Fisco

Elogio di Nerazzini Alberto, malinconico perdente tra Marlowe ed Epifanio

8 Luglio 2015

Qui mi tocca il peso di un elogio, il terzo di un’onesta e ormai lunga vita professionale e dei primi due mi sono pentito amaramente. È l’elogio di Nerazzini Alberto da Modena, che la sera di lunedì ha proposto su Rai3 il suo film: «Il Grande Bluff». È un viaggio, un lungo viaggio per mondi sconosciuti, dove persone generalmente poco note alle folle depositano tonnellate e tonnellate di denari. Il mondo “offshore”, appunto, uno stile di vita, un gigantesco e inesauribile risucchio che si perpetua anche quando l’ultimo bicchiere d’acqua per i comuni mortali è finito. Il prodotto di Nerazzini qualcuno lo ha chiamato inchiesta, altri documentario, per le mie emozioni ho preferito film. Ne ha la tensione, il ritmo, la decadente malinconia, lo sguardo dolente sulle miserie umane. È qualcosa più di un’inchiesta e anche quando è del tutto evidente che la giustizia non arriva o arriva male (per volontà o insipienza) il passo di Nerazzini evita la schiena dritta del moralismo spicciolo, lasciandosi amaramente sorprendere da un mondo così alla rovescia. Non alza la voce, sussurra un disappunto, considera i lettori sufficientemente maturi per farsi un’idea compiuta di quelle vergogne.

In questo, non un figlio del tutto legittimo di Report, anche se Aldo Grasso lo definisce inevitabilmente «scuola Gabanelli». Dalla prof, semmai, Nerazzini Alberto si è distaccato (sul sito di Report lo si inserisce tra quelli che “hanno fatto parte del team di Report”) alla ricerca della piega umana, che ancor più delle questioni penali definisce il tratto delle persone. Semmai, alunne ortodosse sono Giannini e Boursier, inguaribili rompiballe che non mollano mai l’osso ma che ai miei poveri occhi hanno la colpa grave di battere poco o punto il territorio dell’ironia. Nerazzini non dà lezioni, semmai qualcuna impropriamente ne riceve e magnificamente incassa, con l’abilità del pugile che irride all’avversario che credeva d’averlo definitivamente piegato.

È così che a un certo punto il suo film sui paradisi fiscali, con tante carte alla mano, si trasforma in un’indagine psicologica sulle umanità che ne sostengono l’osceno, universale, carrozzone. Sono più le attese, le fughe in macchina, sdraiati sui sedili come salamandre, le porte socchiuse, i tentativi timidi e inefficaci di mostrarsi post-illibati, gli imbarazzi, a comporre un affresco memorabile di un «altrove», come giustamente si definisce un paradiso fiscale.

Il passo di Nerazzini è inesorabilmente lento, perché affrettarlo non porterebbe più luce alla sua inchiesta, ma semplicemente quell’immagine un po’ ruffiana e muscolare del correre sempre perché così farebbe il cronista di vaglia. Si può ritrovare l’atmosfera di Chandler e in fondo Nerazzini è un malinconico perdente come Marlowe, ma c’è anche aria di Maigret nei dialoghi sussurrati, in quei borbottii, il tutto fasciato in un cappotto troppo stretto che, se guardi bene, è proprio il cappotto di Epifanio, tenero e dolente personaggio indimenticabile di Antonio Albanese.

 

Il grande Bluff, di Alberto Nerazzini. Il documentario integrale dal sito della Rai 

Il grande Bluff di Alberto Nerazzini

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