Giustizia
Di sicuro c’è solo che è morto. La strana morte del maresciallo Lombardo
Così il giornalista Tommaso Besozzi titolò il suo pezzo, pubblicato su L’Europeo del 16 luglio 1950, nel quale smentì la versione ufficiale della morte di Salvatore Giuliano .
Quel titolo vale anche per la morte del maresciallo Lombardo perché, dopo ventisei anni, sulla sua misteriosa morte nulla si è più saputo, nulla è trapelato dalle diverse Commissioni Antimafia o dalle numerose inchieste tantomeno dai vani tentativi di giornalisti di tutta Italia di conoscere la verità. Di sicuro, quindi, c’è solo che è morto e che la versione ufficiale ritiene che il maresciallo Lombardo si sia suicidato. Punto e basta.
Tutto inizia, in effetti l’epilogo della vita del maresciallo Lombardo è contemporaneamente l’incipit di una narrazione negata che riguarda la verità sulla sua morte, quando il sottufficiale dei carabinieri, in forza al ROS, il Reparto Operazioni Speciali, viene trovato morto nella caserma “Bonsignore” di Palermo. Era il 4 marzo 1995.
«Mi sono ucciso – si legge in una lettera ritrovata sul sedile anteriore del passeggero a fianco del corpo esanime di Lombardo – per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli che sono tutta la mia vita».
Ma chi era il maresciallo Lombardo?
Era un maresciallo dell’Arma dei Carabinieri che nel 1980 fu messo a capo della stazione di Terrasini e proprio da quella sede diede un contributo importante all’arresto di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993. Può sembrare strano ma, proprio da quella piccola tenenza di provincia, il maresciallo Lombardo aveva un punto di vista privilegiato, da quel territorio che fu governato dal boss, tutt’altro che di secondo piano, Gaetano Badalamenti che i più ricordano solo per l’omicidio di Peppino Impastato e che invece è stato un boss di primo piano tanto che era presente, assieme a Giuseppe Genco Russo, capomafia succeduto a Calogero Vizzini nel controllo della Sicilia centrale e a Gaspare Magaddino, capo della mafia di Castellammare del Golfo, al famoso incontro all’hotel delle Palme avvenuto tra il 12 e il 16 ottobre 1957 e ricordato come il «Summit del Grand Hotel et des Palmes” che fu un importante summit di mafia tenutosi a Palermo tra i capi di Cosa Nostra siciliana e Cosa Nostra Americana, summit durante il quale vennero ricuciti i rapporti tra le due organizzazioni e si discusse l’ingresso dei siciliani nel business del traffico di stupefacenti.
La storia del giovane maresciallo Lombardo è quella di un militare che, dopo aver convinto il boss Tano Badalamenti, allora in un carcere negli Stati Uniti, a tornare in Italia dove, probabilmente, avrebbe sbugiardato il pentito Tommaso Buscetta che aveva accusato Giulio Andreotti di essere un colluso. Ma, bomba a orologeria, qualche giorno prima, l’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando e l’allora sindaco di Terrasini Manlio Mele, avevano accusato, in diretta tv, «pezzi dello Stato» di Terrasini di stare «dalla parte della mafia», chiedendo di indagare «sul comportamento del maresciallo». Trasmissione nella quale Santoro, il conduttore, non permise l’intervento dell’allora generale comandante dell’Arma, Luigi Federici, che aveva chiesto telefonicamente di poter intervenire.
A seguito di quelle parole, la missione in America di Antonino Lombardo venne cancellata, quella missione che avrebbe dovuto portare in Italia Tano Badalamenti e la sua morte procurò il risultato che il Badalamenti non sarebbe più tornato in Italia.
