Calcio
Il processo di Calciopoli finisce in prescrizione. Ma il calcio è un’altra cosa
Prescrizione. Non è il primo e purtroppo non sarà l’ultimo processo in Italia che si chiude cosi. Dodici lettere e un nulla di fatto che lasciano l’amaro in bocca e un senso di ingiustizia che fa cantare vittoria per un’assoluzione che in realtà non è mai arrivata. Da Andreotti a Berlusconi, fino a Moggi e Giraudo, la storia giudiziaria del nostro Paese è colma di casi noti o meno noti, di politici, imprenditori e uomini della classe dirigente che ne hanno approfittato per uscire sempre illesi (e non assolti) dalle aule di giustizia. E intanto la proposta di legge anti corruzione presentata dal Presidente del Senato Pietro Grasso, che dovrebbe allungare i tempi di prescrizione ha compiuto due anni, naufragata nei meandri di un Parlamento che ha paura di approvarla veramente, ostacolata apertamente nella stessa maggioranza da un “Nuovo” centro destra che è vecchio come il dramma nazionale che non ha voglia di risolvere.
E se è vero, come è vero, che il calcio è lo specchio di un paese allora ecco che anche in questo mondo non poteva mancare il caso di un processo finito nel nulla. Associazione a delinquere, ma la condanna non è eseguibile. Nove anni fra indagini e processi finiti con la faccia di Moggi in prima pagina a chiedere le scuse di un calcio italiano che lui stesso ha rovinato. Ci abbiamo fatto l’abitudine e neanche più ci scandalizza, ma da adesso dobbiamo abituarci anche a pensare che il calcio non è più un rettangolo verde e 90 minuti di passione in una domenica d’inverno, ma l’ennesima macchina da soldi manovrata dal più marcio dei sistemi. Che come al solito ne esce indenne, ma sempre più marcio.
Come conferma infatti la Corte di Cassazione dopo otto ore di dibattito i reati sono confermati. Senza girarci troppo intorno il processo nato da un’inchiesta della procura di Napoli nel 2006, ha dimostrato che più di un campionato italiano di calcio è stato falsato pilotando le designazioni degli arbitri in modo da favorire una squadra in particolare: la Juventus. L’associazione a delinquere c’è, ma è prescritta e sia Moggi che Giraudo non sono assolti, ma non condannabili. Con tanti saluti a chi ogni maledetta domenica finanzia un sistema che lucra sulle passioni degli italiani e soprattutto con tanti saluti al calcio, quello vero. Il più popolare fra gli sport, violentato nelle aule di giustizia e dai barbari di piazza di Spagna. Umiliato da uno Stato che se ne infischia di Calciopoli, ma che svuota gli stadi con la tessera del tifoso.
Perché il calcio è e sarà sempre un’altra cosa. “Il calcio è felicità, gioia di vivere. Il calcio è il riso con i fagioli” diceva l’ex calciatore di Roma e Sampdoria Toninho Cerezo. Il calcio è popolare perché è gioia, in grado di unire indistintamente le classi sociali in un’unica passione. Il calcio non è e non sarà mai dei vari Moggi, il calcio è di chi sogna: è un murales di Maradona nella periferia di Napoli, simbolo di una città che soffre ma che ha gioito e sognato per uno scudetto che l’ha portata per una volta sul tetto d’Italia, è le lacrime degli emigrati italiani a Dortmund nel 2006, che aspettano il pullman della Nazionale che ha appena eliminato la Germania, è la Grecia del 2004 e il Brasile di Pelè. Il football è la più semplice fra le rivoluzioni, è libertà e creatività come diceva Bob Marley: “Se non fossi diventato un cantante sarei stato un calciatore … O un rivoluzionario. Il calcio significa libertà, creatività, significa dare libero corso alla propria ispirazione”. E fra tutte le rivoluzioni generate da un pallone la più bella è quella di divertire e far sognare ad occhi aperti anche quando sembra impossibile ad occhi chiusi. Il calcio è un bambino sud americano della pampa argentina che sogna di diventare come il nome e il numero 10 che ha sulla maglietta, o un bambino di una favela brasiliana che ritrova il sorriso con un pallone e due porte arrangiate sulla spiaggia di Rio o del suo coetaneo fra il degrado di una periferia di Roma, che esulta con il dito in bocca come Totti in un campo di terra di una scuola calcio. Fra tutte le citazioni quella che preferisco è quella di Jorge Luis Borges: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio” e finchè sarà cosi non c’è Calciopoli che tenga. Il vostro business non lo ucciderà mai.
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