Giustizia
La zampata di Pignatone
La zampata di Pignatone
Dopo avere sopportato per anni diffamazioni e ricostruzioni fantasiose, l’ex Procuratore della Repubblica di Roma ha demolito punto per punto, documenti alla mano, menzogne e “rivelazioni” sul suo operato propalate a suo tempo dal suo ex sottoposto Giancarlo Capaldo e da Pietro Orlandi.
Di seguito la trascrizione della memoria del dr. Pignatone.
********************.
Al Sig. Presidente
della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori.
ROMA
Ringrazio la Commissione che ha accolto la mia richiesta di audizione, richiesta che ho formulato spinto dalla volontà di fornire, in modo documentato, alcuni elementi utili per le Vostre valutazioni, con specifico riferimento al procedimento penale nr. 11694/2010 R.G.N.R. e ad alcune dichiarazioni rese in proposito dal dr. Giancarlo Capaldo nel corso della sua audizione in data 25 luglio 2024.
Premesso che ho ricoperto l’incarico di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma dal 19 marzo 2012 al 9 maggio 2019. ritengo opportuno, per maggior chiarezza, trattare separatamente, nel modo più sintetico, sei distinti argomenti:
1) L’incontro del dr. Capaldo con il Comandante Giani e il dr. Alessandrini e il mio comunicato stampa del 3 aprile 2012.
Nulla so dire, ovviamente, sull’incontro (o sugli incontri) del dr. Capaldo e della d.ssa Maisto con il Comandante Giani e il dr. Alessandrini: essi avvennero prima che io assumessi, il 19 marzo 2012, le funzioni di Procuratore della Repubblica di Roma, né di essi fu mai informato successivamente da alcuno, neanche dopo aver lasciato quell’incarico il 9 maggio 2019.
Non so. quindi, quale delle contrastanti versioni offerte alla Commissione dai protagonisti corrisponda a verità.
Credo però importante, anche ai fini dell’attività che la Commissione sta svolgendo, prendere in esame le dichiarazioni rese dal dr. Capaldo, in particolare quelle rese nel corso della seduta del 25 luglio 2024.[1]
In quell’occasione, proprio al termine del l’audizione, il Presidente poneva al dr. Capaldo. una serie di precise domande: “Perché, nelle motivazioni della sua lettera di dissenso sulla richiesta di archiviazione, lei non fa riferimento a questi incontri, che peraltro erano partecipati dalla d.ssa Maisto? … perché non fece riferimento a questi incontri per motivare e dare forza alla sua contrarietà all’archiviazione? … Tali riferimenti avrebbero dato forza alla sua posizione, stando all’interno del procedimento penale. Perché non riferire al capo del suo ufficio, se quelle circostanze, come lei ha lasciato intendere, erano così importanti ai fini dell’inchiesta?” (pag. 40 del resoconto stenografico).
A queste domande del Presidente, del tutto logiche, il dr. Capaldo replicava che “probabilmente la risposta sta nelle decisioni e nel comportamento del capo dell’ufficio su questo procedimento”.
A questa prima affermazione seguiva una lunga spiegazione per la quale non posso che rinviare al resoconto stenografico c che qui cerco di riassumere nei limiti del possibile.
Il dr. Capaldo affermava che alla fine di marzo 2012, il quotidiano ‘Il Messaggero’ “sparò la notizia che la Procura di Roma non apriva la tomba. Questo veniva considerato una specie di scandalo e indicava, allo stesso tempo, che la Procura voleva la collaborazione del Vaticano perché in Vaticano c’era qualcuno che conosceva la verità о pezzi della verità.“.
Questo articolo avrebbe determinato lo scrivente ad adottare “una decisione ex abrupto. Il Procuratore rilasciò una dichiarazione alla stampa, in cui disse: questa notizia non è vera. Alla Procura della Repubblica adesso comando io e decido di aprire la tomba di De Pedis, seduta stante. Quindi, quanto viene indicato dai giornalisti in questo articolo sulla posizione della Procura, che è scettica sull’apertura della tomba, non è vero. Sono io, capo della Procura, che adotto questo provvedimento e decido quindi di aprire questa tomba, disponendo già da subito la riesumazione di Enrico De Pedis. Questo provvedimento, che è giornalistico, ma anche giudiziario, fu adottato dal dr. Pignatone senza ascoltare e chiedere il parere о informazioni né a me né alla d.ssa Maisto. E fu adottato dal dr. Pignatone senza che egli conoscesse sostanzialmente il processo.” (pag. 41 resoconto cit.).
