora nel punto di svolta della mia vicenda, perché mi sono ritrovato costretto a presentare un ulteriore ricorso al TAR (che mi aveva già dato ragione per ben due volte, in questi anni), sperando che sia la giustizia amministrativa ad attestare in modo incontrovertibile, quello che la giustizia penale ha già dichiarato come definitivo. Ma, come si sa, gli iter processuali non eccellono per tempestività, e mi viene richiesto di attendere altro tempo. Proprio quello che comincio a sentire accorciarsi sempre di più, cercando di tenere a bada angoscia e scoramento inevitabili”.

 

 

 

 

Quali sono le ripercussioni che tutta questa vicenda ha prodotto nella sua vita ?

 

“Come ho avuto modo di dire più volte a coloro che mi sono stati vicini in modo sincero in tutti questi anni, la mia vita è stata letteralmente stravolta. Tutto il dolore e l’amarezza che ho sperimentato e che continuano ad accompagnarmi anche oggi, hanno alterato le certezze minime ed indispensabili nella vita di un uomo. Una situazione da cui sono rimasti provati fortemente anche i miei affetti più cari. La mia famiglia e mio figlio, ancora in tenera età, in primis. I livelli di stress insostenibili a cui sono stato esposto di continuo, hanno fatto insorgere molti acciacchi di salute, alcuni dei quali anche molto gravi. Oltre ai contraccolpi di natura economica. Ho dovuto lottare per ricostruire giornalmente il rapporto con me stesso. E, quando il 27 settembre del 2021, alla lettura della sentenza di assoluzione, sono scoppiato in un pianto dirotto e liberatorio, ho creduto e sperato che la tragedia personale di cui mi sento vittima, fosse giunta, finalmente, al capolinea. Però, quel barlume di serenità che mi ha attraversato per poco tempo, è stato spazzato via dall’impenetrabilità della chiusura dietro cui si è trincerata la Farnesina”.

 

 

Quali sono gli attestati di vicinanza che ha ricevuto dal mondo della diplomazia?

 

“Direi che lavorare nel canale della diplomazia, comporti lo scontro con una sorta di filtro che impedisce o non vede di buon occhio, l’impiego di una visione degli accadimenti, partecipata emotivamente. Una aurea di razionalità algebrica da conferire anche alle parole che si spendono per un collega che si trovi nella mia situazione. Mi sono sempre chiesto come si possa rimanere distanti con i sentimenti, dinanzi, per esempio, al Genocidio di Srebrenica, o ai tanti orrori che, chi ha ricoperto i miei stessi incarichi, ha vissuto quasi al fronte. Ma, coloro che mi hanno conosciuto per davvero, ovvero persone che con me hanno condiviso oltre un ventennio di carriera, e con le quali si è instaurato un rapporto di amicizia profonda, mi sono state accanto fin dal primissimo istante e continuano ad esserlo anche oggi. Così come io ci sono per loro. Di contro, come accade ovunque, vi è stata buona parte della diplomazia che ha assunto una posizione di ignavia, per evitare coinvolgimenti mediatici, forse”.

 

E da parte dei vertici del Ministero degli Esteri, da poco rinnovato, vi sono stati contatti?

 

 

“No, non sono stato contattato, almeno ad oggi, da nessun apparato del Ministero degli Esteri. Come a dire che non vi è stata alcuna intenzione conciliativa o di apertura a seguito delle mie rimostranze ragionevoli, che hanno escluso, pur potendo vantarne, qualsiasi richiesta risarcitoria per il danno di immagine patito ingiustamente, quanto aspirerebbero all’esclusiva revisione della  mia posizione lavorativa e all’annullamento della sanzione disciplinare irrogatami, in modo sproporzionato rispetto all’addebito contestatomi. Mi permetta di rivolgere un ringraziamento sentito e doveroso al Partito Radicale (e a Radio Radicale) che ha seguito in modo puntuale tutta la mia odissea, consentendomi di poter esprimere le mie considerazioni ed invitandomi a partecipare alla Marcia dei Diritti il prossimo 10 di dicembre a Roma, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani, per sostenere le migliaia di persone che vengono calpestate nelle loro libertà fondamentali, quotidianamente.

Così, come pure ringrazio il S.N.D.M.A.E.( Sindacato Nazionale Dipendenti Ministero Affari Esteri) per aver deciso di divulgare la mia verità  al fine di non far spegnere i riflettori sulla mia vicenda, manifestandomi vicinanza piena”.

 

 

Michael Giffoni, in questo momento, cosa prova nei riguardi di uno Stato che sente di aver servito ed onorato al massimo delle sue possibilità?

 

“Provo una grande delusione per ciò che attiene al rispetto delle garanzie contemplate da uno Stato di diritto. Non sono mai stato animato da livore nei confronti di articolazioni amministrative da cui dipendevo e che hanno eretto un muro invalicabile, da cui dovrei tenermi lontano, stando al rifiuto palesatomi pervicacemente. Sento e penso di aver servito il mio Paese, con tutta la dedizione e l’onestà che mi appartengono e di non aver rinnegato mai nulla di quanto compiuto, perché mosso sempre da buona fede e spirito collaborativo. Sebbene mi siano stati inferti colpi durissimi alla dignità ed alla  sopravvivenza di uomo, chiedo solo di tornare nell’esercizio delle mie funzioni, ossia di essere riabilitato professionalmente, essendolo già stato civilmente. Tuttavia, non ho mai piegato la schiena, continuo a mantenerla dritta così come è rivolto in alto il mio sguardo, ma attendo di sentirmi nuovamente in possesso della mia vita e della mia anima”.

 

 

 

 

 

 

 

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