Giustizia

Carmelo Lavorino: “…i ragazzi crescono con l’esempio di padri violenti”

31 Dicembre 2023

Carmelo Lavorino è un criminologo, criminalista, investigatore, analista della scena del crimine e profiler, direttore del CESCRIN (Centro Studi Investigazione Criminale), fondatore e direttore dal 1993 della rivista Detective & Crime[1], nonché titolare di un canale youtube[2].
Si è interessato professionalmente di oltre 200 casi d’omicidio, tra i quali l’uccisione di Serena Mollicone ad Arce e di Simonetta Cesaroni in via Poma a Roma. Di indubbio interesse quindi intervistarlo sul delitto compiuto da Filippo Turetta, che ha ucciso[3] l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Delitto che per le sue modalità ha fatto molto scalpore, suscitato molte emozioni e polemiche mettendo sotto accusa il tipo di famiglia noto con il nome di patriarcato.

Lei è stato il primo a capire come purtroppo erano andate le cose tra Filippo Turetta e la sua vittima Giulia Cecchettin. Su quali elementi lei ha basato la sua convinzione?

– Innanzitutto sulla conoscenza dello schema di formazione ed esecutivo della violenza in casi del genere: lo scatenarsi dell’aggressività incontrollata del ragazzo contro la povera Giulia, il tentativo di fuga della ragazza spento con la violenza, le tracce di sangue, il “rapimento” della ragazza: la catena rabbia-odio => esplosione distruttiva che diviene sanguinaria perché procura lesioni => il bisogno di uccidere: lo schema “distruggere–vendicarsi–gratificarsi-liberarsi del corpo”.

 

In questi purtroppo non rari casi di uccisioni di ragazze da parte di coetanei c’è una responsabilità dell’educazione ricevuta in famiglia? O della mancanza di educazione ricevuta in famiglia?

– Nelle famiglie dove i ragazzi crescono con l’esempio di padri violenti verso la famiglia e verso l’esterno sicuramente sì. Lo stesso dicasi per i ragazzi che vivono in ambienti dove la violenza, lo scontro fisico e il machismo sono i valori portanti e condivisi, dove i problemi si risolvono con la sopraffazione e lo scontro fisico. Ma in questo caso tutto si è sviluppato autonomamente nella psiche di Filippo, preda di una vera e propria fissazione verso Giulia, schiavo dell’amore malato, delle proprie insicurezze e farneticazioni che pensava di superare con la presenza di Giulia e su di lei stessa. Qui l’educazione della famiglia non c’entra un bel nulla.

 

Il padre di Filippo Turetta ha detto che suo figlio aveva sempre avuto tutto ciò che aveva voluto. Questa totale mancanza di esperienza di rifiuti ricevuti e il conseguente non avere imparato a sapere come reagire possono avere ingigantito a dismisura agli occhi del ragazzo le dimensioni del rifiuto ricevuto dalla povera Giulia fino a farlo sembrare un affronto inaudito? Siamo cioè oltre il perimetro della normale gelosia compresa quella possessiva? E anche oltre la rabbia del bambino di fronte alla rottura del suo giocattolo preferito?

– L’azione violenta-omicidiaria di Filippo rappresenta l’eccezione statistica dei ragazzi viziati e prepotenti, di quelli che non sanno accettare il rifiuto. Però, uno su un mezzo milione si comporta come lui, e questo corto circuito che porta alla tragedia succede per l’eccezionalità delle circostanze, del rapporto con l’altro sesso e con le caratteristiche morbose della relazione con Giulia. Purtroppo la personalità di Filippo si è strutturata in modo di fare scattare immediatamente lo schema reattivo-distruttivo, e qui scatta ed ha il sopravvento la violenza “vendicativa-punitiva”. Come ho detto molte volte la non accettazione del rifiuto, la rabbia e la collera scatenate per avere perso l’oggetto bramato, la conseguente ferita narcisistica, l’impossibilità di attivare i freni inibitori hanno fatto precipitare il raziocinio (già obnubilato e traballante nella caverna del male), e da qui la violenza fasica in escalation. Ricordo che l’essere umano ha i freni inibitori che gli bloccano gli impulsi, gli stimoli, gli atti reattivi violenti e distruttivi e le emozioni, ma non sempre questi freni funzionano, allora ha il sopravvento il coccodrillo dormiente nelle parti arcaiche del cervello, sempre pronto ad aggredire ed a uccidere. Figuriamoci, poi, se il cervello è già obnubilato e traballante nella caverna del male: da qui la violenza fasica in escalation.

 

Sulla scia di questo feroce delitto sono esplose le polemiche contro la cosiddetta famiglia patriarcale. Ma questo tipo di famiglia esiste ancora? E genera ancora quelli che si usa chiamare mostri? Peraltro, quella di Turetta non sembrerebbe la classica famiglia patriarcale.