La conseguenza, secondo il dr. Capaldo fu che il Vaticano non ebbe più motivo di rispondere alla richiesta di collaborazione avanzata a Giani e Alessandrini “perché hanno ottenuto quello che volevano: l’apertura della tomba“.
A questo punto il Presidente della Commissione insisteva per sapere perché il dr. Capaldo non avesse inserito l’incontro con Giani ed Alessandrini “nella lettera di contestazione della richiesta di archiviazione”.
La risposta del dr. Capaldo merita di essere riportata per intero: “Non soltanto non ho inserito il riferimento a questo incontro nella lettera, ma io non ho mai detto al dr. Pignatone di questo incontro precedentemente e, dopo la sua uscita pubblica, non glie l’ho detto più. Vi è il detto latino ‘intelligenti pauca’: se uno si ritrova un certo provvedimento adottato da chi non conosce per nulla il processo, io non penso di segnalare ex post quello che ritengo un errore voluto. Dal mio punto di vista, ma forse sbaglio, se il Procuratore non era d’accordo con la tesi sostenuta sul giornale avrebbe dovuto chiamare me о la d.ssa Maisto e chiedere spiegazioni sulla situazione. Noi in quella sede, avremmo fatto riferimento all’incontro, ma se così non è stato, parlare dopo dell’incontro sarebbe stato anche spiacevole.” (pag. 42 resoconto cit.).
Al di là di varie imprecisioni,[2] i punti essenziali sono due:
a) lo avrei fatto il comunicato stampa del 3 aprile 2012 senza avere chiesto in alcun modo il parere о informazioni al dr. Capaldo e alla d.ssa Maisto titolari del processo, di cui non conoscevo assolutamente il contenuto;
b) Con il comunicato stampa avrei detto “alla Procura della Repubblica adesso comando io e decido quindi di aprire questa tomba, disponendo già da subito la riesumazione di Enrico De Pedis” (pagina 41 del resoconto).
Queste affermazioni, con cui il dr. Capatelo giustifica il suo comportamento a dir poco anomalo, non corrispondono al vero come risulta dai documenti che produco in copia.
L’articolo de “Il Messaggero”, sotto il titolo “Sequestro Emanuela Orlandi, la Procura: in Vaticano si conosce la verità“, iniziava in questo modo: “All’interno del Vaticano ci sarebbero personaggi ancora in vita che conoscono i misteri legati alla scomparsa di Emanuela. È quanto riferiscono gli inquirenti della Procura di Roma a proposito dell’inchiesta sul rapimento della figlia di una dipendente della Santa Sede, scomparsa nel giugno del 1983. I magistrati, inoltre. non sarebbero intenzionati ad aprire la tomba nella Basilica di Sant’Apollinare di Enrico De Pedis.” (edizione online del 2 aprile 2012, ore 17.13, Alleg. 1).
La notizia era ripresa immediatamente (ore 17.17) dall’ANSA che usava quasi le stesse parole: “La verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sarebbe a conoscenza di personalità del Vaticano. È quanto riferiscono gli inquirenti della Procura di Roma a proposito dell’inchiesta sul presunto rapimento della figlia di un dipendente della Santa Sede, scomparsa nel giugno del 1983. All’interno delle Mura Leonine, secondo chi indaga, ci sarebbero personaggi ancora in vita che conoscono i misteri legati alla scomparsa della ragazza.” (Alleg. 2).
È da notare che l’ANSA non riprende il tema dell’apertura della tomba.
Quando ho letto queste notizie io avevo assunto l’incarico da appena due settimane e avevo in primo luogo l’esigenza di affermare il principio del rispetto delle regole. La legge allora vigente, cioè l’ordinamento giudiziario modificato nel 2006/2007 con la cosiddetta riforma Castelli/Mastella, prevedeva che i rapporti con la stampa fossero tenuti solo dal Procuratore della Repubblica о da un magistrato da lui delegato. La condotta di un magistrato che rilascia dichiarazioni, poi riportate in forma anonima, era, quindi, palesemente contraria alla norma di legge, specie in considerazione della gravità delle affermazioni, del tutto generiche, sulla responsabilità di rappresentanti di uno Stato estero.
Chiesi quindi al dr. Capaldo, quale titolare del procedimento, di cui io effettivamente nulla sapevo, di darmi gli opportuni chiarimenti su quanto riferito dagli organi di informazione e, comunque, di dirmi se vi fossero negli atti elementi che giustificassero affermazioni tanto gravi. Chiesi anche, più in generale, se ci fossero attività significative da svolgere.
