Giustizia

I “signori dei voti”. La polimafia al Nord

8 Maggio 2019

Nell’inchiesta giudiziaria di questi giorni che sta coinvolgendo alcuni politici della Regione Lombardia, emerge dalle cronache la funzione decisiva che assume il politico spesso di secondo piano o nell’ombra che come scrive “Il Post”  è detto il “signore dei voti”. È questa una figura, si diceva,  defilata e di secondo piano per noi cittadini comuni, ma per i politici che ambiscono a cariche pubbliche importanti è un personaggi strategico, spesso decisivo. Costui, come  altri suoi pari,   è “possessore” di un pacchetto di voti che per il politico sono manna dal cielo.  Com’è che queste persone riescono a controllare o a possedere questi pacchetti di voti? Questo è il punto, perché è quello che sta alla base del castelletto della connection politica e mafia.

Il dato da cui bisogna partire  e su cui si  sorvole troppo spesso è che se c’è qualcuno che  possiede, controlla o “compra” voti,  ci devono essere elettori che li offrono o li vendono. Questo è il fenomeno centrale da mettere a fuoco. Le cosche mafiose calabresi o di altre mafie sono riuscite a esportare al Nord un modello politico-imprenditoriale-mafioso che per brevità chiamiamo “polimafia”, già ampiamente collaudato al Sud e che sta soffocando o ha già soffocato di fatto la democrazia in almeno tre ragioni italiane (Campania, Calabria, Sicilia). La polimafia gioca su tre fronti: l’acquisizione e la gestione del consenso elettorale; la negoziazione con il mercato politico dei voti controllati; l’ottenimento di appalti grazie al condizionamento delle macchine amministrative o grazie al politico che è sceso a patti con il crimine che quelle macchine dirige o controlla.

Ma questo è un aspetto del voto di scambio, quello apertamente criminale. Ovviamente esiste questo voto di scambio criminale perché esiste il voto di scambio tradizionale, quello clientelare. Il voto di scambio con risvolti criminali non si sovrappone a quello di tipo tradizionale, essendone in qualche modo una sua evoluzione diciamo così gangsteristica . In altri termini: il voto di scambio criminale è sicuramente voto di scambio clientelare, ma non tutto il voto di scambio clientelare evolve in voto di scambio negoziato in ambito criminale.

Partendo dalla premessa che la politica è ad un tempo  coniugazione di valori e negoziazione di interessi (bravo chi riesce a dirimere lo stretto intreccio!) ci chiediamo: come avviene, nella fenomenologia sociale concreta, questo processo della raccolta e della negoziazione del voto di scambio? Premesso ancora che il voto si polarizza o verso la componente ideale e valoriale o verso quella materiale e dell’interesse, si danno grosso modo due tipi di voto: quello di opinione, puro, neutrale, ideale, e quello di scambio che può andare da quello assolutamente legittimo in cui la componente ideale è ridotta al minimo (io in quanto aderente a una corporazione o anche facente parte un gruppo di semplici portatori di interesse, negozio legittimamente il mio interesse particolare con un politico che mi rappresenta) fino a giungere a un vero e proprio voto di scambio, in senso stretto, in cui affido il mio consenso a un politico in cambio di promesse concrete e di favori futuri. È inutile aggiungere che una società è tanto più libera quanto più esprime voti di opinione (sempre negoziabili e sempre ritirabili essendo non vincolati né il votante né il votato), mentre una società è sempre più condizionata quanto più esprime voti di scambio (che incardinano il votante e il votato in un rapporto reciprocamente vincolante di clientela in cui solitamente prevale un interesse particolare e immediato di un gruppo ristretto).

Orbene, la mia osservazione partecipante di “alunno del sole” trapiantato da decenni nelle brume lombarde, mi ha portato ad osservare (nel mio comune dell’hinterland milanese innanzitutto e altrove nel lecchese dove ho lavorato alcuni anni), consistenti  gruppi di “alunni del sole” (seppur non allo stato puro per via di numerosi matrimoni misti)  che occorrerebbe studiare con i vecchi metodi della sociologia “sul campo” (vedi per intanto, riguardo uno specifico comune siciliano,  il libro di Giuseppe Virciglio, Milocca al Nord: una comunità di immigrati siciliani ad Asti,  Franco Angeli, Milano 1991 o la vecchia indagine  etno-antropologica a cura di Charlotte Gower Chapman, Milocca, a sicilian village, pagg. 256 – Ed. 1973, la quale Charlotte Gower, dopo aver trascorso un anno (1928) tra i siciliani nella comunità di Chicago, continua i suoi studi etnici ed antropologici per 18 mesi nel villaggio di Milocca (ora Milena), in Provincia di Caltanissetta, a seguito di incarico ricevuto dall’University of Chicago).

