Giustizia
Cartabia come Moro: sentire le ragioni dell’altro
Il nostro Ministro della Giustizia Marta Cartabia, nella qualità di Presidente della Corte Costituzionale, concesse l’anno scorso una significativa intervista al quotidiano
“La Repubblica” (16.2.2020), che rappresenta un metodo di lavoro già oggi nell’ambito delle Commissioni Giustizia alla Camera ed al Senato.
Lo ha ricordato stamane il medesimo quotidiano con un articolo di Liana Milella:
“Subito le riforme ma senza lacerazioni”.
Furono trattati diversi temi, ma in modo particolare fu delineata la funzione primigenia del diritto nelle sue fondamentali declinazioni.
Ecco il “metodo Cartabia”:
1- il diritto è in primo luogo composizione dei conflitti sociali e, anche quando essi sono drammaticamente tragici, deve sempre prevalere l’equo contemperamento degli interessi in contesa e giammai deve essere schiacciata la parte più debole. La giustizia deve sempre esprimere un volto umano e “deve bilanciare le esigenze di tutti”.
2- Nella nostra Carta Costituzionale è diffuso il principio di aiutare il reo che ha sbagliato, perché la pena non deve essere vendicativa, ma deve promuovere il reinserimento del condannato nel tessuto sociale, come ci insegna l’art.27.
“Una giustizia giusta, se vogliamo usare quest’espressione, è una giustizia che permette di guardare al futuro, che non si pietrifica su fatti passati che pure sono indelebili”.
La giustizia giusta è riconciliazione, non vendetta. Perché la giustizia vendicativa – ce lo insegna la tragedia greca, in particolare l’Orestea di Eschilo – distrugge insieme gli individui e la polis, mentre una giustizia riconciliativa realizza l’armonia sociale”.
3- I processi non possono essere lunghi: l’imputato non può essere considerato colpevole anzitempo, perché vale la presunzione d’innocenza.
E qui il Presidente Cartabia fu chiarissima anche sulla prescrizione: “è evidente che i processi troppo lunghi si tramutano in un anticipo di pena, anche se l’imputato non è in carcere.
Che il processo debba avere una ragionevole durata è un principio di civiltà giuridica scritto nelle norme internazionali ed esplicitato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 26 agosto 1789 e ripresa dopo la seconda guerra mondiale con quella del 1948.
Sono molti i fattori che concorrono alla lunga durata del processo, alcuni di natura organizzativa, altri legati alla necessità di accuratezza delle prove e alle garanzie per l’imputato. Perciò, risolvere questo problema richiede un’azione su vari fronti e certamente una riflessione pacata di tutti, al di là di ogni steccato ideologico”.
4- Ricordò il Presidente Cartabia anche la dichiarata incostituzionalità della legge “Spazzacorrotti”, nella parte in cui si vuole interpretare retroattivamente la legge penale per fatti – condotte criminose – che si siano verificati prima della sua entrata in vigore.
Fu, ed è, una risposta pacata ai giustizialisti.
Il Presidente Cartabia ha scritto un libro bellissimo con Luciano Violante “Giustizia e Mito” edito da “Il Mulino”.
Ha uno spiccato tratto distintivo il riferimento alla tragedia dell’Oristea di Eschilo, ove sono ricordate le Eumenidi.
Cartabia sottolinea che le Erinni, dee vendicatrici, si trasformano in Eumenidi, dee benevoli, perché interviene Atena, la Ragione, che inventa il processo nell’Aeropago.
Questo significa che un imputato deve difendersi nel processo, non dal processo, che non può essere considerato colpevole anzitempo, che il sospetto non è prova e che la piazza, la gogna della moltitudine – soprattutto attraverso l’ignobile e dissennato uso dei social – non debba essere un patibolo, un tribunale senza le garanzie ordinamentali.
Il metodo di ascoltare le ragioni dell’altro aveva un antesignano nella politica italiana: si chiamava Aldo Moro.
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