Giustizia

La stretta di mano Moggi-Moratti, tenerezza e sorrisi su Calciopoli

2 Febbraio 2015

Pace. Lucianone quando vede Massimo entrare nell’aula dove l’ex rivale è imputato per avere diffamato Giacinto Facchetti prende luce e ha il sorriso di quando guidava la Juve che mieteva tricolori. La mano di Massimo si allunga come un ramo di ulivo e lui la prende con vigore. La pace tra Luciano Moggi e Massimo Moratti scende, dunque, su Calciopoli oltre il novantesimo minuto.

Nei tempi regolamentari si era giocato così. Moratti, dopo la sentenza di condanna di Luciano: “Il verdetto che acclara la colpevolezza di certe persone rende l’idea delle difficoltà passate dall’Inter”. Moggi, in contropiede: “Moratti deve stare zitto perché guida una squadra la cui storia è costellata di debiti e di bidoni. Moratti e Facchetti chiamavano Bergamo per fargli vincere le partite”.

Il presidente del ‘triplete’ si accomoda al banco del testimone in questo processo che è un ‘bigino’ della grande Calciopoli. Composto. “Sì, è vero: i designatori degli arbitri Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto mi chiamavano qualche volta. Avevano questo atteggiamento di apertura e cordialità con tutti, chiamavano tutti”.

Un avvocato con tono provocante gli ricorda di quando al telefono espresse a Bergamo soddisfazione per un arbitro e gli raccontò di essere andato a trovarlo prima della partita: “Come mai andava prima delle partite a salutare gli arbitri nello spogliatoio?”.  Il testimone infila con uno sbuffo le mani nel lungo cappotto grigio: “Ci andavamo anche gli altri. Non era proibito, era un atto di cortesia andare a trovare gli arbitri. Le mie intenzioni non erano certo quelle di sporcare il calcio, se il retropensiero della sua domanda era quello”.

Per essere più convincente, Moratti rimodula un po’ la versione su quelle telefonate dei designatori. Non un atto di cortesia, ma “una presa in giro, mi volevano far credere che ci fosse chissà quale clima di simpatia per l’Inter. Io rispondevo perché sono educato, ma ero in imbarazzo. Non sono uno un granché curioso”. Ricorda un incontro estivo con Bergamo a Forte dei Marmi, dopo la tragedia epica del 5 maggio (l’Inter perse con la Lazio in modo inopinato e regalò il tricolore alla Juve). “Bergamo voleva dirmi che quello che era successo a noi in quel campionato era stato un incidente”. Finisce con Moratti che prima di andarsene ripassa da Moggi. Caso mai non si fosse capito: si stringono ancora la mano, parlano fitto per qualche minuto, con un po’ di malinconia negli occhi. Non c’è bisogno del fischio di un arbitro per dire che è finita.

Manuela D’Alessandro

 

 

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