Giustizia

La forca del Bonafede

25 Gennaio 2020

“Gli innocenti non finiscono in carcere” è l’ultima uscita del ministro di Grazia e Giustizia Alfonso Bonafede. Ha tentato di biascicare qualche scusa, ma è patetico.
Dal 1992 al 2018 sono state risarcite oltre 27mila persone dallo Stato italiano, perché ritenute innocenti e, nonostante questo, sono finite in carcere.
Gli è che vuole essere un forcaiolo, un giustizialista, ma parla anche a vanvera, senza costrutto logico, con un’evidente e patente impreparazione.
È chiaro che per Bonafede, se si va a processo tutti sono colpevoli, per il sol fatto che hanno subito un processo: questo è il suo pensiero. Devono essere condannati.
Ha le idee annebbiate sulla figura della pena e del processo.
1- Forse non conosce la Costituzione, che ha attribuito alla pena una funzione rieducativa e non vendicativa. Anche al cospetto del peggior reo lo Stato dispiega la forza per comminare la sanzione, ma affinché si penta, si ravveda. I nostri Costituenti erano figli di Beccaria, di Verri, di Filangieri ed avevano capito che un tessuto lacerato da un delitto doveva essere ricomposto con la giustezza dell’irrogazione della pena, ma per il recupero del reo, il suo reinserimento sociale.
I lavori della Costituente furono tenuti da Giovanni Leone, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Bettiol, Mortati che non erano giustizialisti, ma figli di quella grande tradizione che aborriva la legge del taglione e poneva lo Stato nella condizione di ricomporre il legame rotto dall’esecrato delitto, cercando di redimere il reo.
Hanno letto questi signori la Storia della Colonna Infame scritta da Alessandro Manzoni, che fa comprendere come il sospetto non è prova e non si può condannare in ragione di esso.
Scriveva Manzoni:

“Dio solo ha potuto vedere se que’ magistrati, trovando i colpevoli d’un delitto che non c’era, ma che si voleva , furon più complici o ministri d’una moltitudine che, accecata, non dall’ignoranza, ma dalla malignità e dal furore, violava, con quelle grida, i precetti più positivi della legge divina, di cui si vantava seguace”.

A Bonafede piace condividere la moltitudine, la piazza, le grida.
2- Si è fatto latore ed interprete del processo eterno, con la legge che blocca il decorso della prescrizione dopo il processo di primo grado. È una legge che non ha scritto neppure lui, perché non la sa spiegare.
Deve ricordare che l’impianto costituzionale non prevede l’ergastolo processuale, vi è la ragionevole durata (111 Cost.) che cozza contro il processo eterno, teso evidentemente- per il Bonafede -a ricercare la colpevolezza  ad ogni costo a prescindere dall’innocenza del reo, che deve andare sempre al patibolo.
In un moderno sistema penale, il potere di punire non appartiene alla persona offesa, ma allo Stato; tale potere non è una vendetta pubblica che si sostituisce a quella privata, questo ignora Bonafede.
Si dimetta: il ministero di Grazia e Giustizia va ricoperto da competenti che hanno nelle vene la Costituzione e la sua storia: Bonafede non ha questa portata.
È figlio della demagogia di Facebook, della semplificazione. È evidente che non ha studiato, il suo è un linguaggio povero , non frutto della riflessione e della meditazione. La delicatezza del ruolo impone un rigore che lui non possiede.

Si legga la storia del crimine giudiziario  subito da Enzo Tortora .

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