Giustizia
Fideiussioni nulle – nuova sentenza della Cassazione: Riflessioni e criticità
La Cassazione è di recente ritornata ad esprimersi sul delicato tema della sorte delle fideiussioni, stipulate tra banche e clienti, redatte su formulari che richiamano, in modo più o meno, conforme lo schema predisposto ed emanato dall’A.B.I. e lo ha fatto con la sentenza del 26.9.2019 Num. 24044 ( allegato 1) (Presidente: BISOGNI GIACINTO Relatore: TRICOMI LAURA).
Come noto il Provvedimento n. 55/2005 ( allegato 2) della Banca d’Italia, su parere dell’AGCM ( allegato 3), ha accertato e dichiarato la sussistenza di un contrasto fra le clausole contenute negli articoli 2, 6 e 8 del modello standard A.B.I., con l’art. 2 comma 2 lettera a) della L. 287/1990 “ nella misura in cui venivano applicate in modo uniforme”.
Nel caso di specie il ricorso in Cassazione è stato presentato dai fideiussori ed ha avuto ad oggetto una decisione della Corte d’Appello di Napoli, pronunciata in controversia concernente l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da una banca, relativamente ad un credito di euro 651. 976,75= maturato a titolo di saldo del residuo mutuo chirografario di euro 1.000.000,00=.
I fideiussori appellanti avevano eccepito la nullità delle fideiussioni deducendo che le dichiarazioni fideiussorie, predisposte unilateralmente dalla banca e sottoscritte in forma di negozio unilaterale in data 8/7/2013, erano nulle perché riproducevano le Norme Bancarie Uniformi, da qualificarsi come intese illecite ex art.2 della legge n.287/1990, con l’effetto che la nullità delle intese si ripercuoteva sugli atti negoziali (le fideiussioni ) nei quali erano state, pedissequamente recepite.
“Perché la Corte d’Appello ha disatteso l’eccezione di nullità totale delle fideiussioni, per contrarietà alla legge anti trust nr .287/1990?”
La Corte territoriale ha respinto l’appello, perché ha ritenuto “Nel caso in esame, sebbene effettivamente nel contratto di fideiussione stipulato tra gli appellanti e la (….) .siano presenti le clausole sopra riportate (2, 6 e 8) riproducenti nella sostanza il contenuto delle clausole ABI, dichiarate illegittime dall’Autorità Garante, tuttavia la nullità delle stesse non può condurre ad una declaratoria di nullità dell’intero contratto, in mancanza di allegazione che quell’accordo, in mancanza delle dette clausole, non sarebbe stato concluso. Ne consegue che, benché le clausole 2, 6 e 8 del contratto di fideiussione siano nulle, il contratto è tuttora valido ed esistente tra le parti.”
“Per quale motivazione la Corte di Cassazione non ha accolto il ricorso dei fideiussori?”
Gli Ermellini hanno ritenuto inammissibile il motivo di doglianza dei fideiussori, secondo cui la Corte di Appello nell’esaminare l’eccezione di nullità della fideiussione si sarebbe concentrata solo sul parere dell’Autorità Garante, che aveva riconosciuto la violazione dell’art.2 della legge n.287/1990 esclusivamente per le clausole n.n.2, 6 ed 8 delle NBU, ponendo a fondamento della decisione “una prova documentale palesemente diversa da quella valorizzata dagli attuali ricorrenti”, laddove essi avevano ricondotto l’eccezione di nullità all’ordinanza di questa Corte n.29810/2017, che – a loro parere – aveva qualificato le Norme Bancarie Uniformi ABI in materia di fideiussione in toto come “intese vietate” perché contrarie all’art. 2 della legge n.287/1990.
Per la Cassazione, invece l’ordinanza n.29810/2017 ( della stessa Corte), era solo espressione di un decisum che non poteva assumere alcuna efficacia probatoria nel giudizio di merito, anche perché è stata resa tra parti del tutto diverse dai ricorrenti attuali.
Anche la seconda doglianza dei fideiussori, è stata rigettata dalla Cassazione. Il motivo in parola si basa sul fatto che a parere dei ricorrenti, la Corte di appello ha errato nel valorizzare il Provvedimento n.55 del 2/5/2005 della Banca d’Italia, che limitava la lesività anticoncorrenziale esclusivamente alle clausole 2, 6 ed 8 della NBU, nel caso in cui non fosse emerso che in mancanza di quelle clausole il contratto non sarebbe stato concluso (art.1419, primo comma, cod. civ.); secondo i ricorrenti, dall’ordinanza n. 29810/2017 si evince, invece, che la nullità delle NBU, qualificate come intese illecite e vietate dall’art.2 della legge n.287/1990 , travolge l’intero contratto fideiussorio.