Egli rispose dapprima verbalmente e poi, l’indomani, con la nota del 3 aprile 2012, che produco e di cui trascrivo le prime righe: “Con riferimento alle notizie apparse, a partire dalla serata di ieri, sulla stampa, relativamente alla vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi e alle indagini in corso presso la Procura di Roma, rilevo che esse non riflettono né lo stato attuale delle indagini né la posizione dell’Ufficio. Invero, l’Ufficio non ha adottato né è in procinto di adottare alcun provvedimento in ordine all’apertura о meno della tomba di Enrico De Pedis nella Basilica di Sant’Apollinare a Roma. … Per questo motivo, le notizie apparse circa la presunta decisione della Procura di non aprire la tomba non corrispondono in modo assoluto alla verità, perché la decisione definitiva al riguardo sarà adottata solo al termine delle indagini e della valutazione complessiva di tutti gli elementi acquisiti.” (Alleg.3).
In ordine poi, e più specificamente, alla questione più importante che aveva determinato la mia preoccupazione, quale titolare dell’Ufficio, e la mia richiesta di chiarimenti (cioè quella coinvolgente uno Stato estero quale è il Vaticano) il dr. Capaldo scriveva testualmente: “Per quanto, invece, attiene alla circostanza secondo cui «in Vaticano ci sarebbero personaggi ancora in vita a conoscenza dei misteri legati alla scomparsa di Emanuela Orlandi», questa affermazione non è mai stata fatta da me. In un colloquio del tutto informale, durato pochi istanti, con alcuni giornalisti nel pomeriggio di ieri, rispondendo a una domanda sul tema mi sono limitato a dire una cosa, a mio parere del tutto ovvia, e cioè che, avendo la vicenda di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, interessato vivamente la Santa Sede anche per gli interventi pubblici del Papa, certamente essa ha determinato indagini interne della Segreteria di Stato, indagini la cui conoscenza oggi potrebbe apportare elementi utili alla soluzione del caso. D’altronde gli ottimi rapporti attualmente esistenti tra la Procura e le competenti istituzioni vaticane consentono di prevedere che, contrariamente al passato, vi sia la più ampia collaborazione di quest’ultime.“.
Solo dopo aver ricevuto la nota del dr. Capaldo, io diramai, lo stesso giorno 3 aprile 2012, un comunicato stampa in cui, infatti, riportavo testualmente le parole da lui adoperate: “Le dichiarazioni e le valutazioni sul procedimento per la scomparsa di Emanuela Orlandi, attribuita da alcuni organi di informazione ad anonimi ‘inquirenti della Procura di Roma ‘ non esprimono la posizione dell’Ufficio” (Alleg. 4).
Nel comunicato aggiunsi poi una specificazione sulle prerogative del Procuratore della Repubblica quale responsabile della DDA sia perché l’assunzione di questa titolarità da parte mia aveva cambiato la situazione precedente in cui la DDA era coordinata da un Procuratore aggiunto, sia perché, come ho già detto, non ritenevo ammissibile la diffusione, espressamente vietata dalla legge, da parte di singoli magistrati, peraltro in forma anonima, di notizie di tale gravità e di cui io non ero in alcun modo informato.
Non corrisponde quindi al vero l’affermazione posta dal dr. Capaldo a fondamento della sua risposta al Presidente della Commissione per spiegare il motivo per cui egli non mi parlò mai del suo incontro con Giani e Alessandrini, l’affermazione cioè che io avrei diramato il comunicato stampa senza chiedergli né un parere né le necessarie informazioni.
È anzi vero il contrario: io gli chiesi specifiche informazioni ed egli mi rispose per iscritto senza dirmi nulla dell’incontro, pur avendo trattato espressamente il tema della collaborazione con il Vaticano definendo “ottimi” i rapporti esistenti. In sostanza, volle tenermi all’oscuro dei contatti in corso e del loro contenuto.
È del tutto logico che se egli nella nota mi avesse informato dell’incontro (come avrebbe dovuto, quantomeno per un principio elementare di leale collaborazione), ne avremmo ragionato insieme, valutando quali potessero essere le iniziative più opportune, magari sollecitando un nuovo incontro о – al contrario – continuando ad aspettare (erano passati già quasi due mesi dall’incontro) senza fare о dire nulla.
Fermo restando, ripeto, che il mio comunicato stampa riporta testualmente le parole usate dal dr. Capaldo nella sua nota.
Non corrisponde al vero neanche l’altro elemento chiave della risposta del dr. Capaldo al Presidente della Commissione e cioè che io abbia deciso “di aprire la tomba di De Pedis, seduta stante”, come affermato a pag. 41 del resoconto stenografico.
In realtà, nel comunicato da me diramato non si parla affatto della tomba e della sua eventuale apertura, che in quel momento non erano assolutamente oggetto del mio interesse.
