Giustizia
Coltivare due piante di marijuana non è reato
La Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 5254/165 depositata lo scorso 8 febbraio, ha stabilito che la coltivazione in casa di due piantine di marijuana per uso personale non costituisce reato: il fatto non sussiste perchè privo della necessaria offensività.
La vicenda prende il via dal ricorso proposto da una coppia condannata per “Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti” ai sensi dell’art.73, d.p.r. 309/1990, per aver coltivato nella propria abitazione, in un armadio trasformato in serra, due piante di canapa indiana e per aver detenuto in un essiccatore 20 foglie della medesima pianta. La Corte d’appello di Trento aveva ritenuto irrilevante la destinazione della sostanza ad uso personale o meno, considerando sempre punibile la condotta di coltivazione e giudicando la condotta della coppia offensiva sul presupposto che il materiale ritenuto raggiungesse la cd. “soglia drogante“, e aveva così emanato sentenza di condanna nel novembre 2013.
Secondo la difesa della coppia, la condotta non avrebbe alcuna attitudine alla lesione del bene giuridico poiché, tra l’altro, nel caso concreto, è indubbia la destinazione al mero uso personale, e per questo avanzarono l’ipotesi di una possibile incostituzionalità, considerata l’introduzione della disciplina della particolare tenuità del fatto, della norma che colpisce sempre e comunque la coltivazione. Per tali motivi la coppia presentò ricorso in Cassazione, che lo ha considerato fondato.
Secondo gli ermellini, infatti, l’interpretazione fornita dai giudici di merito nella loro condanna, secondo la quale la coltivazione di piante per la produzione di sostanze stupefacenti è sempre punibile a prescindere dal suo eventuale uso personale, risulta essere “indubbiamente rigida”, ed a questa deve invece essere opposta una valutazione circa l’esistenza di una ”offensività concreta” della condotta, considerato che su questo tema intervenne anche la Corte Costituzionale, che con la sentenza 139/2014 relativa all’omesso versamento di contributi previdenziali giudicò eccessiva la sanzione penale per “soli” 24 euro omessi, ritenendo che “resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare – alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta – se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati“.
Sulla base di tale principio, la Sesta sezione penale di Palazzo di Giustizia ha riconosciuto la sostanziale inoffensività della coltivazione casalinga di due piantine di canapa, in virtù del suo “conclamato uso esclusivamente personale” e della sua “minima entità”, tale da escludere “la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione” stessa. Spetta dunque al giudice di volta in volta verificare se la condotta contestata sia idonea a porre in repentaglio il bene giuridico protetto, e ciò lascia spazio ad una marcata discrezionalità da parte delle autorità giudiziarie in relazione alle diverse fattispecie sollevate. E infatti, se nell’aprile del 2014 la stessa Sesta sezione penale aveva annullato (come accaduto di recente) la condanna nei confronti di una persona che aveva coltivato nella propria casa due piantine di marijuana di modeste dimensioni, dal momento che tale attività rendeva irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa, circa un mese dopo la stessa sezione ha confermato la condanna nei riguardi di una persona che nella propria casa aveva coltivato tre piante di canapa indiana di grandi dimensioni, precisando che ai fini del giudizio non rileva la quantità di principio attivo di THC, ma “la conformità delle piante al tipo botanico previsto e la loro attitudine (anche per modalità e cura di coltivazione) a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente utilizzabile per il consumo».
Questa sentenza giunge poi in un periodo molto movimentato per quanto riguarda il dibattito parlamentare sul tema, essendo in corso da diverse settimane, in Commissione riunita Affari sociali di Camera e Senato, la discussione su un disegno di legge che mira a riformare la disciplina in materia, segnata dall’abrogazione nel febbraio 2014 della legge Fini-Giovanardi da parte della Corte Costituzionale.
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