Giustizia
C’ERA UNA VOLTA UN TRIBUNALE: COSA SUCCEDE QUANDO SI TAGLIA DOVE NON SI DOVREBBE
C’era una volta un tribunale. C’era, perché adesso non c’è più. Non era bello, per carità: niente a che fare con quei tribunali lindi e luccicanti che siamo abituati a vedere nei telefilm made in USA. Tutt’altro: l’edificio che lo ospitava a titolo di comodato gratuito (senza spese di affitto o altro, per capirci) era un vecchio stabile dell’epoca fascista, verniciato di un opinabile arancione, e con un inconfondibile odore di gomma alle pareti- non che avesse pareti tipo pneumatico, ma insomma l’odore era quello. D’estate, clienti e avvocati sudavano letteralmente sette camicie, perché l’arduo compito di rinfrescare aule e corridoi era affidato a un unico, solitario ventilatore, probabilmente anche lui risalente all’epoca del ventennio. Noi avvocati donna ci salvavamo – gonna e maglietta ti rendono più che presentabile senza rischiare il colpo di calore – ma i colleghi uomini, costretti al completo giacca –cravatta – camicia financo il 10 di luglio con 40 gradi all’ombra e il 99% di umidità, i colleghi maschi dunque suscitavano comunque brevissimi attimi di pena.
Il tribunale che c’era una volta e che adesso non c’è più, traboccava di fascicoli: i cancellieri lavoravano a manetta, le file agli uffici erano chilometriche, gli armadi esplodevano di scartoffie. I giudici erano troppo pochi per tutti i processi in corso e quelli che si avviavano. E per forza: il nostro piccolo tribunale che tanto piccolo non era, serviva un territorio bello vasto, pieno di aziende, di piccole e medie imprese, di operatori del turismo e di un bel po’ di privati cittadini che, a torto o a ragione, si trovavano a dover bazzicare le aule di giustizia. Quando voci di corridoio iniziarono a nominare la parola “soppressione”, reagii come reagisco normalmente davanti alle cose troppo stupide per essere vere, e che perciò sai, in cuor tuo, che vere lo sono eccome: una bella risata e un “ma figuriamoci, non lo faranno mai!”. Che senso avrebbe avuto chiudere un tribunale così pieno di lavoro? Altro che sopprimere, qua c’è da ingrandire.
Quanto sopra conferma che, come veggente, sono di uno scarso imbarazzante: e infatti, mentre scrivo, il Tribunale di Forlì Sezione Distaccata di Cesena è chiuso da oltre un anno, caduto sotto le sforbiciate dell’ex ministro Cancellieri – penso che quasi tutti la ricordino più per le sue telefonate coi Ligresti che per la mannaia a vanvera usata nel già martoriato settore giustizia. Ora, tutto è trasferito a Forlì, nel palazzone bianco di Piazza Beccaria. Spending review, la chiamano, che in certi casi è un modo come un altro per dire “solenne cavolata”, ma all’inglese. Nell’italietta degli enti inutili che non muoiono mai e degli uffici che si moltiplicano solo per nutrire quel mostro a nove teste chiamato “burocrazia”, la mannaia della Cancellieri è riuscita, con precisione chirurgica, a colpire proprio là dove non solo non ce n’era bisogno, ma anzi non era proprio il caso.
Cosa ha fatto risparmiare, allo Stato, la chiusura del tribunale? E’ presto detto: zero euro. Lo stabile, già l’ho scritto. era goduto a titolo gratuito, quindi niente spese di affitto. I giudici e il personale sono stati trasferiti in blocco a Forlì, mica licenziati (e ci sarebbe mancato pure quello). In compenso, i rinvii lunghissimi dei processi non solo sono rimasti, ma anzi aumentati, perché non è che chiudendo un tribunale le cause diminuiscono, a meno che non si chieda l’intervento di Maga Magò. Senza contare che, per ogni quisquilia legale, i cittadini di Cesena e del suo comprensorio devono per forza recarsi a Forlì, in un tribunale che era intasato già di suo prima dell’accorpamento e che vi lascio immaginare ora. Insomma, tutti insieme, poco appassionatamente.
Così, ogni volta che mi trovo davanti un cliente giustamente incazzato perché la sua causa è stata rinviata, su due piedi, dal 2015 al 2017, avrei voglia di chiamarla, ‘sta benedetta Cancellieri, e di chiamare tutti quegli avvocati che bazzicano il parlamento -ma evidentemente non esercitano dall’età della pietra, o se esercitano, esercitano su Marte, tipo- e chiedergli, senza mezzi termini: ma che avete combinato?! Peraltro, non credo mi ascolterebbero.
Questa è solo una storia da giustizia di provincia, ma presumo ce ne siano altre simili, finite sotto silenzio o relegate a un trafiletto a fondo pagina che nessuno leggerà. All’epoca, la cittadinanza di Cesena fu piuttosto fredda sulla vicenda del suo tribunale, e anzi ci fu chi se ne rallegrò, perché “basta,nn se ne puo piu.in italia appena si vuol riformare qlcosa tt a protestare…..che schifo“ (copio pari pari). Forse fu anche colpa nostra, odiati membri della casta, che non ci facemmo capire, non so. O forse, più semplicemente, nessuno pensa mai che prima o poi avrà a che fare con quella giustizia che tanto uguale per tutti non è, se ti costringe a iniziare una causa col terrore di non riuscire a vederne la fine.
Un Paese dove la giustizia è in coma, è un Paese esso stesso in coma. E in Italia, il settore diritto è ben lontano dal potersi definire “di salute appena soddisfacente”. Se poi lo si prende a sforbiciate senza ragione e sulla pelle di quei poveri cristi che si trovano costretti a trascinarsi una causa fino all’età pensionabile (quando va bene), allora direi che siamo pronti a celebrarne il funerale. Io, per portarmi avanti, vado già a comprare i fiori. Qualcosa mi dice che non tarderanno a servirmi.
(foto scattata in occasione della chiusura del Tribunale di Vigevano, caso analogo a quello di Cesena descritto nell’articolo)
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