2) L’apertura della tomba di Enrico De Pedis.
Solo a distanza di oltre un mese dal comunicato stampa del 3 aprile 2012, a fronte della continua insistenza degli organi di informazione sulla questione, chiesi al dr. Capaldo e alla d.ssa Maisto informazioni in proposito.
Chiesi, quindi, se c’era un motivo per non procedere a tale verifica e acquisire almeno un elemento di chiarezza in una vicenda così complessa e in cui erano state percorse tutte le piste, anche le più inverosimili.
Ricordo che chiesi se detta verifica trovasse ostacoli in qualche esigenza delle indagini (di cui io sapevo solo quello che i due colleghi mi avevano riferito) о in una difficoltà di ordine normativo, dato che io a quel tempo non conoscevo la complessa e articolata normativa che regola i rapporti fra l‘Italia e la Santa Sede o. ancora, se ci fosse un problema costituito da un parere contrario, per altre ragioni, del Vaticano.
Il dr. Capaldo mi disse che secondo lui l’apertura della tomba era inutile perché egli era convinto che il cadavere di Emanuela Orlandi non si trovasse lì, ma che non vi erano ostacoli di nessun genere ad una eventuale iniziativa in tal senso.
Invitai quindi i due colleghi a rivalutare la questione, dato che secondo me – in mancanza di ragioni di segno contrario – era comunque un risultato positivo fare chiarezza, non potendo certo essere decisivo il pur condivisibile convincimento personale del dr. Capaldo.
Sottolineo a questo proposito che io non ero all’epoca, né mai lo sono stato in seguito, titolare del procedimento relativo alla scomparsa della Orlandi e che quindi, anche se avessi voluto adottare un provvedimento di perquisizione о di ispezione dei luoghi come quello in discussione, non avrei potuto farlo, in base alle norme vigenti, se non congiuntamente e d’intesa con i titolari.
Anche dopo il comunicato del 3 aprile 2012, dunque il dr. Capaldo, invece di nutrire i sospetti cui allude nelle ultime righe della sua audizione (sospetti peraltro basati sulla circostanza non vera della mancata richiesta di informazioni), avrebbe potuto parlarmi dei contatti con Giani e Alessandrini e studiare insieme come riattivarli.
In fondo sarebbe bastato far sapere, e io non avrei avuto a quel punto nessuna difficoltà in proposito, che la Procura stava ancora valutando l’opportunità dell’apertura della tomba di De Pedis.
Invece, dopo una breve riflessione, il dr. Capaldo e la d.ssa Maisto mi dissero che condividevano la mia opinione sulla opportunità di fare chiarezza e di procedere quindi alla riapertura e ispezione della tomba.
È appena il caso di aggiungere che furono i due colleghi, naturalmente, a svolgere tutta l’attività necessaria, a cominciare dalla stesura dei provvedimenti che furono firmati da loro e firmati о vistati da me; anche tutta l’attività successiva (deleghe alla Squadra Mobile, nomina del Consulente Tecnico ccc.) fu curata dai due colleghi. Il dr. Capaldo fu anche presente il 14 maggio 2012 all’inizio delle operazioni, e poi anche in altre date, presso la Basilica, dove io – invece – non mi sono mai recato.
Aggiungo che, una volta presa la decisione, chiesi al dr. Capaldo anche di curare gli opportuni contatti con il Vaticano, ove io all’epoca non conoscevo nessuno e non avevo alcun contatto.
3) Lo svolgimento delle indagini dal 2012 al 2015 – La posizione di Marco Accetti.
Come ho già detto, non sono stato mai titolare del procedimento relativo alla scomparsa di Emanuela Orlandi né l’ho mai avocato, come risulta chiaramente dagli atti, certamente già acquisiti dalla Commissione.
Anche dopo che ho assunto l’incarico di Procuratore della Repubblica e il coordinamento della DDA, tutte le indagini sono state espletate dai titolari del procedimento, dr. Capaldo. d.ssa Maisto e, dal 15 luglio 2014, d.ssa Calò.
Di fatto, tutta l’attività è stata curata dal dr. Capaldo, che saltuariamente me ne ha riferito gli esiti, di regola – com’è normale – in modo molto sommario.
In particolare, il dr. Capaldo ha curato personalmente la posizione di Marco Accetti, procedendo egli stesso a raccoglierne le dichiarazioni.
Posso dare senz’altro atto che il dr. Capaldo mi informò tempestivamente delle prime dichiarazioni dell’Accetti, consegnandomi anche copia del relativo verbale; dopo averlo letto, io gli dissi che, secondo me, l’Accetti andava iscritto subito nel Registro delle notizie di reato, quale persona sottoposta a indagini e interrogato con l’assistenza del difensore.
