Giustizia
Due riflessioni veloci sul caso Riina
Leggo vari commenti sul caso Riina. Diversi di questi sono favorevoli al suo rientro a casa.
L’assunto di base è che non è giusto farlo morire in carcere.
Dando ad intendere che, in carcere, nonostante le condizioni molto critiche, Riina non verrebbe adeguatamente assistito.
Assunto sbagliato, a mio avviso.
Realisticamente, la alternativa per Riina, in questo momento non è tra morire in carcere e morire a casa.
Ma : tra morire nell’ospedale vicino al carcere ( quello di Parma dove è stato ricoverato più volte) e morire a casa.
In entrambi i casi dignitosamente, cioè assistito.
So benissimo che a volte, quando un parente è malato terminale ed è agli sgoccioli, molti insistono per portarlo “perchè muoia nel suo letto”.
Ecco, questa sola possibilità a mio avviso non dovrebbe essere contemplata per Riina.
Ma, per favore, non parliamo di morte non dignitosa se morirà in ospedale, assistito da medici e infermieri ( come tutti i pazienti) e vigilato dalle forze dell’ordine ( come tutti i delinquenti).
L’altra argomentazione che ho letto spesso, a sostegno del reinvio a casa di Riina, è questa : “Mandandolo a casa ci mostriamo superiori a lui, dimostriamo che, nonostante le cose immonde che ha fatto, non siamo al suo livello. E, così facendo, come società, ci dimostriamo più forti di lui”.
Bellissimo discorso.
Peccato che… ci siano le leggi della comunicazione.
E qual è la legge principale della comunicazione?
E’ questa: se un messaggio viene inteso in un modo dalla maggior parte delle persone, poco conta se chi lo ha veicolato aveva intenzioni completamente diverse.
In altre parole : se, oggi, come è possibile constatare affrontando il tema in un qualsiasi bar o tram o sui social, la maggior parte delle persone dice che rispedire a casa Riina sarebbe un segno di debolezza, questo vuol dire che la verità percepita è quella!
Ce lo possiamo permettere?
Con la Mafia?
Oppure tenere alta la guardia nei confronti della criminalità organizzata è più importante del fare ragionamenti “politicamente corretti”?
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