Fisco

Bonus da 80 euro: non ci sono prove che abbia funzionato

16 Agosto 2017

(*) Il bonus da 80 euro è riuscito a raggiungere il suo obiettivo principale, che era quello di far crescere i consumi privati nel 2014? Gli studi finora realizzati ottengono risultati contrastanti. Dunque l’efficacia della misura non sembra ancora provata.

Gli studi sul bonus

Un recentissimo studio di tre ricercatori della Banca d’Italia è stato interpretato sui media (vedi ad esempio il Corriere della Sera del 17 luglio) come una consacrazione definitiva del prototipo della politica dei bonus del governo Renzi. Nelle conclusioni dello studio si legge infatti che il 40 per cento dell’aumento della spesa delle famiglie nel 2014 si può attribuire alla misura. In tempi in cui si parla molto di educazione finanziaria, sarebbe forse opportuno non tralasciare l’avvertenza che quanto sostenuto dai tre ricercatori non corrisponde alle posizioni ufficiali dalla nostra Banca centrale.

Il giudizio sull’efficacia del bonus è stato molto controverso fin dalla sua introduzione, poco prima delle elezioni europee del 2014, perché il provvedimento non è stato preceduto da una valutazione tecnica sui costi e sui benefici relativamente all’intero impianto del bilancio pubblico e al costo opportunità di misure alternative per perseguire gli stessi obiettivi di politica economica, pur se meno spendibili sul mercato del consenso. La misura ha poi dato luogo a diversi problemi applicativi, quali, ad esempio, il rimborso cui sono stati costretti oltre un milione e mezzo di beneficiari nel 2015 perché a posteriori non in regola con i criteri di assegnazione. I pochi studi disponibili mostrano inoltre le difficoltà relative al calcolo degli effetti sull’obiettivo principale: la crescita dei consumi privati nel 2014. Due interventi nel 2015 di Stefano Gagliarducci e Luigi Guiso hanno anticipato i risultati di uno studio in corso presso la presidenza del Consiglio, così sintetizzabili: 1. il bonus si sarebbe tradotto in un aumento uno a uno della spesa, con una stima di maggiori consumi pari a 5,2 miliardi di euro, uguale all’ammontare della misura erogata nel periodo aprile-dicembre 2014; 2. le stime sarebbero coerenti con le prime evidenze tratte dall’Indagine sui bilanci delle famiglie e riportate nella Relazione annuale della Banca d’Italia sul 2104, secondo cui le famiglie intervistate dichiarano di aver speso circa il 90 per cento del bonus. A risultati opposti giungeva uno studio condotto in sede Inps, citato dagli stessi Gagliarducci e Guiso, secondo cui “al momento, (c’è) limitata evidenza che l’aumento (dei consumi dei dipendenti) sia dovuto ai percettori del bonus”.

Efficacia non provata

Poiché questi lavori sono rimasti in divenire, ha suscitato comprensibile interesse la ricerca di Andrea Neri, Concetta Rondinelli e Filippo Scoccianti, che si basa sull’Indagine sui bilanci familiari per il 2014. I risultati principali dell’indagine statistica nella prima parte dello studio sono due.

  • Le stime della propensione marginale al consumo (Mpc), definita come somma delle percentuali del bonus spese in tre tipologie di consumi (alimentari e consumazioni fuori casa, auto e altri mezzi di trasporto, altri beni durevoli) oscillano tra il 50 e il 60 per cento; in particolare, e poco intuitivamente, tra il 19 e il 33 per cento per la seconda componente (la Table 3 nel working paper). Come correttamente segnalano gli autori fin dall’inizio, le stime sono tuttavia non statisticamente significative nella maggior parte dei casi, dato il limitato numero di famiglie nel campione estratto dal panel dell’Indagine. Ciò vuol dire che non si può statisticamente escludere una propensione marginale al consumo nulla.
  • Le stime della propensione marginale al consumo sono in ogni caso inferiori, da meno della metà a un terzo, rispetto al 90 per cento dichiarato dagli intervistati nell’Indagine. Ciò, secondo Neri e i suoi coautori, segnala come autovalutazioni raccolte somministrando questionari su temi economici di non facile comprensione debbano essere trattate con cautela.

Desta perciò sorpresa che nelle conclusioni dello studio ci si azzardi a quantificare in 3,5 miliardi di euro l’effetto del bonus sui maggiori consumi privati nel 2014, applicando sull’intero paniere dei consumi il valore superiore (59 per cento) della propensione marginale al consumo stimata relativamente alle tre componenti. Usando il valore inferiore (48 per cento), si otterrebbe una somma di 2,8 miliardi.

Per concludere, le stime della propensione marginale al consumo oscillano da trascurabile secondo lo studio Inps al 100 per cento secondo Gagliarducci e Guiso, mentre sono in un intervallo tra il 50 e il 60 per cento (ma con valori in prevalenza non statisticamente significativi) nel lavoro di Neri, Rondinelli e Scoccianti. Difficile trarre da queste risultanze pezze d’appoggio sufficientemente affidabili per le interpretazioni che vogliono provata l’efficacia del bonus e per le implicazioni che se ne traggono nel dibattito politico.

Giuseppe Marotta

 

(*) Articolo originariamente pubblicato sul sito lavoce.info

 

 

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