Il dr. Capaldo, invece, non ritenne di accogliere il mio suggerimento e sentì l’Accetti altre cinque volte quale persona informata sui fatti; solo in data 6 maggio 2013 ordinò l’iscrizione dell’Accetti quale indagato dei reati di sequestro di persona e di omicidio aggravato e procedette quindi, con le garanzie difensive, ad altri sei interrogatori, l’ultimo dei quali il 25 luglio 2013.
Ugualmente, il dr. Capaldo non condivise la mia opinione sull’opportunità di sottoporre subito l’Accetti a perizia psichiatrica.
Sottolineo che si è trattato di scelte del tutto legittime, ma le ricordo qui a riprova dell’assoluta autonomia con cui ha agito il dr. Capaldo. Per altro verso, non ho bloccato né in alcun modo ostacolato alcuna attività di indagine che il dr. Capaldo о le altre colleghe hanno ritenuto di porre in essere.
4) La richiesta di archiviazione.
Come è noto alla Commissione, il procedimento relativo alla scomparsa Emanuela di
Orlandi è stato definito, per quanto riguarda il periodo in cui ho avuto la titolarità dell’Ufficio, con la richiesta di archiviazione firmata dalla d.ssa Maisto e dalla d.ssa Calò (titolari del procedimento) e vistata da me quale Procuratore Distrettuale, con il formale dissenso dell’altro titolare, dr. Capaldo.
È opportuno premettere che è del tutto fisiologico che in un procedimento di cui siano titolari più magistrati si manifestino opinioni contrastanti, anche e soprattutto su questioni rilevanti (una richiesta di misure cautelari, una richiesta di archiviazione о di rinvio a giudizio, ecc.). Di solito si giunge, dopo un confronto più о meno lungo, ad una soluzione condivisa; se questo non avviene, la normativa vigente rimette la decisione al Procuratore della Repubblica o, nel caso di procedimenti di competenza della DDA, a chi ne ha la direzione e il coordinamento. Nel caso in questione la decisione competeva a me che non avevo delegato ad altri queste funzioni.
Per quello che mi è stato riferito, la bozza della richiesta di archiviazione era stata preparata dalla d.ssa Maisto; essa aveva poi formato oggetto di discussione e confronto con il dr. Capaldo e la d.ssa Calò; una volta constatata l’impossibilità di raggiungere una soluzione condivisa, i colleghi mi avevano investito della questione.
Dopo aver studiato la richiesta e prima di prendere una decisione, io volli fare due riunioni con tutti i colleghi interessati. L’andamento della discussione e le argomentazioni proposte sono riassunti nelle lettere che produco (Allegati da 5 a 11).[2]
Al termine della discussione io condivisi la richiesta di archiviazione predisposta dalle colleghe che quindi la firmarono, mentre io la vistai.
Il dr. Capaldo. invece, non ritenne di condividere tale richiesta e, come previsto dalla normativa allora vigente, chiese, con la nota del 27 aprile 2015, w‘di essere esonerato dall’ulteriore trattazione del procedimento”; richiesta che accolsi.
revocandogli quindi l’assegnazione del procedimento di cui rimasero titolari le altre due colleghe.[3]
Non è quindi vero, come è stato spesso detto in questi anni, che io abbia avocato il procedimento né che sia stato io solo a “volere l’archiviazione”. dato che questa era l’indicazione della maggioranza dei titolari del procedimento, indicazione che io condivisi con piena convinzione nell’esercizio delle mie responsabilità di Procuratore Distrettuale.
Non intendo qui ripercorrere gli argomenti trattati nelle lettere sopracitate a sostegno e contro la presentazione della richiesta di archiviazione.
Credo però opportuno fare alcune considerazioni per chiarire quali erano, in base alle norme allora vigenti, gli scopi, le possibilità e i limiti dell’attività della Procura in quella fase.
Le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi erano state fatte, come è logico, a suo tempo a seguito della denuncia presentata dai familiari e si erano concluse dopo 14 anni (come consentiva il codice allora vigente) con la sentenza di proscioglimento emessa dal Giudice Istruttore di Roma del 19 dicembre 1997.
Successivamente erano state svolte indagini e approfondimenti su altre piste investigative, molte delle quali derivanti da fonti anonime, che avevano dato vita ad altri procedimenti, poi in gran parte confluiti in quello iscritto al numero 11694/2010 RG e concluso con la richiesta del maggio 2015.
