Giustizia

Lo so, è dura, ma la prescrizione esiste in tutti i paesi (civili) del mondo

20 Novembre 2014

Il caso Eternit, la tragedia ultradecennale di famiglie che hanno sacrificato le proprie vite al lavoro e all’assenza di scrupoli di un’impresa, è da ieri, di nuovo, sotto gli occhi di tutti. Come al solito in questi casi, la vicenda occuperà le prime pagine dei giornali per qualche ora, scivolerà verso le retrovie col passare dei giorni, e infine scomparirà: dai media, dai pensieri degli italiani che si informano, dalle dichiarazioni dei politici. Non scomparirà invece il dolore e la solitudine dei famigliari che ancora piangono, oltre ai loro cari, uno Stato incapace di promettere e mantenere almeno giustizia dopo, se non ha saputo imporre regole sicure a tutela della salute e della dignità, prima.

In questo quadro, fa una certa impressione come la (al solito: prontissima, empatica, sicuramente efficace nel breve) attenzione di Matteo Renzi si sia concentrata sul tema della prescrizione.  Che è un istituto complicato da digerire, eppure una cerniera di tutela propria di un paese davvero democratico. La prescrizione serve a garantire che, per ogni cittadino, foss’anche colpevole, esiste un tempo limite temporale oltre il quale non può essere processato, giudicato e punito se ritenuto colpevole. Il limite temporale varia in proporzione alla gravità del reato: tanto più è grave la punizione minacciata dalla legge, tanto più sarà lungo il tempo in cui il processo può accendersi. I reati imprescrittibili, tuttavia, sono pochi e gravissimi: a tutela del principio di cui dicevamo sopra. Un principio, a dirla tutta, stabilito dai grandi pensatori che fondarono il diritto penale democratico in Europa. Erano quasi tutti italiani, e il più famoso è stato Beccaria. Che spiegava, più di due secoli fa, che un paese democratico non può tenersi il diritto di giudicare e punire all’infinito i suoi cittadini, fossero anche colpevoli, tanto più se – Costituzione alla mano – dobbiamo presumere che siano innocenti.

Della prescrizione, in questi decenni, nel sistema italiano è stato fatto un uso grandemente distorto, ed è diventata – per chi abbia mezzi di difesa consistenti – un obiettivo della strategia difensiva. Invece di difendersi nel processo contrapponendo argomenti validi all’accusa, chi può tende a difendersi DAL processo  cercando, con tecniche dilatorie, di arrivare alla prescrizione, cioè a un pronunciamento che renda impossibile accertare con una sentenza definitiva la colpevolezza dell’imputato.

Quel che non si dice mai, in questo dibattito, è che i termini della prescrizione italiani sono sostanzialmente in linea con quelli di diversi ordinamenti europei equiparabili a quello italiano. Ci sono differenze, certo, ma la differenza decisiva, quella che dice la nostra inciviltà, non è nelle norme sulla prescrizione, ma nell’indecente lentezza della giustizia italiana. È questa la patologia grave di cui è ammalata la nostra giustizia, e l’alto numero di dichiarazione di prescrizione è solo una conseguenza della mala giustizia, non la causa. È come la febbre, insomma: se non si debella l’infezione continua a venire.

Intervenire sui termini della prescrizione (magari con un decreto legge), senza risolvere il problema della lentezza dei processi – gravissimo, sia per le vittime che per gli imputati – significa scegliere la strada dell’ennesima propaganda che non serve al paese, anzi che gli fa male. Che ha bisogno di riforme pazienti, di combattimenti corpo a corpo con i controinteressi delle burocrazie: insomma, di un cambiamento di verso. Sicuramente più facile è buttare sul tavolo un decreto per allungare i termini della prescrizione dopo aver detto, come ha fatto Renzi ieri: “Non posso accettare che sia il tempo il giudice, che sia il tempo a decidere se uno viene punito o no”. Solo che, purtroppo, questa cosa capita in tutti i paesi civili del mondo, per le ragioni descritte da Beccaria in giù. Trascurare secoli di storia della civilità, preferire la semplificazione alla complessità delle questioni che stanno alla radice della democrazia non va mai bene. Anche perché, i tweet passano, le vittime restano poi sempre sole col loro dolore, e gli obbrobri giuridici restano, invece, e segnano la strada del futuro.

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