Giustizia
L’assurdo paese che scrive la storia della pandemia col processo penale
Sono passati giusto tre anni, appena tre anni. Non proprio pochi giorni o pochi mesi. Come ogni anno da allora tra la fine di febbraio e i primi giorni di Marzo, cioè adesso, abbiamo visto e letto speciali, ricordi, sfogliato giornali che dedicavano pagine al ricordo di quel che è stato. Proprio in questi giorni, sicuramente per coincidenza, è arrivata la chiusura delle indagini da parte della Procura di Bergamo, cui farà seguito una richiesta di rinvio a giudizio. Alla sbarra, secondo i magistrati, dovrebbero finire l’allora premier Conte e l’allora ministro Speranza, il presidente lombardo Fontana e l’allora suo assessore Gallera. Con loro, sempre indagati per epidemia colposa, ci sarebbero medici e scienziati che in quelle settimane di incomprensione mondiale sarebbero stati colpevoli di non sapere tutto abbastanza in fretta. I componenti dell’allora famoso CTS, Brusaferro, Miotto e Locatelli, tra gli altri.
Tutti insieme, secondo la procura di Bergamo, sarebbero colposi – cioè involontari, ma negligenti – responsabili della mancata zona rossa immediata, e quindi di conseguenze nefaste sulla vita e la morte di migliaia di persone. Anzitutto, come ha notato con precisione un cronista giudiziario esperto e attento, Paolo Colonnello, su La Stampa, va sottolineato che siamo l’unico paese al mondo che usa lo strumento del Processo Penale per fare chiarezza su una pandemia e, per di più, su quella fase iniziale della pandemia che colpiva l’Italia e la Lombardia per prime, al mondo, al di fuori della Cina. Una fase in cui si sapeva poco, si sbagliava ovviamente molto, e gli unici dati minimamente consolidati si basavano sulla proverbiale trasparenza di Pechino.
Fa quindi un po’ impressione che, addirittura tre anni dopo, con i soliti tempi bradipici della giustizia penale italiana, si arrivi a tentare di aprire un processo che poi si svolgerebbe e durerebbe per altri lunghi anni, nella speranza di attribuire alla politica e alla scienza delle responsabilità che sicuramente hanno, ma che sembra impossibile assumano la forma delle responsabilità penali. Il tutto avviene in un contesto politico ostile a ogni ragionamento retrospettivo pacato e serio, con i giornali di destra che riescono a titolare “Conte e Speranza indagati” omettendo Fontana e Gallera, e in una società che non ha voglia di riflettere in maniera complessa su quel che è stato, nè di ricordare quanto è successo e cosa ha significato, e quanto sia importante il lavoro di medici e scienziati. Le domande che dovrebbero risuonare, dunque, dovrebbero riguardare il costante sottoorganico ospedaliero, le liste d’attesa infinite, il triste turismo sanitario cui sono obbligati migliaia di italiani ogni mese. O l’aggiornamento di un piano pandemico che era fermo al 2006 allo scoppio della pandemia, e non si ha notizia di come si sia evoluto, in considerazione di quanto appreso e dei rischi futuri.
Qualcuno dirà, lo sta già dicendo, che è anche per questo che la magistratura e la giustizia penale devono svolgere un ruolo di supplenza. Che se non si attivano loro, nessuno fa nulla. C’è la prima obiezione, quella che osserva che trent’anni di supplenze giudiziarie non hanno migliorato la storia del paese. C’è poi la seconda, che mi pare anche più pertinente: ma se vuoi foste un importante scienziato, un medico che da decenni cura malati e fa ricerca, accettereste di supportare un governo in un momento di grave emergenza, facendo del vostro meglio e ovviamente sapendo di non sapere molte cose, come ovvio all’inizio di una pandemia, per poi trovarvi indagati per epidemia colposa, e vedendo il vostro nome accostato a “4000 morti che si potevano evitare”?
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