L’oggetto di questo procedimento è definito dalla iscrizione delle persone sottoposte a indagini:
- un primo nucleo di indagati (Virtù, Minardi, Cassani, Gerboni e Vergari) era riferibile in qualche modo alla banda della Magliana o, quantomeno, a Enrico De Per costoro il termine delle indagini era scaduto già nel marzo 2012;
- l’altra posizione oggetto del procedimento era quella di Marco Accetti nei cui confronti il termine per le indagini scadeva il 6 maggio 2015.
In sostanza, a metà aprile 2015, quando mi venne sottoposto il contrasto di opinione fra i colleghi titolari del procedimento, oggetto della decisione era l’esistenza о meno di elementi idonei a sostenere l’accusa in dibattimento (secondo la norma allora vigente) nei confronti di quegli indagati e, in caso di risposta negativa, se vi fossero indagini che potessero e dovessero essere utilmente espletate nei confronti dell’Accetti prima del 6 maggio 2015.
Quanto alla prima questione, il dr. Capaldo avanzò la tesi di chiedere il rinvio al giudizio degli indagati Cassani, Gerboni, Virtù e Minardi, ma l’insostenibilità di una tale richiesta era resa già evidente dal fatto che nei cinque anni trascorsi dalle dichiarazioni di Sabrina Minardi, e neanche nei tre anni successivi alla scadenza dei termini, l’Ufficio di Procura e lo stesso dr. Capaldo non avevano mai minimamente pensato di richiedere il rinvio a giudizio né, tantomeno, una misura cautelare nei confronti di persone (asseritamente) responsabili di reati così gravi.
Quanto alla posizione dell’Accetti, il dr. Capaldo sollecitò l’assunzione di sommarie informazioni di alcune persone, limitando poi l’indicazione ad una sola di esse nella riunione del 14 aprile 2015. Le altre due colleghe ritennero però inutile tale attività (quelle persone erano state già sentite in precedenza) e del resto è logico chiedersi perché il dr. Capaldo, se riteneva importante tale attività, non avesse provveduto egli stesso a sentire quelle persone nel lungo tempo trascorso dall’ultimo interrogatorio di Accetti in data 25 luglio 2013. (La stessa osservazione potrebbe valere per molte delle ipotesi investigative di cui il dr. Capaldo, nel corso della sua audizione, ha lamentato il mancato approfondimento).
Il dr. Capaldo indicò poi un’altra attività di indagine che si sarebbe dovuta espletare – secondo la sua opinione – prima di decidere sulla richiesta di archiviazione: una perizia psichiatrica sull’Accetti. Anche questa indicazione mi apparve paradossale. Il dr. Capaldo aveva rifiutato il mio suggerimento in tal senso all’inizio della vicenda Accetti, quando questi era stato iscritto come persona sottoposta a indagini il 6 maggio 2013, e voleva ora procedere a un’attività così complessa, da richiedere al G.I.P. con incidente probatorio, a pochi giorni dalla scadenza dei termini, con l’inevitabile conseguenza che la relazione peritale sarebbe stata depositata molto oltre quel termine e non sarebbe stato cosi possibile svolgere nessuna ulteriore attività.
Del resto, come la Commissione certamente sa, la Procura della Repubblica ha proceduto subito dopo a richiedere la perizia psichiatrica sull’Accetti nell’ambito di un nuovo procedimento iscritto nei suoi confronti per i reati di calunnia e autocalunnia (art. 368 e 369 c.p.) e il perito ha concluso il suo esame affermando la sostanziale inattendibilità dell’Accetti.[4]
Comunque, a prescindere dalla correttezza delle conclusioni raggiunte a suo tempo dalla Procura, che peraltro hanno avuto una verifica positiva nella competente sede processuale da parte del G.I.P., e poi della Cassazione, credo sia qui opportuno sottolineare un’altra circostanza.
Contrariamente a quello che è stato spesso detto nel corso delle tante polemiche di questi anni, la richiesta di archiviazione del maggio 2015 non ha avuto, nè poteva averlo in base alle norme processuali, il significato e il risultato di porre fine a qualsiasi indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.
11 senso e lo scopo della richiesta di archiviazione era quello di definire alla scadenza dei termini, come impone il codice di procedura penale, la posizione delle persone sottoposte a indagini in quello specifico procedimento in relazione al reato contestato e alle piste investigative esplorate.
Nulla vietava, se si fossero delineate altre ipotesi investigative, di iniziare anche subito un altro procedimento, come poi si è fatto in tempi recenti. Anzi, la riapertura avrebbe potuto aver luogo anche nei confronti degli stessi indagati, previa autorizzazione del G.I.P..
