Giustizia
Italia condannata ed assolta dalla Corte Europea di Strasburgo
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha statuito oggi la legittimità delle espulsioni collettive verso la Tunisia effettuate dall’Italia nel 2011 all’indomani della primavera araba. Decidendo il caso “Khlaifia ed altri contro Italia” (domanda n° 16483/12) pur confermando la colpevolezza dell’Italia per la detenzione di migranti giunti nel Paese, ne ha attenuato la condanna per molti altri aspetti del loro trattamento.
I fatti
Il ricorso ai giudici di Strasburgo era stato presentato il 9 marzo 2012 da tre cittadini tunisini, Saber Ben Mohamed Ben Ali Khlaifia, Fakhreddine Ben Brahim Ben Mustapha Tabal e Mohamed Ben Habib Ben Jaber Sfar, rispettivamente di 33, 29 e 28 anni che nel settembre 2011 erano immigrati con altri con un’imbarcazione di fortuna verso l’Italia. La Guardia costiera intercettò il naviglio e lo scortò a Lampedusa. I tre migranti tunisini furono trasferiti preso un centro di prima accoglienza nella contrada Imbriacola e furono identificati. Il 20 settembre scoppiò una rivolta per le condizioni di sovraffollamento ed il centro fu dato alle fiamme. Gli occupanti vennero trasferiti in un impianto sportivo. I tre però evasero la sorveglianza della polizia e raggiunsero il nucleo abitato di Lampedusa dove si unirono ad altri 1.800 migranti in una manifestazione che sfilò per le vie cittadine. La polizia li fermò nuovamente e li ricondusse al centro di accoglimento da dove vennero poi trasferiti all’aeroporto per essere portati il 22 settembre a Palermo e venire imbarcati, rispettivamente uno sulla Vincent con più di altre 190 persone e gli altri due sulla Audace con circa altri 150 migranti, lasciate all’ancora. Dopo qualche giorno, alla fine di settembre, furono fatti sbarcare e ricondotti all’aeroporto per essere rimpatriati in Tunisia. Prima del volo il Console tunisino li visitò raccogliendone le identità in conformità ad un accordo bilaterale concluso nell’aprile dello stesso anno.
Dopo il rimpatrio collettivo una serie di organizzazioni anti-razziste attaccarono l’Italia per come i migranti erano stati trattati sulle navi a Palermo. L’1 giugno 2012 il giudice delle indagini preliminari palermitano fece però cadere le accuse per eccesso di potere ed arresto illegittimo. D’altronde il giudice di pace di Agrigento nel caso di due altri migranti che si erano visti notificare un rifiuto all’ingresso ed avevano presentato ricorso aveva annullato i provvedimenti. Nella decisione il magistrato registrava che gli ordini censurati erano stati adottati dopo giorni dall’ingresso degli interessati nel territorio italiano, ed anche se la legge non prescrive un termine i provvedimenti avrebbero dovuto invece essere disposti in tempo ragionevolmente più breve dopo l’identificazione, altrimenti si consentiva di fatto l’instaurarsi di un regime di detenzione senza decisione giudiziaria.
Assoluzione
La Corte Europea adesso non solo ha confermato che non c’è stata violazione nelle condizioni di detenzione dei migranti sulle navi all’ancora a Palermo ma, rivedendo in parte il suo giudizio precedente, ha statuito che all’Italia non sono neppure imputabili violazioni nelle condizioni umanitarie di trattamento nel centro di prima accoglienza di Lampedusa. L’Italia è stata anche assolta dall’accusa di non aver ottemperato alla convenzione sui diritti dell’uomo nella procedura di rimpatrio collettivo; durante le procedure di identificazione i ricorrenti sarebbero stati in condizione di sollevare obiezioni alla loro espulsione. Neppure la mancanza di un procedimento contro l’espulsione con effetto sospensivo per i giudici viola di per sé il trattato, quando il richiedente non individua i rischi reali cui incorerebbe nel Paese di rimpatrio e non chiede formalmente asilo.
Condanna
La Corte di Strasburgo ha però ribadito all’unanimità che l’Italia è colpevole per aver privato i migranti della libertà senza una base legale chiara ed accessibile, idonea a proteggerli da abusi arbitrari. Nell’emettere i provvedimenti di rifiuto all’ingresso nel Paese, non ha neppure fornito loro alcuna ragione sui motivi di detenzione, né li ha altrimenti informati in modo tempestivo. Parimenti censurabile per i magistrati è che l’Italia non abbia chiarito loro come potersi rivolgere all’autorità giudiziaria per una decisione sulla legittimità del loro arresto.
La Corte, in composizione allargata a 17 giudici su richiesta avanzata dal Governo italiano, ha quindi statuito a 15 voti contro 2 (il giudice italiano Guido Raimondi ha depositato un parere concorrente ed il collega russo Dmitry Dedov un’opinione discordante) che l’Italia dovrà versare a ciascuno dei tre ricorrenti 2.500 euro a titolo di danni non pecuniari; ed all’unanimità che l’Italia dovrà pagare collettivamente ai ricorrenti 15.000 euro per le spese della procedura.
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