Giustizia

Non ricordiamoci dei Nello Trocchia solo quando sono minacciati

9 Agosto 2015

Ci sono storie che vengono raccontate, generando un’iniziale mobilitazione. Lo sdegno favorisce una piccola insurrezione che smuove le coscienze. Poi tutto finisce nell’oblio e si disperde nelle pieghe della normalità. La storia di Nello Trocchia rischia di rientrare in questa casistica. Il cronista, collaboratore de L’Espresso, de Il Fatto quotidiano e de La Gabbia su La7, è salito – suo malgrado – alla ribalta della cronaca per una minaccia intercettata durante una conversazione telefonica: “A quel giornalista gli devo spaccare il cranio e dopo mi faccio arrestare”, dice il fratello di un uomo accusato di essere un camorrista. “Quel giornalista” è lui, Nello Trocchia.

Le affermazioni sono passate inosservate in un primo momento. Per fortuna, in seguito, grazie al risalto mediatico si è creato un movimento d’opinione sui social che ha manifestato solidarietà a Nello Trocchia. Tuttavia, la solidarietà, per quanto gradita, rischia di essere fine a se stessa. Il dato reale è uno: le autorità non si sono espresse sul caso, lasciando di fatto il cronista senza un’adeguata protezione. Il pericolo è che, appena cessato il rumore sul caso, venga lasciato solo.

Eppure la “colpa” di Nello Trocchia, agli occhi della criminalità, è quella di fare il proprio lavoro con rigore. Limitandosi a raccontare i fatti, carte alla mano, senza retorica, né enfasi. Ecco credo che chi chiede un’informazione libera, debba mobilitarsi in ogni modo per garantire l’incolumità del giornalista. È inutile nascondersi: in alcune occasioni serve un impegno reale, un sostegno concreto prima di chiedere, genericamente, dei reporter liberi da condizionamenti. In un Paese quasi sempre allergico alle critiche, alle inchieste scomode o anche solo alle opinioni che non osannano il potente di turno, i cronisti dalla schiena dritta non chiedono nulla. Ma per loro sarebbe solo prezioso che i lettori facessero sentire la propria voce per tutelarli. E, aggiungo, non solo nei momenti in cui esplode il caso della minaccia.

Il primo passo, minimo, da fare è sottoscrizione della petizione, lanciata su Change.org, per chiedere alla Prefettura di intervenire per “garantire l’incolumità del giornalista minacciato Nello Trocchia”. Certo, si tratta di un passo simbolico, giusto per iniziare. Ma sarebbe già un qualcosa di significativo.

Poi avrei la tentazione di elencare i meriti professionali di Nello Trocchia, che con il tempo ha firmato inchieste e libri sempre più fastidiosi per il malaffare. Ma preferisco rilanciare la questione con le cifre di una recente relazione, sul rapporto tra giornalismo e mafia. Lo studio ha preso in esame il periodo che va dal 2006 all’ottobre 2014. Ecco un passaggio significativo:

Sono 2.060 i giornalisti minacciati dalle mafie, con un costante incremento che ha registrato il suo picco nei primi dieci mesi dell’anno scorso, 421 atti di violenza o di intimidazione, quasi tre ogni due giorni.

Altrettanto interessante risulta la riflessione sui freelance:

Professionisti che in altri Paesi sono figura centrale dell’informazione e che da noi lavorano senza alcuna tutela professionale, magari per 3 o 4 euro a pezzo, lontano dai riflettori e alla periferia dell’impero, vittime di intimidazioni di ogni tipo. Non aver ancora normato contrattualmente la loro figura è una lacuna grave, cui deve essere posto rimedio al più presto.

Questi numeri e queste osservazioni raccontano di ‘altri Nello Trocchia’. Cronisti che spesso affrontano da soli sfide durissime, per pochi soldi e osteggiati da potentati uniti a organizzazioni criminali. Sarebbe un buon promemoria quello di non ricordarci ‘dei Nello Trocchia’ solo quando sono minacciati.

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