Giustizia
Italicum: una sentenza storica ma deludente nel merito. Le proposte del Comitato
Poche righe per un comunicato della Consulta che farà epoca. E sarà il punto di riferimento per tutte le future sentenze costituzionali relative al giudizio di costituzionalità su leggi elettorali approvate ma non ancora applicate. Come è successo per l’Italicum. La nuova legge elettorale scritta per la sola Camera dal governo Renzi, in previsione di un Parlamento monocamerale dal momento che era stato deciso di relegare in secondo ordine di importanza il Senato (la c.d. “deforma” costituzionale è stata bocciata dal popolo sovrano il 4 dicembre 2016), approvata nel 2015 ed entrata in vigore il 1° luglio 2016 e, quindi, non ancora applicata, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale.
Una sentenza storica.
Il 25 gennaio scorso, la Corte Costituzionale, dopo cinque ore di consiglio, si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum) sollevata da cinque diversi Tribunali ordinari (Messina, Torino, Trieste, Genova e Perugia) a cui si erano rivolti gruppi di cittadini elettori tramite il pool di avvocati coordinati dall’avv. Felice Besostri (uno dei demolitori del Porcellum) per conto del Coordinamento nazionale dei Comitati del NO all’Italicum. Ma i ricorsi dei cittadini erano stati molti di più: 22. Poco più di uno per ciascuna delle 20 Regioni elencate all’art. 131 della Costituzione del 1948 ancora vigente. E di questi 22, solo 5 hanno avuto la fortuna di trovare tribunali “costituzionalmente” sensibili da decidere di rinviare a giudizio della Consulta la vexata questio. Prima di entrare nel merito della sentenza della Corte va sottolineato che, ad oggi, non si era mai vista una mobilitazione così massiccia di cittadine e cittadini per far dichiarare una legge elettorale incostituzionale. Una pressione così forte dei soggetti detentori di quella costituzionale “sovranità popolare” (art. 1 Cost.) che ha trovato accoglienza nella sentenza della Consulta che ha dichiarato ammissibile un ricorso di incostituzionalità su una legge elettorale, in vigore sì, ma non ancora applicata. E che, soprattutto, ha riconosciuto la sussistenza dell’interesse ad agire dei cittadini a tutela preventiva, ovvero prima che si svolgessero le elezioni secondo i dettami dell’Italicum. I ricorrenti avevano chiesto sostanzialmente di accertare la conformità della nuova legge elettorale alla Costituzione, relativamente all’espletamento del proprio diritto di voto “ libero, uguale, personale e diretto” che secondo loro, invece, sarebbe stato “leso, limitato e/o compromesso”’ da specifiche norme della Legge elettorale 52/2015.
Una sentenza deludente. Nel merito.
Accolti. La Corte Costituzionale, si legge nel comunicato, ha “accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono” ed ha “inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità – continua il comunicato – , sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio previsto dall’ultimo periodo, non censurato nelle ordinanze di rimessione, dell’art. 85 del d.p.r n. 361 del 1957 (è la legge elettorale madre, il Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, su cui si sono inserite negli anni le modifiche delle leggi elettorali successive, n.d.r)”.
Respinti. La Corte Costituzionale ha “rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, sollevata dal Tribunale di Genova”, ha “respinto le eccezioni di inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello Stato (probabilmente il fatto che l’Italicum non era stato ancora applicato e che, quindi, non poteva essere sottoposto preventivamente a giudizio. Era questo il punto che preoccupava di più gli avvocati ricorrenti, n.d.r.)” ed ha “ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del procedimento di formazione della legge elettorale”. Il primo Tribunale ad emettere un’Ordinanza a sostegno del ricorso dei cittadini contro l’Italicum ed inviarla alla Corte Costituzionale, è stato il Tribunale di Messina: febbraio 2016. Poi sono arrivati gli altri quattro. Quattordici i motivi di incostituzionalità presentati dagli avvocati anti-Italicum ai 22 tribunali italiani. “Non si poteva rischiare di aspettare sei anni una Cassazione che mandasse la legge alla Consulta come è avvenuto per il Porcellum che presentammo solo al Tribunale di Milano – ricorda l’avv. Besostri – , per questo abbiamo cercato di coinvogere più tribunali territoriali” . Nel comunicato ufficiale della Consulta, tuttavia, non si fa menzione del Tribunale di Messina che tuttavia aveva rilevato il vulnus al principio di rappresentanza territoriale presente nell’Italicum (abnorme premio di maggioranza, ballottaggio senza soglia, capilista bloccati) ed aveva rimesso alla Corte Costituzionale anche un residuo del Porcellum. Ovvero le soglie di accesso al Senato pari all’8% per le singole liste ed al 20% per le coalizioni ritenendo irragionevole che si fosse licenziata una legge elettorale per la sola Camera dei deputati”.
