Giustizia
Eutanasia: nuova discussa sentenza in Germania
Una decisione del 2 marzo del Tribunale federale amministrativo di Lipsia (BVerwG 3 C 19.15) in tema di eutanasia attiva -citata anche da Tonia Mastrobuoni su Repubblica- ha sollevato grosse critiche in Germania. La corte ha deciso che i pazienti gravemente ed irrimediabilmente malati abbiano diritto in “situazioni eccezionali estreme”, in virtù dei diritti della personalità previsti dall’articolo 2 della Costituzione tedesca, alla somministrazione di narcotici per suicidarsi in modo indolore. Il Tribunale era stato adito da un uomo di Braunschweig, la cui coniuge malata nel 2004 si vide negare dall’Istituto federale per i farmaci ed i prodotti farmaceutici (BfArM) il diritto di acquistare una dose letale di natrio-pentobarbital per suicidarsi e che nel 2005 per morire si recò in Svizzera nella clinica Dignitas, la stessa dove si è spento DJ Fabo.
La moglie del ricorrente dopo un incidente nel 2002 era rimasta quasi completamente paralizzata lateralmente dal collo in giù e doveva essere aiutata artificialmente a respirare sotto continua assistenza medica con frequenti crampi che le causavano dolori insopportabili. Nel 2006 l’uomo ha iniziato quindi una battaglia legale per vedere affermato giudizialmente in Germania il diritto al suicidio assistito. La sua istanza venne però rigettata sia dal Tribunale amministrativo dei Colonia, che dalla Corte d’Appello di Münster, che ancora dalla Corte Costituzionale, dichiarando che non fosse legittimato ad agire. D’altronde la Corte Europea per i diritti dell’uomo il 19 luglio 2012 aveva sentenziato che sussistesse una lesione dell’articolo 8 della convenzione dei diritti dell’uomo sulla tutela della vita privata e familiare e che egli avesse diritto ad un risarcimento ed a che il caso fosse giudicato dai Tribunali nazionali. Rinstaurato il giudizio in Germania il ricorrente è giunto così al Tribunale federale amministrativo. Quest’ultimo ha ora riscontrato in buona sostanza il diritto di un paziente grave ed incurabile di decidere come ed a quale punto alla sua vita debba essere posto termine purché egli possa formare liberamente la sua volontà ed agire conseguentemente. Per lo stesso tribunale tuttavia in via di principio le disposizioni legali per l’acquisto di farmaci per suicidarsi non possono essere ammesse, ma per il diritto di autodeterminazione in casi estremi devono sussistere eccezioni per persone gravemente ed incurabilmente malate, quando esse abbiano liberamente e seriamente deciso che la loro situazione di vita non sia più sopportabile ed in assenza di alternative di medicina palliativa vogliano porvi termine. Questo però, hanno detto anche i giudici, doveva riscontrarlo il BfArM e non può più farlo ed è quindi impossibile un rinvio del caso alle istanze anteriori.
La decisione del tribunale di Lipsia è dunque lontana da una applicabilità quotidiana. In futuro un funzionario amministrativo nell’Istituto federale per i farmaci dovrebbe decidere se un paziente è un caso singolo così estremo come individuato dalla sentenza da poter richiedere dei narcotici per suicidarsi. Ciò mentre da un lato il dolore insopportabile non può essere definito giuridicamente e dall’altro la stessa decisione comunque lascia immutato il divieto alla vendita di anestetici letali. Anche se va aggiunto che dal 3 marzo per affrontare dolori cronici provocati da malattie come la sclerosi multipla, l’AIDS od il cancro, in Germania è ammissibile la coltivazione di Cannabis sotto il controllo di una Agenzia per la Cannabis e le mutue dovranno pagarne ai loro iscritti l’impiego terapeutico.
Secondo quanto ha riportato la tedesca ARD, all’indomani della pronuncia il Ministro della sanità Hermann Gröhe si è riservato di esaminare attentamente la sentenza, ma è subito intervenuto diffidando le autorità statali dal “fornire aiuto al suicidio” anziché prodigarsi “con aiuto e consigli”; il diritto all’autodeterminazione sarebbe in realtà disatteso senza la contestuale tutela alla vita. Anche l’Ordine dei Medici ha criticato severamente la pronuncia giudiziaria “una simile etica burocratica è irresponsabile” ha dichiarato il presidente Frank Ulrich Montgomery alla ARD. Come possono decidere dei funzionari quando sussisterebbe una “situazione eccezionale estrema” ha polemizzato.
Una branca della medicina cui la stessa sentenza fa richiamo, la medicina palliativa, si dedica a cercare di lenire i dolori delle persone gravemente malate. Il medico è ripetutamente confrontato con aneliti suicidi dei pazienti, ma questo cela spesso, per chi la pratica con convinzione, solo il desiderio di parlare e conoscere possibilità alternative per sostenere la situazione. Scontato quindi che anche le associazioni tedesche per la medicina palliativa si siano distanziate dalla decisione e sostenuto che semmai debba essere ampliata l’accessibilità alla medicina antidolorifica. Per il presidente del comitato etico tedesco, il teologo protestante Peter Dabrock -riporta sempre la ARD- la sentenza rimane applicabile quindi solo ad un caso “singolo estremo” ma non vale a legittimare una prassi di assistenza al suicidio. Medicinali che conducano alla morte per atto amministrativo contraddicono gli sforzi per tutelare la vita.
Il Parlamento tedesco il 6 novembre 2015 ha espressamente vietata la sistematica assistenza al suicidio in forma commerciale come invece ammessa nella vicina Svizzera, sanzionandola nei casi più gravi con la reclusione fino a 3 anni. La legge non è tuttavia diretta a colpire medici che in una situazione difficile agiscano secondo coscienza, quanto piuttosto chi invece promuova ripetutamente e commercialmente il suicidio.
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