Giustizia

Confindustria Comix: Giardiello ha sparato perché il Paese non ama i giudici

10 Aprile 2015

Nulla sembra più riconducibile alla “semplice” pazzia umana. Ciò che un tempo avrebbe mosso la matita di Walter Molino, impagabile raccontatore per immagini della Domenica del Corriere, oggi rientra in una speciale categoria, quella di “un certo clima”. Un certo clima è sempre un motivo terzo, laterale ai fatti ma decisivo in essenza, un certo clima è quello che gira intorno e avvelena il pozzo, un certo clima è quello che addirittura arma la mano di una persona che un tempo avremmo liquidato – troppo frettolosamente? – come uno squilibrato, come soggetto non più in possesso di ciò che è necessario per ragionare, come imprenditore che, rovinato dalla propria disinvoltura, vede solo il buio intorno a sè e decide che è arrivato il momento di regolare i conti con tutti quelli che, secondo la sua visione ormai tragicamente deviata, lo hanno portato alla rovina. Sotto questo cielo di piombo, Claudio Giardiello ha offerto una rappresentazione sin troppo plastica della sua esistenza, opzionando le vite degli altri con precisione cristallina e inquietante. Nell’indagare il suo animo, molti hanno pensato che la sua condizione mentale non fosse sufficiente a spiegare quel gesto certamente folle, che ci volesse altro, ben altro, soprattutto perchè lo richiedeva la cornice iconografica: il Palazzo di giustizia di Milano, i giudici, la contrapposizione ventennale a cui non si vuole dare pace, lo scontro politico. Un certo clima, appunto.  Quel certo clima contro i magistrati, per esempio evocato da Gherardo Colombo (opportunamente chiosato da Sergio Scandura qui su Stati) e neppure tanto lontanamente adombrato da Sergio Mattarella ieri di fronte al Csm.

Ciò che non avremmo mai immaginato è che questa visione così approssimativa, così interessata e per certi versi così irresponsabile, appartenesse a Confindustria. La quale ha affidato all’autorevole giornale di famiglia, il Sole 24 Ore, la declinazione di un malessere parallelo, che non potesse essere squilibrio umano in purezza, ma semmai pressione esterna, una pressione esterna che genera quel “certo clima” che avrebbe armato la mano di Giardiello sospingendolo sino alla follia. Uno degli editoriali di prima pagina, infatti, titola «La solitudine dei magistrati» e avverte subito che qui si racconta “un’altra storia, una storia di solitudine qual è quella che circonda la magistratura ormai da tempo e che sta scavando un baratro tra i cittadini e la giustizia. Solitudine istituzionale, professionale e umana, frutto della lenta ma progressiva delegittimazione a opera di una politica che, per questa via, pensa di affermare la propria primazia e di recuperare la credibilità perduta (non solo nelle aule giudiziarie), senza rendersi conto delle ricadute devastanti sulla tenuta democratica del Paese”. Più chiaro di così.

Ma la trama politica, sostenuta da puntuale sceneggiatura storica, partirebbe ovviamente da lontano. Secondo Confindustria, almeno dal «ventennio berlusconiano» che «ha lasciato strascichi pesanti, ma al ricambio politico non è seguito un ricambio anche della sensibilità istituzionale». Chi scrive, ha vissuto il famoso ventennio berlusconiano molto da vicino, ne ha memoria, di cose enormi come Previti, ma anche di cose piccine che solo ai feticisti della materia possono interessare (su questo aspetto della memoria grande e piccola siamo disposti a confrontarci con qualunque cronista del Sole 24 Ore). Ecco, giusto per restare alla memoria grande, in quegli anni tormentati berlusconiani, il cui il nostro imperversava con le sue simpatiche visioni sulla giustizia e i magistrati, non ci ricordiamo di Confindustria. Non ci sovviene davvero nulla, non ci sovviene un intervento alto, un grido di dolore, un allarme politico come si doveva, non ci sovviene uno solo dei presidenti che si sono autorevolmente succeduti alla guida di Viale dell’Astronomia alzarsi sulla sedia, puntare i piedi e urlare al Tiranno: «Si vergogni!». Oggi, a distanza siderale da quei momenti, tocca subire la lezioncina confindustriale.

Non solo. Confindustria ci dice che oggi siamo nella pienissima continuità con la visione del Cavaliere. Nel senso che Renzi sarebbe il pupazzo di riferimento che porta a compimento l’opera del satrapo ormai vecchio e stanco. Lo si può leggere con massima proprietà nell’editoriale di oggi: «Se all’epoca (berlusconiana) l’argine è stato fragile, adesso gli argini sono caduti di fronte all’insofferenza, alla diffidenza, e persino all’irrisione, divenute pane quotidiano servito alla mensa dei giudici. Allora i magistrati erano “politicizzati”, “persecutori”, “antropologicamente diversi”, adesso sono “fannulloni” e “irresponsabili”. Così sono stati additati in occasione, per esempio, del taglio delle ferie e della riforma della responsabilità civile, fomentando un sentimento di estraneità se no, addirittura, di aggressività, rivalsa, vendetta». E qui la sentenza, solenne, agghiacciante: «Quella che ieri ha armato la mano di Claudio Giardiello. Un matto, un delinquente, un assassino, certo. Ma forse anche figlio di una stagione di “solitudini”, da cui bisogna uscire al più presto»

Questo giornale, e noi stessi per le nostre povere cose, si ha per Renzi motivata e giornalistica diffidenza, tipo: pagare moneta, vedere cammello. Per esempio sulla responsabilità civile, dove si è scritto che era riforma doverosa, peccato risolta coi piedi. E su altre mille cose, senza farsi rimbambire dagli annunci. Ma che il presidente del Consiglio sia, in qualche misura (in quale misura, Confindustria?), il continuatore anche un po’ imbelle dell’oscena visione della giustizia da cui era animato il Cav., beh questa è bubbola da fantastiliardi. Potrebbe capirlo anche il Sole 24 Ore, già offrendo ai lettori un modesto parallelo lessicale: le espressioni “persecutori” e “antropologicamente diversi” hanno lo stesso peso, lo stesso valore, di “fannulloni”? Siamo seri, per favore.

E solo a chiusura di pezzo si dirà che qualunque maldestro tentativo governativo di mettere la mordacchia ai magistrati vedrà Stati Generali in prima fila nella difesa del sacro principio di autonomia.

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