Va anche sottolineato che in sede di discussione sulla richiesta di archiviazione né il dr. Capaldo né altri indicarono elementi tali che consentissero l’instaurazione di un nuovo procedimento, anche contro ignoti, che io non avrei avuto difficoltà ad autorizzare, così come ho autorizzato, anzi sollecitato, il procedimento contro Accetti per i reati di calunnia e autocalunnia nel cui ambito c stata espletata la perizia psichiatrica.
5) Il decreto di archiviazione del giudice per le indagini preliminari.
Come si è già accennato, il Giudice per le indagini preliminari di Roma ha accolto la richiesta della Procura disponendo, dopo un approfondito esame delle risultanze delle indagini e delle opposizioni proposte dai familiari di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, l’archiviazione del procedimento “in quanto gli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari sono, allo stato, non provvisti della consistenza, neppure indiziaria, necessaria a sostenere l’accusa in giudizio e a giustificare un vaglio dibattimentale, né paiono utilmente esperibili ulteriori indagini con la finalità di valorizzare quegli elementi dotali di una più significativa, ancorché incongruente, pregnanza investigativa” (decreto del 19.10.2015, confermato dalla Corte di Cassazione il 6 maggio 2016).
In particolare, va qui evidenziato che il G.l.P. ha analiticamente preso in esame le opposizioni delle persone offese, che peraltro giungevano a conclusioni tra loro diverse[5]
Lo stesso G.I.P. ha anche evidenziato che “non è dato apprezzare, al momento, altro fronte investigativo, sinora inesplorato, da cui potrebbero provenire elementi idonei a supportare l’ipotesi accusatoria” (decreto cit.).
Naturalmente mi auguro che questa valutazione, formulata nel 2015, possa essere superata dagli sforzi della Commissione e delle Autorità giudiziarie interessate.
6) L’intercettazione della telefonata in data 19.5.2012 tra don Piero Vergari e Carla Di Giovanni.
Tra i tanti equivoci ed errori che si possono verificare nelle indagini, specie se lunghe e complesse come quelle in esame, ce n’è uno che mi riguarda personalmente.
Nel maggio 2012, in coincidenza con l’apertura della tomba di Enrico De Pedis, la Procura dispose una serie di intercettazioni telefoniche eseguile dalla Squadra Mobile che poi ne riferì l’esito con una nota del 24.5.2012, cui era allegata la trascrizione di alcune telefonate.
Tra le conversazioni intercettate e trascritte in quei giorni ve ne sono alcune tra don Piero Vergari, Rettore della Basilica di S. Apollinare, e Carla Di Giovanni, vedova del De Pedis, tra i quali vi erano da molto tempo rapporti di amicizia. Queste conversazioni contengono, come è logico, numerosi riferimenti al Procuratore della Repubblica dell’epoca, cioè a me, che vengo indicato con il mio cognome o, in sette diverse occasioni, come “il procuratore nuovo“, espressione del tutto logica dato che avevo assunto l’incarico solo due mesi prima e che non mi ero mai occupato della scomparsa di Emanuela Orlandi.
Solo nel corso di una telefonata del 19.5.2012, ore 10.13. la Di Giovanni avrebbe detto, secondo la trascrizione della Squadra Mobile, “tanto il procuratore nostro sta prosciogliendo … sta archiviando tutto …è roba di pochi giorni, eh Don Pie ‘? Resista”.
A parte l’ovvia constatazione che l’archiviazione è stata richiesta tre anni dopo, ho comunque voluto verificare l’effettivo contenuto della telefonata data la stranezza dell’espressione “il procuratore nostro” usata in quest’unica occasione da persona che non avevo mai visto.
Dall’ascolto del file audio[6] risulta con assoluta certezza che si è trattato di un banale errore di chi ha trascritto la conversazione intercettata, dato che si sente distintamente, senza bisogno di apparecchiature sofisticate, che la donna, anche in questa occasione, dice “Il procuratore nuovo“.
Ho anche incaricato un consulente tecnico, la d.ssa Tiziana Di Todaro. che ha redatto la relazione, asseverata con giuramento, che produco. La consulente conferma che le parole pronunziate dalla Di Giovanni sono “tanto adesso il Procuratore nuovo sta prosciogliendo … sta archiviando tutto, è roba di pochi giorni, eh. Don Pie’? Quindi resista” (Alleg. 12. in cui è inserito anche il cd con il file audio).
Anche sotto questo profilo sono quindi del tutto ingiustificati i sospetti e le illazioni (o peggio) che sono stati avanzati in questi anni.
