Giustizia
Il governo non cancella il reato di clandestinità: ma il Pd diceva il contrario
Il reato di clandestinità è ancora in vigore. Al contrario di quanto promesso dal Partito democratico, che lo aveva paragonato alle «leggi razziali» e definito un «obbrobrio giuridico», la norma non è stata cancellata. Il governo non ha infatti esercitato la delega assegnata nel 2014 per abrogare il reato. I proclami – con tanto di titoloni – di 18 mesi fa sono finiti nel dimenticatoio, proprio perché l’esecutivo non ha presentato il decreto delegato che avrebbe attuato la cancellazione.
La scadenza era fissata per il novembre 2015, ma il governo ha preferito – in sordina – far decadere la questione, con l’obiettivo di rimandarla nuovamente alle Camere. Quindi oggi un giudice può condannare penalmente un migrante non munito del permesso di soggiorno, avendo la legge dalla sua parte. Tanto che la commissione Giustizia della Camera – il 3 dicembre scorso – ha bacchettato il governo, chiedendo di trasformare «in illecito amministrativo il reato di immigrazione clandestina previsto dall’articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero».
Eppure il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, quando era all’opposizione, sosteneva: «Bisognerebbe cancellare un obbrobrio giuridico come il reato di immigrazione clandestina, che criminalizza uno status e non un comportamento». Il Guardasigilli aveva rilanciato l’idea che l’abrogazione della legge avrebbe comportato «un risparmio di risorse, giudiziarie e amministrative», producendo «anche effetti positivi per l’efficacia delle indagini in materia di traffico di migranti e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Adesso l’orientamento è cambiato: Orlando ha rispedito la palla al Parlamento. «È un tema caldo, ne discutano Camera e Senato», ha sentenziato. Omettendo che le Aule si erano già espresse, dando la delega al governo.
Non è da meno Dario Franceschini, attuale componente del governo in quando ministro della Cultura, che aveva paragonato il reato di clandestinità alle «leggi razziali». «È il prezzo che il governo paga alla Lega ed è un danno per il Paese. Indebolisce l’immagine già lesionata dell’Italia», affermò dopo l’approvazione della norma voluta fortemente da Roberto Maroni. Oggi a Palazzo Chigi c’è però un presidente del Consiglio leader assoluto del Pd, mentre la Lega è all’opposizione. Ma Franceschini non parla più di lesioni all’immagine italiana.
Più soft era stata la posizione di un altro esponente del Pd, Sandro Gozi, attuale sottosegretario con delega agli Affari europei. «Sin dall’inizio, da quando cioè Maroni presentò il reato nel pacchetto sicurezza, avevamo denunciato l’evidente violazione delle norme europee e sono due anni che chiediamo al governo di recepire la direttiva Ue sui rimpatri». Ma senza interventi legislativi la questione resta aperta. Compresa la violazione del quadro normativo europeo.
«L’unico fatto certo è che la normativa resta un vigore sprecando ingenti risorse pubbliche per imbastire indagini, pagare polizia giudiziaria, pubblici ministeri, cancellieri e magistrati, ingolfando inutilmente le aule giudiziarie», accusa Andrea Maestri, deputato iscritto al gruppo Alternativa Libera-Possibile. E c’è un ulteriore dilemma. «Alcuni giudici hanno assolto degli imputati ritenendo valido il volere del legislatore che aveva votato la legge delega per l’abolizione del reato. Insomma, si è creata una grande confusione», conclude Maestri.
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