Secondo i familiari, le autorità italiane e l’FBI fecero di tutto per bloccare la testimonianza del boss al processo Andreotti e in altri dibattimenti che lo vedevano coinvolto in Italia. Testimonianze che avrebbero avuto un effetto devastante ossia di demolire una serie di affermazioni del superpentito Tommaso Buscetta, supertestimone sia nel processo Andreotti, sia in quello per il delitto Pecorelli in cui era sempre imputato l’Andreotti. Il primo era in corso a Palermo mentre il secondo a Perugia. Le deposizioni di Badalamenti avrebbero potuto sgretolare due processi ai quali, sia la procura di Palermo sia quella di Perugia, tenevano moltissimo. Processi, peraltro, conclusisi entrambi con due sentenze di assoluzione senza bisogno delle deposizioni di Badalamenti.
Tutto, ma soprattutto questa lettera, fece pensare a un suicidio, dunque. Ma, ammesso e non concesso si fosse trattato di un suicidio, fu troppo presto archiviato come tale. Un suicidio spiegato senza adeguati riscontri scientifici e che fu avvalorato solamente da quella lettera d’addio scritta da Lombardo senza garantirne l’autenticità. Ma si tratta di una lettera sulla quale si sono addensati molti dubbi. Fu veramente scritta da Lombardo? E se così fosse, quando l’avrebbe scritta? Dubbi che non stati mai svelati per quasi ventisei anni.
Ma proprio sulla veridicità di questa lettera e per cercare di rispondere a queste domande i familiari del maresciallo, la figlia Rossella e il fratello Fabio, sono arrivati a una prima risposta. Una risposta che potrebbe, finalmente, dar luogo ad una apertura, badate bene non riapertura perché, di fatto, non sono state eseguite, delle indagini poiché quella lettera, sulla base delle risultanze della perizia eseguita, rappresenterebbe «un esempio di ipotesi di scrittura artificiale. Si tratta di un processo di autocontrollo, più o meno volontario, che determina un bisogno di acquisire e costruire una grafia. Domina il ritmo di strutturazione della forma». Per realizzare la perizia, la famiglia ha consegnato alla dottoressa Valentina Pierro, criminologa e grafologa forense che eseguito la perizia, una serie di documenti scritti di proprio pugno dal maresciallo Lombardo e, proprio dal confronto con questi, emergono differenze tali da aver indotto la grafologa forense a ritenere che la lettera rinvenuta accanto al corpo di Lombardo non sia stata scritta da lui. Si tratta quindi di un falso? E se fosse così, chi l’ha scritta? Chi aveva l’interesse a depistare, questo è il termine giusto, consegnando alla famiglia una lettera falsa spacciandola per autentica?
Una perizia solo oggi? Questa non è la domanda giusta che invece dovrebbe essere “Perché non fu fatta nei giorni immediatamente successivi a quel 4 marzo 1995?” o meglio “Perché non furono eseguite tutte le indagini del caso e tutte le perizie che normalmente vengono effettuate?”. Come Fabio Lombardo ha ricordato nella recente audizione “concessagli” dalla Commissione nazionale Antimafia diretta dal dottor Nicola Morra, non fu nemmeno eseguita l’autopsia tantomeno un esame balistico.
È evidente che si è profilato un quadro artatamente nebuloso sulle “indagini”, mai realizzate e concluse con una richiesta di archiviazione firmata, come ricordato sempre in Commissione Antimafia da Fabio Lombardo, da ben sette magistrati.
A completare un quadro nebuloso d’indagini approssimative, incongruenze, dubbi e misteri, si aggiungono le presunte dichiarazioni di soggetti che furono indicati come testimoni – secondo la ricostruzione fornita dalla Procura – quando in realtà quella sera non si trovavano neppure nella caserma dove avvenne la morte del maresciallo Lombardo.