– L’attacco alla cosiddetta “famiglia patriarcale” è stato un comprensibile scivolone ideologico di Elena, la sorella di Giulia, la quale Elena aveva elaborato a suo modo la sofferenza, l’ansia, il terrore per la scomparsa di Giulia, sino e oltre alla dilaniante consapevolezza dell’orribile destino e delle sofferenze patite. Naturalmente Elena – che ha ben strutturati il carattere, la personalità, la coscienza sociale e politica – ha detto quello che pensava e che le stava esplodendo dentro, causa l’azione violenta di un maschio che le aveva distrutto la sorella. Soprattutto Elena era consapevole che la sorella aveva sofferto terribilmente ed atrocemente per diversi minuti causa il terrore, le ferite, la violenza subita, la consapevolezza che era diventata la preda di una belva feroce che la stava dilaniando e uccidendo: sgomento, tortura, dalla felicità alla morte con dolore immane. Naturalmente molti per motivi diversi (politici, di visibilità, elettorali, ideologici…) hanno pompato e strumentalizzato il dolore di Elena, così soffiando sul fuoco per scatenare la guerra fra i sessi, fra le donne e gli “uomini cattivi in quanto maschi”.
> Ormai la famiglia patriarcale sta scomparendo, l’assassino della sorella di Elena è solo una persona: è Filippo! Questi non ha nulla a che vedere con la famiglia patriarcale, qui c’entra solo lui, non certamente “tutti gli uomini”. Però Elena ha ritenuto –causa la collera, l’odio, la sete di giustizia e di vendetta, la matrice ideologica e l’odio contro gli autori di femminicidio – di fare di tutte le erbe un fascio, così cadendo nella trappola dei seminatori dell’odio strisciante di tutti contro tutti.

 

Esistono statistiche che permettano di capire se il susseguirsi di uccisioni di donne di tutte le età da parte di uomini di tutte le età sia una tara della nostra epoca o se si tratta di fenomeni sempre esistiti nella nostra società, e magari anche in altre?

– Esistono le statistiche di tutti i tipi sugli omicidi secondo moltissimi criteri: la loro distribuzione nel tempo, le aree geografiche, gli ambienti sociali, la vittimologia (sesso, età, stato sociale, etnia, il carattere, caratteristiche di rischio, stato di aggredibilità e di vulnerabilità, caratteristiche gratificanti per l’aggressore…), il movente e le motivazioni, le circostanze e la situazione criminogena, la premeditazione e la volontarietà, l’organizzazione e la logistica, il modus operandi, lo stato psichico dell’aggressore, il contesto, l’intento primario, ecc.
L’omicidio è sempre esistito in tutte le ere e in tutte le società; alcuni hanno caratteristiche generali e sono quasi eterni, siano essi del tipo espressivo (esprimono stati d’animo, emozioni, stati psichici, pulsioni, inconfessabili desideri, esigenze di tutti i tipi) che strumentale (omicidio per raggiungere uno scopo, un obiettivo, una posizione sociale, potere, denaro, per commettere un altro crimine… ). Però molti omicidi hanno entrambe le componenti, sia quella “espressiva” che quella “strumentale”. Comunque, gli omicidi sono sempre esistiti, ma ora sono seguiti e ingigantiti dall’esistenza dei mass media e della loro tendenza al sensazionalismo per poter vendere più copie ed avere più audience, perché l’omicidio “tira”: e i salotti televisivi con gli opinionisti chiromantici ne sono una chiara dimostrazione.

Anche le donne uccidono. Uccidono a volte i propri figli, il proprio marito, il proprio amante, l’amante del proprio uomo, ecc. Però si tratta di delitti che avvengono più raramente. Avvengono davvero più raramente? E se sì, perché più raramente?

– Certamente, le donne uccidono. Non lo fanno soltanto nei casi che lei ha citato che per la maggior parte sono omicidi (a) intrafamiliari, domestici, di frequentazione di qualunque tipo, oppure (b) omicidi per disturbo mentale, ma lo fanno anche in altri contesti, laddove hanno potuto raggiungere la cosiddetta “emancipazione paritetica della violenza distruttiva”. Cioè, le donne di malavita, le donne spacciatrici, le donne militari che perdono il controllo, le donne scadute nel bullismo, le donne litigiose. Diciamo che il contesto e l’occasione “fa la persona assassina”, e ora lo fanno anche le donne, proprio per la “emancipazione paritetica della violenza distruttiva”. Però la donna non uccide in seguito a violenza sessuale perché la donna non stupra; la donna non segue (per ora) i modelli delinquenziali, criminali, aggressivi e violenti dell’uomo.
Comunque, su oltre 100 donne uccise da maschi quest’anno, il maschio ha avuto sempre il sopravvento perché molto più forte fisicamente, perché ha iniziato per primo l’azione aggressiva, perché lo aveva stabilito o preordinato lui, perché ha attaccato di sorpresa.

 

 Lei a botta calda, subito dopo la scoperta del cadavere di Giulia, riguardo Turetta ha parlato di “fogna comportamentale” e di “coccodrillo dormiente”. Qual è in questo caso la fogna comportamentale? E cos’è il coccodrillo dormiente? Dormiva solo nel Turetta o dorme in ognuno di noi pronto risvegliarsi di colpo e ad azzannare? C’è e dorme pronto a svegliarsi anche nelle donne? La Storia e le cronache pare dimostrino come qualunque essere umano in determinate condizioni può diventare violento, anche mortalmente violento, e magari anche terrorista.