Tuttavia la conclusione a cui giunge la Suprema Corte con il provvedimento in commento, è quello di ritenere, in proposito, agli effetti della nullità di un’intesa, tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, che non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti.
Per cui, anche in presenza di un contratto di fideiussione che contenga le clausole dichiarate nulle dalla Banca d’Italia nella sua veste di Autorità garante del libero mercato, queste non inficiano l’intero contratto, piuttosto dovranno essere ritenute nulle, le singole clausole anticoncorrenziali, ex art. 1419 comma 1° c.c.; in tal caso si parlerà di nullità parziale, salvo il caso che le singole clausole comportino la nullità del contratto solo se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza la parte colpita da nullità. Sul punto gli Ermellini pur riconoscendo il contrasto alla normativa antitrust e dunque a principi di diritto pubblico economico, ritengono, richiamando la Cass. Sez. U. 2207 del 20/2/2005, di inquadrare la violazione in un’ottica essenzialmente risarcitoria ( e non di neutralizzazione o rimozione del vincolo contrattuale).
Invero una prima pronuncia che si è orientata in tal senso è stata l’ordinanza del Tribunale di Verona del 01.10.2018 ( est. Dott. Vaccari), in cui il magistrato, a fronte dell’eccezione di nullità reclamata dal fideiussore opponente al D.I., concede la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo richiesta dalla banca opposta. Sul punto il Tribunale veronese così afferma: “ non è sufficiente che egli ( il fideiussore opponente) alleghi la nullità della intesa medesima ma occorre anche che precisi la conseguenza che tale vizio ha prodotto sul proprio diritto ad una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti”.
Inoltre, citando la SSUU n. 2207/2005, il dott. Vaccari ritiene, sulla base della normativa contenuta nel D.Lgs 3/17, che al consumatore, vada riconosciuta, ai sensi dell’art. 33 della legge 287/90, solo una tutela risarcitoria, sempre se è provato l’effettivo pregiudizio: “ Nessuno accesso si rinviene in tale testo normativo ad una tutela reale del soggetto danneggiato dalla intesa restrittiva della concorrenza”.
Eppure il ragionamento espresso nella sentenza della Cassazione in commento e da alcuni Tribunali come quello di Verona o quelli di Treviso ( n. 1623 del 16.7.18; 1632/18 del 30.7.18), apre le porte a critiche e riflessioni sull’argomento.
Invero sembra che non si tenga affatto conto che se pur sia acclarata e provata la violazione, anche mediante un provvedimento dell’autorità competente, vi è la sussistenza della presunzione del danno ( sul punto si richiama la Cassazione civile del 28.5.14 n. 11904).
Segnatamente poi, in merito all’inesistenza della tutela reale che porterebbe a negare la nullità del contratto, perché così deciso dalla SSUU 2207/2005 e così stabilito dal D.Lgs 3/2017, va ricordato, che la predetta sentenza ha avuto ad oggetto un giudizio che si è focalizzato solo su una domanda risarcitoriaa fatta valere innanzi al giudice di pace, ma non sono stati affatto presi in considerazione o analizzati, sotto il profilo della nullità, i contratti “ a valle”, se non in un’ottica esclusivamente risarcitoria.
Al fine di eliminare il dubbio secondo cui la nullità di cui fa riferimento l’art. 33 non sarebbe una nullità che colpisce “il contratto”, ma l’intesa, per cui solo questa sarebbe nulla, ma l’effetto civilistico sui contratti a “valle” sarebbe solo quello di un riconoscimento di natura risarcitoria che non rimuove il vincolo, sul punto si richiama un fondamentale passaggio del ragionamento riportato, nella più volte citata sentenza a sezioni unite della Cassazione n. 2207/2005, secondo cui, l’intesa a monte non è affatto scindibile dal contratto che la attua a valle; va da sé che la nullità del contratto “a valle” non è derivata dalla intesa illecita, ma il contratto è esso stesso nullo in quanto è di per sé parte dell’intesa illecita, e la nullità è determinata proprio dal fatto che ne fa parte: “Il consumatore, che è l’acquirente finale del prodotto offerto al mercato, chiude la filiera che inizia con la produzione del bene. Pertanto la funzione illecita di una intesa si realizza per l’appunto con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente. E ciò quale che sia lo strumento che conclude tale percorso illecito. A detto strumento non si può attribuire un rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacchè il suo collegamento funzionale con la volontà anticompetitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile”.
