Giustizia
Arringa della difesa nell’ultimo processo per Auschwitz
Nel processo al 94enne ex SS Reinhold Hanning in corso a Detmold in Germania sabato 11 giugno, nella 19ª ed ultima udienza dibattimentale, i difensori hanno chiesto l’assoluzione dell’imputato. L’accusato stesso ha rinunciato all’ultima parola, disattendo le esortazioni fattegli dai banchi delle parti civili. Lo riportano Silke Buhrmester sul Lippische Landeszeitung e la agenzia AP, quest’ultima citando la tedesca dpa.
Hanning era entrato volontario nelle SS a 18 anni e prestò servizio nel lager nazista di Auschwitz dal gennaio 1942 come membro della 5ª e quindi della 3ª SS-Totenkopfsturmbann Auschwitz prima di essere trasferito, avendo ormai acquisito il grado di comandante in seconda (Unterführer) a Sachsenhausen. È perseguito per concorso in omicidio in almeno 170.000 casi tra il gennaio 1943 ed il 13 giugno 1944.
Per gli avvocati difensori Andreas Scharmer e Johannes Salmen -indicano le stesse fonti- nel dibattimento non è stata data prova che Hanning abbia partecipato ad alcuna delle crudeltà perpetrate ad Auschwitz. I due legali hanno ricordato che egli ha negato di essere mai entrato nel campo di annientamento di Birkenau. Per il collegio di difesa il paragone con il caso Demjanjuk, in cui la mera presenza in servizio in un campo di annientamento nazista è stata ritenuta sufficiente per una condanna dal tribunale di Monaco di Baviera nel maggio 2011, è improprio. Il lager di Auschwitz era molto più ampio e vi operavano migliaia di SS e sarebbe dunque plausibile, hanno argomentato, che Hanning non avesse alcuna conoscenza delle atrocità che vi venivano commesse. Si deve osservare che l’imputato stesso peraltro alla 13ª udienza aveva affermato di vergognarsi per aver visto l’ingiustizia e non aver mai fatto nulla per porvi termine chiedendo scusa per le sue azioni. I difensori hanno sottolineato che né la sentenza contro Demjanjuk, né quella successivamente emessa a Lüneburg nel luglio 2015 contro Oskar Gröning sono passate in giudicato e perciò resta valida, dal loro punto di vista, la giurisprudenza del Bundesgerichtshof anteriore che ha sempre ritenuto vincolante la prova della partecipazione diretta ad un omicidio per poter esprimere un verdetto di colpevolezza. I due difensori a questo riguardo hanno stigmatizzato il clima di anticipazione di una condanna nei media, secondo loro responsabili di aver spettacolarizzato il processo. Non riuscendo a giustificarsi che il Procuratore abbia chiesto una pena di 6 anni, cioè addirittura più che in ambedue i casi citati in cui le sentenze furono rispettivamente a 5 e 4 anni, hanno altresì sottolineato che un verdetto dopo 72 anni dai fatti non può neppure più dirsi riguardare la stessa persona.
Il dispositivo della sentenza è atteso per il pomeriggio del 17 giugno. Sarà probabilmente l’ultimo pronunciato per i crimini di Auschwitz.
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