– Quando una persona si trova in forte difficoltà e teme per la sua esistenza e/o che un suo progetto non possa realizzarsi, dimentica l’empatia, la solidarietà, l’umanità e di essere umano e precipita nella “fogna comportamentale”, quella zona infernale e nascosta che fa tornare l’essere umano a comportarsi da bestia feroce-egoista: da coccodrillo dilaniante ed assassino, in un colpo solo, azzannando una volta per stritolare e tritare, e poi assopirsi. In tal modo vengono attivati il comportamento antisociale, il comportamento eterodistruttivo giusto per averla vinta e per sopraffare l’altra persona, l’atteggiamento che fa uscire la bestia che c’è in ognuno, soprattutto dopo una delusione fortissima: ecco perché ho fatto l’esempio del bambino furioso che rompe il giocattolo. E da qui possiamo passare anche all’ira distruttiva del “guerriero furioso”, del distruttore a ogni costo.
Il “coccodrillo dormiente” ma non addormentato è posizionato nelle parti arcaiche del nostro cervello, è il motore istintivo che pensa solo alla distruzione altrui, è il sistema ti fa scattare l’aggressività e ti fa perdere i freni inibitori.
L’impossibilità di attivare i freni inibitori fanno precipitare il raziocinio.

 

L’uccisione di Giulia ha dato la stura alle accuse contro il patriarcato, additato come responsabile delle uccisioni di donne da parte di persone di sesso maschile. Però a me risulta che il padre dell’assassino di Giulia non ha avuto un gran ruolo nell’educazione del figlio, influenzato semmai dal molto grande ego di sua madre. Questo squilibrio nell’educazione e nell’influenza ricevuta dai genitori può avere reso troppo fragile la psicologia del figlio?

– Ripeto che è sbagliato e fuorviante fare di tutte le erbe un fascio, colpevolizzare gli uomini in quanto tali e i maschi in quanto tali. Guai se si precipita nell’ideologia spicciola che qui nulla c’entra, a promuovere la guerra fra i sessi, a buttarla in caciara, a strumentalizzare il terribile ed allucinante assassinio per fini ideologici, per scopi elettorali, per ottenere il classico piatto di lenticchie.
Colpevolizzare gli uomini e promuovere la guerra fra i sessi significa creare fratture all’interno della società, significa mettersi sullo stesso piano di chi si intende criticare, significa scadere nella banalità e nell’imbecillità da osteria.
Si devono colpevolizzare invece gli amori e i rapporti tossici che non si riesce ad eliminare, la tendenza alla distruzione di chi contrasta e contesta, la fogna comportamentale di chi non rispetta gli altri, la deumanizzazione di chi procura la ferita narcisistica, i servi/schiavi e gli imperatori dell’ideologia dello scontro.
Solo il rispetto, la cultura, la freddezza, la solidarietà, l’intelligenza e l’altruismo e un rinnovamento sociale (libero dalle catene ideologiche) possono risolvere il problema.

 

Pare proprio che il delitto sia stato premeditato e accuratamente preparato. Il coccodrillo si è svegliato, ma per azzannare e sbranare anziché farlo d’impeto appena sveglio ha aspettato e creato le condizioni più favorevoli per poterlo fare?

– Aspettiamo l’eventuale perizia psichiatrica. Sicuramente l’omicidio era stato immaginato, ruminato e fantasticato, con molte probabilità è del tipo preordinato, non è certo che sia premeditato. Il coccodrillo dormiente “aveva parlato” diverse volte con Filippo per farla pagare “a quella lì”, allora il valore prevalente e lo scopo dell’uccisione è sempre stato: eliminare chi ferisce l’anima di Filippo!
Qui c’è da investigare in modo approfondito su Filippo, sulle sue decisioni, su quello che ha fatto, sul background, sui messaggi, su TUTTO… non certamente per scusarlo o togliergli degli anni di galera, ma per conoscere e capire quest’ulteriore manifestazione crudele, feroce e infernale del male.

[1] Cescrin Centro studi investigazione criminale (detectivecrime.it)
[2] Carmelo Lavorino – YouTube
[3] Giulia Cecchettin, la lotta disperata e quell’ultimo colpo fatale al collo: per Turetta «l’aggravante della crudeltà» (ilmattino.it)

1 Commento
  1. Non sottovaluterei l’influsso di una preminenza del maschio nella società italiana. Comunque lo si voglia chiamare, patriarcato, maschilismo, giusto per trovare una definizione. L’ideologia subentra quando diventa l’unico criterio d’interpretazione dei fatti. Ma la preminenza, in politica, sul lavoro, per la retribuzione, nella mentalità diffusa, esiste. Anzi, direi che è ideologico proprio il fatto di non riconoscerne la rilevanza. Come fa qui il giudice. Il comportamento individuale di ciascuno non dipende mai eclusivamente da cause individuali.

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