Camera e Senato: due Camere con due leggi elettorali diverse tra loro.
A quanto è dato sapere, leggendo il comunicato della Consulta (la sentenza sarà resa pubblica entro un mese), il problema “elezioni Senato” sollevato dal Tribunale di Messina non è stato neppure sfiorato dalla Corte Costituzionale che ha dibattuto unicamente sull’Italicum, come era prevedibile. In sintesi, la Consulta ha bocciato solo due dei 14 motivi di incostituzionalità sollevati dai ricorrenti: 1) il ballottaggio senza soglia, al secondo turno, e 2) la facoltà dei capilista di scegliere il proprio collegio di elezione (fino a 10 collegi). Dal momento che il comunicato della Consulta termina con la frase “All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione” vediamo cosa potrebbe succedere alla prossima tornata elettorale per rinnovare il Parlamento se venisse applicato quel che resta dell’Italicum alla Camera ed il Consultellum (quel che resta dopo la sentenza della Consulta sul Porcellum) al Senato.
Camera. Con quello che è rimasto dell’Italicum, potranno entrare nella competizione per la spartizione dei seggi solo i singoli partiti (non sono previste le coalizioni) che avranno superato la soglia del 3%. Chi tra questi supererà il 40% dei voti potrà godere di un premio di maggioranza che gli garantirà 340 seggi sui 630. I capilista non saranno scelti dai cittadini ma presentati dai propri partiti. Se ai 100 capolista eletti (i collegi sono 100) si aggiungono altri 100, circa, deputati eletti grazie al premio di maggioranza, se dovesse scattare, un terzo dei deputati non sarebbe scelto liberamente dai cittadini elettori.
Senato. Con quello che è rimasto del Porcellum, depurato dalla sentenza della Consulta n. 1 del 2014 e ribattezzato “Consultellum”, potranno ambire ai seggi senatoriali sia i singoli partiti che le coalizioni ma con soglie di sbarramento diverse. Dell’8% nel primo caso, se i partiti corrono da soli, e del 20% nel secondo per le coalizioni (in questo caso ai singoli partiti in coalizione è richiesto almeno il 3% dei voti). Non sono previsti né premio di maggioranza né tantomeno i capilista bloccati.
Un bel pasticcio: né uguaglianza di voto, né governabilità.
Una simile disparità nei sistemi elettorali di Camera e Senato non garantisce davvero quella “uguaglianza” del voto, e del “peso” del proprio voto, dei cittadini prevista dalla Costituzione e che è stato uno dei due cavalli di battaglia dei ricorrenti contro l’Italicum insieme al “premio di maggioranza” alla singola lista/partito che superi la soglia del 40% dei voti: 340 seggi sui 630 della Camera. Molti commentatori “ottimisti” stanno dicendo che in Italia nessun partito ha mai raggiunto una tale soglia e che quindi il premio di maggioranza c’è ma non scatterà mai. Se così fosse, ovvero se il “premio” fosse praticamente irraggiungibile, perché mai la Consulta lo ha mantenuto? Eppure la Corte Costituzionale sa bene che moltissimi articoli della Carta costituzionale prevedono un’approvazione tra Camera e Senato “a maggioranza assoluta”. Ovvero, alla Camera, 316 seggi sui 630 esistenti. Ma se un partito superasse, per caso, la fatidica soglia del 40% e si aggiudicasse il premio di maggioranza, con i suoi 340 seggi garantiti potrebbe fare oscillare l’ago della bilancia a suo favore. Secondo il costituzionalista Massimo Villone, se si andasse al voto con due sistemi elettorali diversi, si correrebbe fortemente il rischio di avere due Camere del Parlamento con due equilibri politici diversi. “Dal momento che per il Senato sono previste soglie di sbarramento enormi, sospetto – ci ha dichiarato il professor Villone – che alle due Camere non andranno certamente le stesse forze politiche. Per cui aumenterà, non certo diminuirà, il rischio di governabilità che la Corte definisce come valore costituzionalmente rilevante (il riferimento è alla sentenza sul Porcellum, n.d.r.). Avere, inoltre – continua Villone – , mantenuto il premio di maggioranza al partito che superi la soglia del 40% aumenterà sicuramente la spinta a fare il partito unico della nazione. E’ vero che non