Giustizia
Crocetta, le intercettazioni, «Abbiamo una banca» e ciò che resta del giornalismo
La notizia, nel caso della intercettazione che inguaia Rosario Crocetta, è che manca la notizia. Anzi, diciamolo meglio: l’unica notizia verificabile, nel caso della intercettazione che inguaia Rosario Crocetta, è che manca la notizia, ossia l’intercettazione. Di conseguenza, la notizia è diventata Crocetta stesso, e quindi la sua tenuta politica. Su questo, e non su altro, in questi giorni si sono esercitati politici, commentatori, giornalisti, tutti a discutere di qualcosa che forse non c’è, come se si trattasse di una verità inconfutabile.
E, allora, trascorso l’anniversario della uccisione di Paolo Borsellino – e non sembra un particolare irrilevante il fatto che la vicenda Crocetta inizi dipanarsi proprio alla vigilia di quella ricorrenza – si può provare a fare un primo bilancio, ricostruendo la vicenda soltanto sulla base di quei pochi elementi certi dei quali si dispone, ché in un caso così fumoso come quello apparecchiato dall’articolo dell’Espresso, l’unica salvezza è nella cronaca, unico strumento capace di diradare almeno un po’ della nebbia ch’è ovunque, ingrassata dal rutilante universo tutto politico fatto di ipotesi assunte come fatti accertati. E di fatti accertati, come detto, in questa storia sinora ce ne sono davvero pochi, tanto che forse ci si potrebbe addirittura limitare a constatare che, allo stato delle cose, non è neppure certo che l’intercettazione esista. Ma poiché tutti o quasi hanno preferito ignorare questa circostanza o comunque – aiutandosi con certi ammiccamenti di mestiere – hanno lasciato intendere che quella intercettazione esista e che ci si debba fidare sulla parola come usa tra uomini di mondo, ebbene: sarà necessario, per quanto banale, rimettere in fila i pochi fatti dei quali non si può proprio dubitare e lasciare da parte il resto. E i fatti – premesso che qui si intende discutere soltanto del profilo giornalistico della vicenda, e non quindi del contenuto politico giacché è evidente a tutti come il contenuto della intercettazione rivelata dall’Espresso sia tragico e osceno insieme – i fatti, si diceva, sono i pochi che seguono.
C’è un cronista che afferma l’esistenza di una intercettazione che inguaia Rosario Crocetta e su questo scrive un articolo che l’Espresso decide di pubblicare. Naturalmente, scoppia un pandemonio. La procura di Palermo, però, per quanto la riguarda smentisce l’esistenza di quella intercettazione. Tuttavia ci si chiede se l’intercettazione non possa essere stata disposta da un’altra procura, ma senza risposta. Intanto, l’Espresso conferma il contenuto dell’articolo e, dopo una nuova smentita da parte dei magistrati palermitani, il suo direttore concede una intervista alla Stampa nel corso della quale afferma che «il dialogo esiste ma non fa parte degli atti pubblici, quelli a disposizione delle parti coinvolte». «Il nostro cronista – aggiunge il direttore a proposito della telefonata intercettata – l’ha ascoltata. Poi ha potuto ricopiare la trascrizione». Riassumendo: l’intercettazione non è tra le carte pubbliche e pubblicabili; a quanto si capisce l’Espresso non dispone del file audio e quindi non ha pezze d’appoggio per provare l’esistenza delle telefonata e però decide comunque di dare la notizia. E attenzione: come si vedrà tra poco, il particolare della non pubblicabilità delle carte non è irrilevante ma centrale. Infatti, non siamo di fronte ad uno dei consueti casi di intercettazioni contenute in atti pubblici e a disposizione delle parti che poi finiscono regolarmente sulle pagine dei giornali, sollevando l’inutile e logora indignazione del politico di turno; no, si tratta invece di intercettazioni non contenute in atti pubblici, ed è molto diverso, non soltanto per i profili giudiziari che vengono ad essere richiamati ma soprattutto perché in questi rari casi si pongono questioni ben più serie di quelle, trite e ritrite, relative alla pubblicabilità di intercettazioni trascritte e contenute in atti pubblicabili e sulle quali i giornalisti da sempre e giustamente si battono. Poi, sempre a proposito di fatti, si potrebbe anche aggiungere che nel frattempo si viene a sapere che uno dei cronisti che hanno lavorato all’articolo che inguaia Crocetta, in precedenza aveva lavorato per la Regione siciliana dalla quale era stato allontanato proprio da Crocetta. Ma il particolare poco aggiunge.
Il punto è che, in fondo, la situazione nella quale ci si è venuti a trovare con la pubblicazione di una intercettazione non in atti pubblici e allo stato non pubblicabili e della quale non è neppure possibile verificare la veridicità, non è poi così diversa da quell’altra storia, quella per la quale in molti si erano giustamente indignati, quella vecchia storia di «Abbiamo un a banca». E però la sensazione è che, per una parte del mondo politico e di chi fa informazione, se certi strappi alle regole avvengono ad opera del Giornale allora ci si possa stracciare le vesti a causa di certo giornalismo d’accatto e in nome della democrazia violata, altrimenti, come è accaduto nel caso l’Espresso-Crocetta, è democratica lotta alla mafia e non c’è neppure da chiedersi se il fine giustifichi i mezzi o se invece no. E, al di là delle questioni relative alle violazioni della legge, è evidente che, per chi fa informazione, si pone quanto meno un enorme problema di coerenza e che su questo – almeno su questo – si dovrebbe iniziare a riflettere giacché altrimenti – smarrito il senso delle regole e del mestiere – i giornali diventano davvero soltanto strumenti di lotta politica e non più mezzi di informazione.
Quanto a Crocetta, la sua debolezza e il suo fallimento erano già nelle cose e davvero non serviva una intercettazione perché ciò diventasse evidente. Il suo destino come presidente della Regione siciliana appare infatti segnato già da un po’ a causa della qualità deludente del suo agire politico. Ma questo evidentemente non basta. Non basta in Sicilia, non basta in Italia. Non basta più. La politica è talmente squalificata da essersi da tempo consegnata mani e piedi ad altri poteri pur di regolare qualche conto. E il giornalismo?
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