Inoltre e, qui emerge l’essenza dell’art. 33 L. 287/90, la cosa importante “ è di togliere alla volontà anticoncorrenziale “ a monte” ogni funzione di copertura formale dei comportamenti “ a valle”. E dunque di impedire il conseguimento del frutto della intesa consentendo anche nella prospettiva risarcitoria la eliminazione dei suoi effetti”.
Va escluso dunque una uniformità di trattamento e/o di ragionamento. Eppure la giurisprudenza comunitaria, in riferimento alle conseguenze civilistiche derivanti dalle accertate nullità dei contratti “a monte”, che travolgono i contratti “a valle”, determinandone la nullità totale dell’intero contratto, sono plurime, a tal proposito si cita la Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 14.12. 1983 n. C391/82. Inoltre con la sentenza del 30.6.1976 causa n. 56/65 la Corte di Giustizia ha affermato che solo le clausole di un accordo che violano il divieto di intese anti-concorrenziali sono colpite “ dalla nullità ad ogni effetto”.
Ciò detto, non si condividono i percorsi argomentativi presenti nella sentenza Cass. del 26.9.19 nr. 24044 e dei Tribunali di Verona e Treviso sopra citati, che sembrano individuare solo una tutela risarcitoria nel nostro sistema ordina mentale, eppure l’art. 33 della L.287/90, fa espresso richiamo all’accertamento della nullità, per poi prevedere anche il risarcimento del danno, considerato che sia l’art. 2 della normativa antitrust, sia la’rt. 101 del TFUE, parlano di nullità ad ogni effetto, delle intese restrittive del mercato e della concorrenza.
Sulla scia di quanto emerge dalle argomentazioni delle SS.UU 2207/2005, si ritiene che il contratto “a valle” sia una parte essenziale dell’intesa illecita “a monte”, va da sé che vi è dunque spazio per una tutela “reale” che porta alla nullità, del contratto o comunque ( e almeno) delle clausole che sono ( è noto) il manifesto di una violazione di norme imperative, a cui non si può soprassedere o far finta di nulla e a cui consegue anche il risarcimento del danno.
Il riconoscimento, di una nullità derivata o parziale, che porta ad tutela meramente risarcitoria, senza rimozione delle clausole stesse e del vincolo, porterà a mantenere una prassi, che in dispregio alla legge 287/90, è dannosa del mercato e della libera concorrenza. I consumatori/fideiussori, quali utenti finali si troverebbero nella posizione di subire gli effetti i contratti viziati, perché componenti essenziali di quel cartello che ha alterato la libera concorrenza.
Altro motivo discutibile della Cassazione, è quello di aver rigettato il ricorso dei fideiussiori, in considerazione della circostanza che nella valutazione complessiva degli interessi e delle posizioni contrattuali, il fideiussore avrebbe certamente concluso il contratto anche senza quelle specifiche clausole, dal momento che sicuramente sarebbe stato meno penalizzato in loro mancanza; dal canto suo, anche la Banca lo avrebbe concluso egualmente limitandosi al vantaggio garantito dalle norme codicistiche in tema di fideiussione pur di ottenere una garanzia aggiuntiva a tutela del proprio credito, “come avvenuto nel presente caso, laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite.” Questo aspetto attiene all’interpretazione dell’articolo 1419 c.c. 1° comma.
Per gli Ermellini è condivisibile la decisione della Corte di appello, che ha ritenuto di preservare la dichiarazione fideiussoria espungendo le clausole frutto di intese illecite, favorevoli alla banca, in quanto non incidevano sulla struttura e sulla causa del contratto, ritenendo che le stesse non hanno pregiudicato la posizione dei garanti, che risultano meglio tutelati proprio in ragione della declaratoria di nullità parziale
Per cui le clausole oggetto di contestazione, pur sbilanciando il negozio giuridico in favore della banca, non ne alterano di fatto la sostanza, considerato che le parti avrebbero comunque sottoscritto la fideiussione, anche se la libera concorrenza, in tal caso, è evidentemente alterata o ristretta dalla presenza e/o inserimento delle clausole censurate perché oggetti di intesa anticoncorrenziale.
In questi termini, per i contratti di fideiussione frutto di un’intesa anticoncorrenziale, la nullità non avrà alcun effetto reale, qualora la banca non si sia avvalsa di quelle clausole; per l’effetto chi invocherà la tutela risarcitoria, sarà onerato, non solo della prova della sussistenza della condotta anti-concorrenziale ma della sussistenza del danno stesso, che tuttavia dovrebbe ritenersi presunto, stante la prova del provvedimento dell’autorità garante che sanziona l’impresa.
La questione delle fideiussioni, continua, dunque ad alimentare dibattiti e ad incrementare una giurisprudenza, sia di merito, sia di legittimità, contraddittoria e poco lineare che crea molte incertezze.
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