In una raccomandata datata 17 ottobre 2017 inviata alla Commissione Antimafia, allora presieduta da Rosy Bindi, il figlio, Fabio, chiese di essere ascoltato ponendo una serie d’interrogativi derivanti da azioni da lui intraprese, e mai prese dalla magistratura che al tempo si occupò del caso, come il fatto che, a seguito di un’ analisi, effettuata da un perito balistico, della foto che ritraeva l’ogiva di una cartuccia calibro 9 parabellum, quella che avrebbe provocato la morte del padre, sia risultato che la pallottola non presentava la classica deformazione «a fungo» tipica di un proiettile che impatta contro due ossa piatte del cranio. Al fine di non basarsi solo su un’immagine, il figlio del maresciallo chiese di poter analizzare l’ogiva, ma gli risposto che «il reperto risulta essere mancante».
E ancora, perché nei tabulati non ci sono i dati del traffico telefonico del 4 marzo 1995, giorno della morte del maresciallo? Perché non fu eseguita l’autopsia visto che la procura di Palermo dichiarò che «non ordinò l’autopsia sul cadavere per un gesto di umanità nei confronti della famiglia»?.
A suo tempo, Fabio Lombardo, pubblicò un post su un noto social che fu rilanciato da Romano De Grazia, presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, che al quotidiano “Il Tempo” disse: «La responsabilità etica della mancata autopsia del maresciallo Lombardo, frettolosamente dichiarato morto suicida, è di Gian Carlo Caselli» che all’epoca era procuratore capo di Palermo, il quale, secondo De Grazia, ha anche la responsabilità «sul piano penale», nel senso che aveva «l’autorità per accertare se il maresciallo Lombardo si fosse suicidato o se invece era stato suicidato. Era un suo dovere giuridico».
Analoga delusione ci fu quando Fabio Lombardo chiese, tramite regolare procedura di accesso agli atti, di poter consultare il fascicolo riguardante le “indagini” sulla morte del padre a partire del quale, il giorno 8 luglio 1998, a firma del giudice per le indagini preliminari dottor Giovanni Puglisi, fu accolta la richiesta di archiviazione e ordinò la restituzione degli atti al P.M..
Sulla base di queste, e di altre, evidenze, lo scorso 12 ottobre 2021 l’avvocatessa Alessandra Maria Delrio, su mandato della sua assistita Lombardo Mariarosa, ha presentato un’istanza per la riapertura delle indagini sulla base dell’art. 414 c.p.p., istanza in cui si fa riferimento ad una pec, datata 24 maggio 2021, giunta alla pec tpa38791@pec.carabinieri.it appartenente alla Legione Carabinieri Sicilia, contenente minacce nei confronti dei figli del maresciallo Lombardo in cui legge «Stante un clima di altissima tensione intercorrente tra chi scrive, i Carabinieri di Catanzaro e la sorella dei vostri colleghi meglio specificati: ovvero Fabio e Rossella Lombardo si prega di invitare gli stessi a non effettuare spostamenti da Messina a Catanzaro, perché verrebbero valutati da chi scrive in un ottica di crescente sfida e nocumento alla mia persona. Firmato Dottor Emanuele Tumino».
Il nome del firmatario è probabilmente falso ma inevitabilmente richiama alla memoria un nome e un cognome spesso citati nel caso del fallito attentato all’Addaura del 21 luglio 1989 ossia Emanuele Piazza e il maresciallo Francesco Tumino, l’artificiere che disinnescò, facendone esplodere il timer, la bomba ritrovata sugli scogli, il quale fu indagato ed infine condannato dal gip di Caltanissetta, a seguito di patteggiamento, a sei mesi e venti giorni di reclusione con la condizionale. Il depistaggio continua attraverso le recenti minacce? Chi è il personaggio teme un nocumento alla sua persona?
Nonostante i ventisei anni passati, oggi grazie proprio all’evoluzione tecnologica che ha accompagnato in questi anni i reparti di “Polizia Scientifica” di tutte le forze dell’ordine, è probabile che un’autopsia, una perizia balistica, oltre ovviamente alla perizia calligrafica che è già stato effettuata dalla famiglia, potrebbero finalmente far aprire le indagini relative alla morte del maresciallo Lombardo e far luce sullo strano caso della morte del maresciallo Lombardo.
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