Roma 27 febbraio 2025 Giuseppe Pignatone
Elenco Allegati
1) Il Messaggero on line – Articolo del 2 aprile 2012, ore 17.13;
- Note dell’Agenzia ANSA del 2 aprile 2012. ore 17.17 e 17.31;
- Nota n. 67/12 Gab. in data 3 aprile 2012 a firma del dr. G. Capaldo;
- Comunicato stampa in data 3 aprile 2012 del Procuratore della Repubblica G. Pignatone;
- Nota in data 17 aprile 2015 a firma del dr. Capaldo:
- Nota in data 21 aprile 2015 a firma della d.ssa Maisto e della d.ssa Calò;
- Nota in data 22 aprile 2015 a firma del G. Pignatone;
- Nota in data 27 aprile a firma del dr. Capaldo;
- Provvedimento di revoca dell’assegnazione del procedimento 11694/2010 G.N.R. in data 5 maggio 2015 a firma del dr. Pignatone;
- Nota in data 12 maggio 2015 a firma del dr. Pignatone;
- Nota in data 14 maggio 2015 a firma del dr. Capaldo;
- Relazione di consulenza a firma della d.ssa Tiziana Di Todaro in data 16 dicembre 2023, con allegato cd. contenente un file
[1] Tralascio invece quelle rese a vari organi di stampa, tutte comunque successive non solo al suo pensionamento, (non erano quindi possibili eventuali rilievi disciplinari), ma anche al decorso dei termini di prescrizione di eventuali reati commessi nel 2012. Quanto alle dichiarazioni rese in sede giudiziaria, in Italia e in Vaticano, non ne conosco ovviamente il contenuto.
[2] Per esempio, la compressione dei tempi: rincontro con Giani e Alessandrini sarebbe avvenuto all’inizio di febbraio, più di un mese prima del mio arrivo a Roma (19 marzo 2012); l’articolo de “Il Messaggero” e il mio comunicato stampa sono del 2 e 3 aprile 2012; l’apertura della tomba è del 14 maggio 2012.
[2] Note in data 17 aprile, 27 aprile e 14 maggio 2015 a firma del dr. Capaldo; in data 21 aprile 2015 a firma della d.ssa Maisto e della d.ssa Calò e in data 22 aprile, 5 maggio e 12 maggio 2015 a mia firma.
[3] La correttezza, ai sensi delle norme ordinamentali vigenti all’epoca, del procedimento di revoca e, più in generale, dell’intera procedura allora seguita non è mai stata messa in dubbio da nessuno.
[4] Si riportano solo alcuni passaggi dell’ordinanza con cui il G.l.P. di Roma ha archiviato anche questo procedimento a carico del Г Accetti: “Deve dunque convenirsi allo stato degli atti che le dichiarazioni comunque rese dall’Accetti nell’ambito del predetto procedimento siano il risultato di un lavoro di sceneggiatura scaturito dallo studio attento di atti e di informazioni acquisite negli anni, secondo la condivisibile definizione del pm e del gip di quel procedimento. La personalità dell’Accetti appare orientata da un delirio di protagonismo che. in ragione delle circostanze con le quali si è manifestato dal corso del tempo, ha proposto il dubbio che lo stesso possa essere stato affetto da totale о parziale incapacità di intendere e/о volere il perito ha concluso ritenendo l’Accetti pienamente imputabile pur affermando che lo stesso è affetto da disturbo non grave della personalità di tipo istrionico narcisistico, disturbo che non gli impedisce di essere pienamente consapevole dei limiti della propria narrazione e di tentare di eludere l’esplicitazione di temi che disvelerebbero insanabili contraddizioni intrinseche al suo narrare e alla sua logica. // perito ha tuttavia rimarcato che non può escludersi che il tempo e la costante attenzione dei media sui temi oggetto delle sue farneticazioni determinino in lui / impossibilità di discriminare fra quanto sia frutto della propria immaginazione e quanto sia realmente accaduto”. (ordinanza del 1.6.2017, resa nei proc. nr. 21973/2015 R.G.N.R. e 20089/2015 R.G.I.P.).
[5] Maria Pezzano, madre di Emanuela, concordava con le conclusioni del P.M, ma chiedeva la riapertura deile indagini per il riconoscimento del fine terroristico del sequestro. Questa richiesta era condivisa dal figlio Pietro Orlandi, che però chiedeva che il G.i.p. disponesse l’imputazione coatta per tutti gli indagati. Natalina c Maria Cristina Orlandi ed i familiari di Mirella Gregori chiedevano invece che venisse disposta Г imputazione solo nei confronti degli imputati in qualche modo riconducibili alla Banda della Magliana (Minardi. Virtù, Gerboni e Cassani).
[6] l a copia mi è stata rilasciata dalla Procura di Roma.
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