Giustizia

La Cassazione e l’Italia omofoba

20 Febbraio 2019

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur.

Ricorro al caro Tito Livio poiché la celebre locuzione, attribuita allo Storico romano, ben descrive il contrappasso a cui il karma della Giustizia sottopone l’Italia dell’era giallo-verde.

Mi spiego meglio. La Suprema Corte ha condannato, in via definitiva, con ord. 4815/19, il rappresentante legale di una nota azienda italiana al risarcimento del suo dipendente, vessato per lungo tempo con insulti omofobi. Il “clima cameratesco” ed “il carattere scherzoso” non avallano, secondo la Corte, in alcun modo, il ricorso reiterato all’appellativo finocchio.

Sembrano inezie ma non lo sono. Infatti, la decisione dell’organo di ultima istanza interviene in un panorama sociale, politico e soprattutto giuridico paragonabile ad una landa desolata all’ora di punta. Mentre a Roma impera il benaltrismo ed un’ indifferenza ostentata rispetto al tema dell’omotransfobia, tocca alla Giurisprudenza espugnare Sagunto, come spesso accade nel nostro Paese.

Il Legislatore italiano non ha mai introdotto il reato di discriminazione e istigazione all’odio e alla violenza omofobica e transfobica. L’unico pannicello caldo è un decreto legislativo del 2003 recante disposizioni per la parità di trattamento sul luogo di lavoro, in attuazione della direttiva 2000/78/CE. Pochi ricordano che dorme sepolto in un cassetto del Senato il solo tentativo sostanzioso in materia, abortito con la fine della scorsa Legislatura, che proponeva di modificare la Legge Mancino del ’93, introducendo l’aggravante omofbica nelle ipotesi di discriminazione.

Insomma, ad oggi, l’autorità giudiziaria è praticamente priva di strumenti idonei a perseguire, sistematicamente e organicamente, l’omotransfobia, in un contesto culturale così tanto etero-dosso da considerare accettabili e addirittura non discriminatori appellativi, atteggiamenti e comportamenti.

Se è vero che il contesto sociale è quotidianamente alimentato dalla potente indifferenza dei potenti che lo conduce ad un piatto vegetare, in cui l’atteggiamento discriminatorio verso i soggetti non-eteronormativi nasce, cresce e si rinforza è altresì vero che solo le norme hanno la necessaria potenza per modellare i comportamenti e indirizzare all’integrazione sociale. La funzione criminal-pedagogica delle norme ha bisogno di dispiegarsi in tutta la sua luminosa forza poiché gli interventi giurisprudenziali, per quanto preziosi, rischiano di restare isolati in un contesto di kultur diffusa radicalmente e radicatamente omofobo.

L’omofobia e la transfobia violano la dignità umana, comprimono le libertà degli individui, ledono i principi di eguaglianza e solidarietà che sono i pilastri dello Stato di diritto. Nell’epoca dell’indignazione ad orologeria e della protesta confusa col vilipendio, il Paese resta indifferente alla magnitudine di una repressione costante e violenta del processo di autorealizzazione dei consociati che, venendo al mondo, hanno aderito tutti, indistintamente, allo stesso contratto sociale.

Mentre a Roma si discute e Sagunto viene (parzialmente) espugnata, noi fino a quando resteremo indifferenti?

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