Giustizia
Arrestato Matteo Messina Denaro. Chi siede oggi sul suo trono?
Ebbene sì. Dopo 30 anni di latitanza, questa mattina, all’interno della clinica privata La Maddalena a Palermo, è stato arrestato dal ROS, il Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri, l’imprendibile “capo dei capi” Matteo Messina Denaro. A coordinare le indagini che hanno portato alla sua cattura il procuratore della Repubblica di Palermo, Maurizio De Lucia e l’aggiunto Paolo Guido.
Nella stessa clinica, un anno fa, era stato operato e da allora stava facendo delle terapie in day hospital. Nel documento falso esibito ai sanitari c’era scritto un nome falso, quello di Andrea Bonafede.
Nessuno blitz riproducibile cinematograficamente. Nessuno scontro a fuoco.
«Dopo il blitz nella clinica – scrive l’ANSA – l’ormai ex superlatitante è stato trasferito prima nella caserma San Lorenzo, poi all’aeroporto di Boccadifalco per essere portato in una struttura carceraria di massima sicurezza. La stessa cosa accadde al boss Totò Riina, arrestato il 15 gennaio di 30 anni fa. Assieme a lui è stato arrestato anche Giovanni Luppino, di Campobello di Mazara (Tp), accusato di favoreggiamento perché avrebbe accompagnato il boss alla clinica per le terapie periodiche».
Era il 1989 quando Paolo Borsellino scrisse, per la prima volta, il suo nome in un fascicolo d’indagine. E fu un commissario di polizia di Castelvetrano, Rino Germanà, che iniziò a indagare su quel ragazzo che decise di ucciderlo. Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano, a bordo di una Fiat Tipo, intercettarono Germanà sul lungomare di Mazara del Vallo. Iniziarono a sparare, il commissario rispose al fuoco, uscì dalla macchina e si gettò in mare inseguito da Bagarella il cui Kalašnikov s’inceppò.
Il suo nome fu iscritto ufficialmente nella lista dei ricercati il 2 giugno 1993. Da allora ricerche, arresti di fiancheggiatori ma, di lui, nessuna traccia, almeno fino ai giorni scorsi quando si è messa in moto la macchina che ha portato al suo arresto.
Si chiude così la parabola di Matteo Messina Denaro, definito il custode dei segreti delle stragi del ’92 e del ’93. Si chiude in un ospedale del capoluogo siciliano, lontano dalla sua residenza di latitanza e dal suo covo, lontano da un luogo da perquisire. Nessun covo. Nessuna dimora. Nessuna cassaforte da aprire. Oggi non si chiude un capitolo ma, in realtà, se ne apre un altro, quello che dovrà condurre all’individuazione e alla cattura del suo successore, che è stato nominato da tempo. Il vecchio boss, vecchio anche se ha solo sessant’anni, era malato da tempo e, forse, la latitanza non gli permetteva di poter usufruire delle cure necessarie alla sua sopravvivenza.
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