esiste la certezza che questo possa accadere, ma basta che ci sia la possibilità perché questo accada, prima o poi. Credo, comunque, che la Consulta non abbia voluto contraddire la sentenza n. 1 del 2014 sul Porcellum dove aveva motivato l’incostituzionalità del premio di maggioranza per il fatto che non prevedeva una soglia definita…ora l’Italicum la prevede ed il premio di maggioranza è stato mantenuto”. E cosa pensa il professor Villone della sentenza della Consulta sui capilista bloccati e sull’introduzione del sorteggio per decidere quale collegio assegnare loro se venissero eletti in più di un collegio? “Mi pare strano il meccanismo del sorteggio applicato al capolista che risulti eletto in più di un collegio. La Corte non ha colpito il voto bloccato sul capolista e fa dipendere il diritto di voto dell’elettore da come il partito definisce la candidatura – spiega il professor Villone – . Il meccanismo del sorteggio tempera i capilista bloccati ma toglie ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti perché nessuno potrà mai votare per il capolista, ovvero il “capo” della forza politica, che viene scelto unicamente dal partito secondo l’art. 14 bis dell’Italicum. Comunque, in conclusione, la sentenza della Corte Costituzionale non implica che il Parlamento non possa cambiare le leggi elettorali delle due Camere, armonizzandole. Anche accogliendo la forte richiesta del Paese verso il proporzionale”.
Dal Comitato contro l’Italicum. Dichiarazione del vicepresidente Alfiero Grandi.
La reazione – con richiesta – del Comitato contro l’Italicum si è fatta subito sentire: “Il parlamento faccia il suo dovere e consenta alle italiane e agli italiani di eleggere tutti i loro rappresentanti su base proporzionale”.
“Dalla sentenza della Corte – scrive Alfiero Grandi – esce la conferma che avevamo ragione, l’Italicum era incostituzionale e conferma la validità della lotta degli ultimi anni per la democrazia. L’Italicum era una legge che presentava dei pericoli, per l’attribuzione di un premio di maggioranza senza soglia minima mediante l’escamotage del ballottaggio a livello nazionale. Il Governo ha ignorato gli appelli dei più eminenti costituzionalisti e specialisti del diritto. Per fortuna siamo arrivati alla Corte costituzionale prima di eleggere un altro Parlamento con una legge elettorale illegittima”.
Ed ecco la richiesta del Comitato contro l’Italicum.
“Ora c’è da sperare di non essere costretti a ripescare l’iniziativa referendaria sui punti che la sentenza della Corte non ha risolto, per questo occorre che la prossima legge elettorale sia coerente con i principi della democrazia costituzionale. Questo parlamento, che aveva manomesso la Costituzione e approvato un simil porcellum, ora dovrebbe con uno scatto di orgoglio approvare una legge elettorale che faccia pulizia degli aspetti che la Corte non ha risolto: essenzialmente premio di maggioranza al 40 % che si aggiunge alla soglia di sbarramento e una quantità veramente eccessiva di nominati dall’alto e non selezionati dagli elettori come i capilista, a cui si deve aggiungere la possibilità di un altro centinaio di deputati eletti con il premio di maggioranza se dovesse scattare”.
Un sistema elettorale proporzionale ed omogeneo per Camera e Senato.
“Il prossimo dibattito sulla legge elettorale deve partire dalla sentenza di oggi, ma proseguire verso un sistema elettorale democratico di natura proporzionale – continua Grandi – . Oggi resta un eccessivo premio di maggioranza in nome della governabilità che sopravanza la rappresentanza. Il Parlamento deve essere lo specchio del Paese, più aperto a tutti gli apporti, se vogliamo riattivare la partecipazione democratica. Occorre restituire agli elettori il diritto di scegliersi i propri rappresentanti, cosa che non è assicurato dalla disciplina che risulta dalla parziale demolizione dell’Italicum operata dalla Consulta. In ogni caso si pone ora con urgenza la necessità che il Parlamento intervenga per rendere omogeneo il sistema elettorale nelle due Camere”.
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