Il libro della Gower Chapman anticipa, nel metodo di indagine, quel celebre studio di Edward C. Banfield sul familismo amorale (Edward C. Banfield – Le basi morali di una società arretrata – , Il Mulino, Bologna 2008, titolo originale A moral basis of a backward society) che da allora diventerà capitale per chiunque voglia intraprendere studi sul sostrato mentale-culturale di una specifica popolazione. Questi tipi di studi partono da indagini sul campo e si avvantaggiano del metodo della cosiddetta “osservazione partecipata”, cioè l’osservazione diretta dei costumi di una determinata popolazione in un determinato contesto sociale. Ovviamente non è un’osservazione ingenua ma assistita da alcuni a priori, come in ogni processo di conoscenza avviene.

Ora, ipotizziamo che la Gower Chapman o Eduard Banfield  facciano un sopralluogo, in un piccolo comune lombardo o in un quartiere di Milano,  per  studiare la comunità di “alunni del sole” ivi emigrati. E supponiamo che vi trovino un gruppo di immigrati omogenei dal punto di vista mentale-culturale (istruzione, acculturazione, inclinazioni comportamentali) sostenuti dal principio del familismo amorale che secondo la celebre formulazione di Banfield suona così: ognuno agisce nella sfera sociale cercando di

massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare, supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo.

In altri termini il familista amorale secondo Banfield sviluppa comportamenti non community oriented, ha sfiducia verso la collettività e non è disposto a cooperare con gli altri se non in vista di un proprio tornaconto. Il contrario del familismo amorale è, giova dirlo, la civcness, il senso civico, ossia avere orizzonti collettivi proiettati oltre il bene individuale o della propria famiglia.

Più interessanti sono i corollari ricavati da Banfield dalla legge generale del “familismo amorale” e che tornano al caso nostro. Essi sono il punto 12.

Il familista amorale si serve del voto per ottenere il maggior vantaggio a breve scadenza. Per quanto egli possa avere idee ben chiare su quelli che sono i suoi interessi a lunga scadenza, i suoi interessi di classe, o anche l’interesse pubblico, questi fattori non influiscono sul voto, se gli interessi immediati della famiglia sono in qualche modo coinvolti.

Il punto 14.

In una società di familisti amorali l’elettore ha poca fiducia nelle promesse che gli vengono fatte dai partiti. Egli dà il voto in cambio di benefici già ricevuti (nell’ipotesi, naturalmente, che esista la prospettiva di riceverne altri per il futuro) piuttosto che per vantaggi promessi.

Il punto 16, invece pecca di notevole ingenuità e chiede di essere aggiornato alla luce delle inchieste che stanno riguardando tutti i fenomeni del voto di scambio. Esso recita:

Sebbene gli elettori siano disposti a vendere i voti, in una società di familisti amorali non esisterà una stabile e solida macchina politica, per tre motivi: a) essendo la votazione segreta, non c’è modo di controllare se chi è stato pagato per votare in un certo modo lo faccia poi effettivamente [ipotesi non vera: alcune inchieste ai tempi delle preferenze hanno dimostrato il contrario. Ndr]; b) un’organizzazione di questo tipo non offre sufficienti vantaggi immediati perché qualcuno impegni in essa energie e capitali; c) come abbiamo spiegato sopra, in ogni caso è difficile dare vita e mantenere organizzazioni formali di qualsiasi tipo.

Ora, appare evidente che se io sono in grado di dialogare, seppur nel tipico spazio politico della negoziazione degli interessi, con una folta comunità omogenea di “paesani”, riesco già a controllare, facendo leva sul familismo amorale, un pacchetto di voti di cento famiglie che moltiplicato per una media di tre-quattro componenti (famiglia numerosa o patriarcale allargata) “cuba” tre-quattrocento consensi. Con questo semplice mezzo della comunicazione interfamiliare o attingendo nel più vasto giro dei “compari” e dei paesani,  io mi sono assicurato già un pacchetto di voti che posso negoziare in qualsiasi momento. Andiamo al passo successivo.

Cosa chiedono i “miei” elettori? Non diritti ma favori, o meglio quei favori che nei fatti travolgono i diritti altrui, favori che bordeggiano le regole o le infrangono addirittura. Da questa semplice base elettorale la successiva elezione corredata da incarichi (saranno prescelti quelli relativi ai bisogni primari: la casa, l’urbanistica, l’assistenza, i servizi sociali) può e solitamente lo fa, allargare la mia base elettorale al di là del nucleo familista originario. Insomma sono diventato una potenza elettorale cui nessun politico (anch’esso amorale, anzi immorale) può fare a meno, perché non è con le opinioni che si raccolgono i consensi ma con i voti sonanti, e i voti come il denaro non puzzano   e per il politico sotto elezioni sono come la “roba” per il tossicodipendente.

Da qui il salto successivo alla negoziazione in ambito criminale il passo è breve, ma qui il vostro sociologo improvvisato lascia la penna ai magistrati, i quali chiariranno gli aspetti fattuali della connection tra nuclei criminali>signori dei voti>politico>corruzione>appalti di ritorno per il crimine.

 

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